
PINA 3D
Alla Berlinale 2011, Werner Herzog e Wim Wenders avevano entrambi un film in 3D. Il primo entrò nella caverna preistorica di Chauvet, nel sud della Francia: ben arredata di stalattiti e stalagmiti che fanno sempre la loro bella figura, ricca di figure rupestri che secondo il regista anticipavano il cinema (o almeno Umberto Boccioni). “Cave of Forgotten Dreams”, oltre a una lunghezza esagerata, aveva un difetto non cinematografico ma teorico: se gli uomini primitivi con pochi segni sulla pietra davano l'illusione del bisonte scalpitante, come mai noi siamo ridotti con gli occhialini per il 3D? Il film di Wenders era su Pina Bausch, un pochino più giustificato dal punto di vista tecnico. Un pochino, perché “Café Müller” nella prima scena di “Parla con lei” di Pedro Almodóvar faceva comunque il suo fantasmagorico effetto. E così “On Tour with Pina Bausch” di Chantal Akerman, girato nel 1983. Le sequenze di danza, sul palcoscenico e in esterni cittadini (oltre a “Café Müller”, “La sagra della primavera”, “Kontakthof” e “Vollmond”), riescono benissimo. Poteva bastare così. Purtroppo Wenders ha una forte inclinazione verso la noia. E si sentiva in colpa per aver coltivato il progetto tanto a lungo che Pina Bausch morì due giorni prima della data fissata per le riprese. Quindi ha riorganizzato la materia aggiungendo interviste ai danzatori. Gente che dà il meglio di sé in scena a piedi nudi, non quando fa il mezzobusto su fondo nero. Gente che vorremmo vedere danzare, non spiegare quanto Pina era geniale e carismatica. Folgorato sulla via del 3D, Wim Wenders ha approfittato del Festival di Roma per farsi privatamente proiettare “Il più comico spettacolo del mondo – Totò in 3D”, diretto da Mario Mattoli nel 1953 e prodotto dalla ditta Ponti-De Laurentiis con l'autarchica tecnica Podelvision (“po” come Ponti, “del” come De Laurentiis). I teatri d'opera e i coreografi hanno imparato la lezione: già in arrivo, tra altri esperimenti, una “Carmen” prodotta dalla Royal Opera House. Il pop, va detto, aveva già cominciato da un pezzo, con il 3D di “Streetdance” e di “Step Up”. Se non sapete nulla di Pina Bausch, informatevi prima: il film non spende una parola. E non siamo sicuri che il film di Wenders sarebbe piaciuto a Pina Bausch: se avesse voluto gli spettatori in mezzo alla scena, ce li avrebbe messi da sola.


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