THE SOCIAL NETWORK

Mariarosa Mancuso

    Per anni ci siamo fatti belli dichiarando con Groucho Marx “non vorrei mai far parte di un club che mi accettasse tra i suoi soci”. Silenzio di tomba sulla sofferenza vera e cocente: quando smaniamo per entrare in un club che tra i suoi soci non ci vuole ammettere. Adattando “The Accidental Billionaires – The Founding of Facebook: A Tale of Sex, Money, Genius and Betrayal” di Ben Mezrich, Aaron Sorkin mette il dito dentro la piaga e lo rigira (sospettiamo lo abbia intinto, prima, nell'alcol o nel peperoncino). Il libro narra i fatti, già abbastanza interessanti. Lo sceneggiatore della serie “West Wing” ne ricava una storia shakespeariana ambientata all'Università di Harvard. Protagonisti, un ragazzo ricciolino in felpa e ciabatte Adidas di plastica blu (a volte con calzino) che non riesce a rimorchiare. Quando finalmente esce con una ragazza, si sente dire: “Credi che nessuna ti voglia perché non hai muscoli da calendario. La verità è che nessuna ti vuole perché sei stronzo”. Furioso, il giovanotto beve qualche birra e si mette al computer per un “drink and blog” (variante del “drink and dial” che Paul Giamatti praticava in “Sideways” di Alexander Payne). Per vendetta rivela al campus che le tette della fanciulla non sono quel che sembrano (soccorrono i reggiseni imbottiti di Victoria's Secret) e organizza un torneo tra ragazze scopabili. Si procura i “facebook”, album universitari dove ogni studente viene registrato e fotografato (finora, nel cinema americano, servivano a smascherare i serial killer o le dark lady che facevano perdere le proprie tracce assumendo una nuova identità: la fototessera dei vent'anni, al netto dei brufoli e dell'assurda pettinatura, impietosamente denunciava il trucco). Mette le fotografie in rete, chiede agli studenti di votare con un click,  il server dell'università salta per troppi contatti. Facebook come noi lo conosciamo – che rende pubbliche le nostre foto con le orecchie da elfo, fa sapere i nostri gusti e soprattutto il nostro status sentimentale, consente di essere rintracciati dai compagni di scuola che abbiamo cercato di seminare – dovrebbe sanare il peccato originale, consentendo a Mark Zuckerberg di rifarsi un'immagine nel campus. Questo consigliano i waspissimi gemelli Winklevoss, campioni di canottaggio (un solo attore, doppiato al computer). Tra i molti che hanno fatto causa a Zuckerberg, vincendo: ma il più giovane miliardario americano può staccare un assegno da 65 milioni di dollari, e restare miliardario. Alla tostissima sceneggiatura – battute a raffica, Mark che ancora in pedalini si fa stampare biglietti da visita con la scritta “I'm Ceo, bitch” – Fincher aggiunge tutto quel che compete al regista: attori geniali diretti benissimo, capaci di dire cose interessanti anche in conferenza stampa: “Zuckerberg non era cattivo. Solo che gli altri non erano la sua priorità”.