THE HURT LOCKER

Mariarosa Mancuso

    All'ultimo film di Kathryn Bigelow, ex moglie di James “Titanic” Cameron di nuovo al massimo della bravura dopo che Luc Besson le ha scippato il film su Giovanna d'Arco (le tappe del disastro: lungo lavoro di preparazione, tentativo di imporre come prima attrice l'allora consorte Milla Jovovich, furto di un copione quasi finito) si addice il motto di John Wayne: “E' uno sporco lavoro, ma qualcuno lo deve pur fare”. Si parla naturalmente della guerra, invisa ai pacifisti. L'ultimo campione registrato nelle cronache – letterarie, ma non basta per discolparlo – si chiama Nicholson Baker. Lo scorso marzo ha scritto un libro di nonfiction intitolato “Human Smoke: The Beginnings of World War II, the End of Civilization”, per convincere il mondo che la Seconda guerra mondiale fu un tremendo sbaglio: non era necessaria, non era una guerra giusta, fece più morti di quanti ne evitò (se pensate si tratti di uno scherzo, controllate sul catalogo Simon & Schuster). Pacifista, nonché fieramente anti-Bush, è pure la regista, stando alle sue dichiarazioni in conferenza stampa. Ma ogni tanto succede il miracolo: la passione per una bella storia da raccontare, drammatica e realistica dal primo minuto all'ultimo, ha la meglio sulle chiacchiere. “The Hurt Locker” – il bauletto che torna in patria assieme alla body bag, contenente gli effetti personali dei soldati morti al fronte – segue gli ultimi 38 giorni di ferma di un artificiere. Uno che disinnesca bombe di ogni tipo senza infilarsi la tuta e il casco da cinquanta chili (“se devo morire, meglio morire comodo”). Uno che, se succede un incidente, non avrà bisogno neppure di una body bag: come nello splatter più splatter, non troveranno nulla di lui. Uno che ha disinnescato 873 bombe, e quando gli chiedono consigli sulla tecnica, spiega: “Il modo migliore è quello che non ti fa crepare”. Lo sceneggiatore si chiama Mark Boal, reporter di guerra embedded tra i disinnescatori di bombe (da un suo articolo viene anche “La valle di Elah”: lì però Paul Haggis aggiunse tutta la sua retorica). Avrebbe meritato un premio serio a Venezia, non il riconoscimento “Persol per lo stile” che fece fuggire da Venezia la regista furiosa. Ma, come disse la giurata Valeria Golino in Scamarcio, “manca di etica, mica si può premiare”. Assieme a “La classe”, il film da vedere questa settimana.