Screenshot da account YouTube di Venerus
"speriamo"
Il beat di Venerus, uno dei migliori talenti musicali che ora punta al grande pubblico
Ascoltando il nuovo album, scopriamo che l'artista non ha perso un grammo della qualità che ha contraddistinto le uscite precedenti. Ha invece proseguito nella metamorfosi espressiva che sta caratterizzando il suo percorso
Due anni dopo “Il Segreto”, Venerus torna con il terzo album, confermandosi una delle personalità musicali più interessanti emerse negli ultimi anni dalla nostra scena. Il suo nuovo lavoro si chiama “Speriamo” ed è realizzato con l’ausilio dell’abituale team di collaboratori, in prima linea il produttore Filippo Cimatti (suo partner creativo storico) e da Andrea Cleopatra (il battitore libero che ha scritto parte dei testi e ha dipinto il bel ritratto a olio della “artista-con-motocicletta” che è la copertina del disco). A ruota poi c’è una nutritissima schiera di partecipanti più o meno occasionali, che include degli habitué consolidati come Mace e Gemitaiz e delle new entries come Mahmood, IZI, Side Baby, Jake La Furia, Marco Castello, Altea e un Cosmo negli insoliti panni del crooner. Tutti coinvolti, come ci ha tenuto a precisare Venerus presentando il disco, non attraverso l’ormai consueto metodo dello scambio a distanza di files, per quelle collaborazioni virtuali che adesso costituiscono la norma dei featuring, ma piuttosto, in modo più analogico, perdendo il giusto tempo per connettersi di persona, prendendo l’auto e arrivando nei loro luoghi che, per esempio, se vuoi Cosmo in una tua canzone, significa mettere in conto di andare a Ivrea.
Ascoltando “Speriamo” la prima buona notizia è che Venerus, Vinnie per gli amici, non ha perso un grammo della qualità che ha contraddistinto le uscite precedenti, ma invece ha proseguito nella metamorfosi espressiva che sta caratterizzando il suo percorso. “Speriamo” è un album dalle atmosfere più accessibili e aperte a un suo consumo trasversale rispetto ai primi due, contraddistinto da una spiccato orientamento pop che comunque non annacqua e non condiziona l’inconfondibile stile dell’artista, la sua capacità di suonare sempre intimo, vicino, quasi fosse un confidente musicale. Se si è un po’ persa per strada la matrice psichedelica di certe variazioni e divagazioni dei suoi brani di ieri, ora si è ampliata la declinazione musicale di brani che includono momenti rap soffici, dichiarati passaggi cantautorali come in “Felini”, il singolo che ha preceduto l’album, cantato con Marco Castello – uno dei talenti misconosciuti della nostra nuova canzone – approdando poi in zone ritmiche più spinte, dove torna a espandersi l’originale amore di Venerus per l’r’n’b, il funk e l’elettronica. I brani di “Speriamo” s’infilano l’uno dentro l’altro con una piacevole fluidità, di volta in volta modificando la velocità del beat, variando l’atmosfera del racconto, ma mantenendo un perfetto equilibrio, grazie al filo rosso della sua vibratile voce e grazie alla sapiente ed elegante rete musicale di supporto, complessa e delicata al tempo stesso.
I testi sono omogenei e parlano la lingua accogliente dell’amore, in una specie di continuo masticarne gli andamenti, riflettendo sull’empatia, sull’attrazione e sulla vicinanza. Così si scivola da un umore all’altro, tracciando la mappa esistenziale di un trentenne che, come racconta nel brano d’apertura, infine ha un’unica adolescenziale certezza nei suoi affetti: l’adorazione per la sua moto, l’inseparabile compagna che prima era verde e poi è diventata azzurra, perenne sinonimo di libertà e movimento. Infine c’è l’intensa evocazione di un luogo accesa da questo album: la Milano contemporanea, però vista dal covo fisico di periferia, in mezzo alla Bovisa, dove Venerus e i suoi soci concepiscono la loro musica e i loro percorsi. Milano c’è molto in questo disco, ma con atmosfere ed echi diversi da quelli a cui ci sta abituando la metropoli lombarda. La Milano di Venerus (che pure è milanese solo d’adozione) non è feroce, ma artigianale e pacata, raccolta, sognatrice e di tanto in tanto un po’ stonata, estranea ai deliri di prepotenza del nuovo skyline drogato di grandeur.
“Speriamo” col suo plafond di morbido ottimismo e un po della speranza evocata nel titolo, è un gran bel lavoro, che rafforza lo spessore di un artista che anche dal vivo è capace di offrire performance di notevole livello. Resta solo l’interrogativo su quando e come arriverà per lui il salto di qualità in una popolarità per adesso confinata a un culto allargato. Venerus merita di più e viene in mente la parabola di Lucio Corsi, un altro che, come lui, per anni è sembrato prigioniero di una riserva indiana della musica italiana – buona ma non abbastanza accessibile da diffondersi seriamente. Per Corsi, l’incantesimo s’è rotto a Sanremo, per la congiunzione astrale tra il suo personaggio stravagante, il pezzo che ha presentato e le carenze del resto del repertorio festivaliero. Da lì è decollato. Per Venerus l’operazione ci sembra più difficile, perché la sua appartenenza musicale ha ancor meno assonanze con le abitudini del grande pubblico. Ma il colpo di fortuna potrebbe arrivare nel momento più inatteso. L’importante è che lui abbia la costanza di attendere, senza recedere dalle sue convinzioni e dalle sue vocazioni, che davvero lo descrivono come una delle cose più serie della musica italiana di oggi.