Pablo Reyes e la lezione gitana dei Gipsy Kings, dove la musica resta umana anche nell'èra dell'Ai

Raffaele Rossi

“La chitarra deve vibrare, non simulare”. Il fondatore della band racconta come la tradizione musicale resista tra streaming, remix e intelligenza artificiale. Il 30 dicembre a Roma l'unica data italiana per rivivere Bamboleo e gli altri grandi successi. Intervista

“La tecnologia può aiutare, ma non può sostituire la pelle, il respiro, il battito delle mani. La chitarra deve vibrare, deve parlare. Ben venga se le nuove tecnologie possono aggiungere emozione, l'importante è che non si perda la verità del tocco umano”. Nell'attesa della sua unica data italiana, il 30 dicembre a Roma, Pablo Reyes, membro fondatore dei Gipsy Kings, racconta al Foglio ciò che rischia di essere dimenticato: la musica nasce dal corpo, non dalle macchine. Per lui, “ogni strumento, se usato con cuore e rispetto, può essere utile. Ma l'intelligenza artificiale non ha emozioni. La musica gitana nasce dall'anima, dalle storie vere. E questo nessuna macchina potrà mai imitarlo davvero”. Una dichiarazione poetica, ma anche un manifesto etico per difendere la verità del gesto umano senza chiudere la porta alla modernità. Per Reyes, “la musica cambia forma, non essenza. Lo streaming ci permette di arrivare a ragazzi che non erano ancora nati quando uscì Bamboleo. È bello sapere che la nostra storia continua anche attraverso uno schermo. Ma serve curiosità per scoprire da dove veniamo, le nostre radici. Solo così la tradizione può davvero vivere”.

 

Trentotto anni dopo, il brano che rese celebri i Gipsy Kings resta un dono. “È stata una rivoluzione nella mia vita e nella nostra storia musicale. Non pensavamo che una canzone nata in modo così naturale potesse arrivare ovunque. Quando sentii la gente cantarla in paesi dove non si parlava una parola di spagnolo – rivela – capii che la musica può davvero unire le culture. E oggi, ogni volta che la suono, è come se fosse la prima volta”. Flamenco, pop e ritmi latini. La tradizione è “la radice” dei Gipsy Kings ma, come ricorda Reyes, “la musica è viva e cambia con noi. Ogni generazione di gitani porta qualcosa di nuovo”. Per questo bisogna restare “fedele al cuore della rumba, ma senza mai avere paura di sperimentare, purché si rispetti l’anima della musica”.

 

 

Sabato 15 novembre il chitarrista riceverà un Premio Speciale alla Carriera al Montecarlo Film Festival, un traguardo che guarda al passato ma anche al futuro. “Mi piacerebbe lavorare di più con i giovani – ammette – e far capire che il flamenco e la rumba non sono solo suoni, ma una cultura, un modo di vivere. Forse un giorno creerò una scuola o un progetto dedicato alle nuove generazioni”.

Reyes sarà poi all’Auditorium Parco della Musica di Roma il 30 dicembre, accompagnato da una band di otto musicisti, per l'unico concerto italiano in cui i grandi successi dei Gipsy Kings si intrecceranno con alcune cover. “Volare, My Way, Hotel California erano già capolavori, ma noi le abbiamo vestite con la nostra anima gitana. La musica non ha confini, e ogni volta che il pubblico canta con noi, capisco che quelle canzoni appartengono a tutti”, racconta la leggenda del flamenco. Con l'Italia, Reyes ha un rapporto speciale: “È come una seconda casa, c’è una sensibilità latina che somiglia molto alla nostra”.

 

   

Cresciuto nella comunità gitana di Arles, nel sud della Francia, ricorda i suoi inizi. “La musica era ovunque, nelle strade, nei matrimoni, nelle feste. La mia prima chitarra non era nemmeno vera, era fatta di legno e filo di ferro. Suonavo con il cuore, e da lì è partito tutto”. Oggi i brani dei Gipsy Kings vengono remixati e reinterpretati da DJ e produttori di tutto il mondo. Per il cantante, “alcune versioni sono bellissime e dimostrano che la musica è viva”. Per il futuro immagina un dialogo tra la chitarra e la tecnologia, senza perdere mai la verità dell'emozione, “per unire il ritmo gitano con le nuove sonorità elettroniche, magari in un progetto visivo, interattivo”. Una cosa per Pablo Reyes non cambierà mai: “Quando prendo la chitarra, chiudo gli occhi e suono quello che sento. Finché ci sarà questa sincerità, la musica vivrà per sempre”.


 

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