(foto di Ilaria Ieie)

oltre l'Avant-pop

Guido Savini, direttore artistico di C2C Festival, racconta l'ultima edizione da record a Torino: “Sergio Ricciardone vive con noi”

Luca Roberto

Oltre 42 mila presenze, con un 40 per cento dall'estero: oramai il Festival è da anni nelle liste dei consigli delle riviste di settore. "Garantire la continuità è il tributo massimo che potevamo e dovevamo fare a Sergio", dice Savini. Il segreto del festival? "E' la terra di mezzo tra mainstream e avanguardia l'unico luogo di esplorazione veramente interessante"

Jamie xx risale sul palco. Ha chiuso il suo set nell’ex area Expo di Milano ma ha voglia di mettere su un altro paio di dischi: sceglie “No Time no space” di Franco Battiato e “There’s a light that never goes out” degli Smiths. Sono dedicati alla memoria di Sergio Ricciardone, storico fondatore e direttore artistico per oltre vent’anni del C2C Festival (prima si chiamava Club to club) di Torino. Era fine marzo, Ricciardone era morto da pochi giorni, a 53 anni. Fu un’immagine capace di spiegare in pochi frame cos’è C2C oggi. Un festival, ma anche una comunità. Di artisti, utenti, organizzatori, uniti da una eguale considerazione della musica: ricerca, innovazione, anticipo di futuro. La ventitreesima edizione di C2C Festival, tenutasi nel capoluogo sabaudo dal 30 ottobre al 2 novembre, è stato tutto questo e di più: una prima volta senza la mente che ha dato origine a tutto, e a cui il Festival è stato dedicato sin dal motto che scriveva sempre nelle sue mail: Per aspera ad astra. “Una delle tante peculiarità di C2C Festival è l’‘approccio artistico’ alla direzione artistica: non si tratta di riempire caselle in una programmazione, a monte c’è un lavoro di connessione che permette agli artisti di sentirsi parte di un qualcosa di più grande, creando un’interconnessione tra diverse narrazioni che apparentemente potrebbero sembrare distanti. Solo così credo possa succedere che Jamie xx citi Battiato”, dice parlando al Foglio Guido Savini, direttore artistico di C2C Festival, che per oltre un decennio ha lavorato gomito a gomito con Ricciardone nell’ideazione di questa creatura che oramai, secondo una rivista musicale di culto come Pitchfork, è il “place to be” di chi vuole ascoltare e conoscere cose nuove. Di quale genere? Lasciate perdere le etichettature usuali: qui lo chiamano “avant-pop”, tutto ciò che in un futuro, magari, suonerà pop e adesso è nuovo, fresco, ricercato, con le contaminazioni più diverse. Ma senza troppa spocchia. Proprio quell’evento milanese ha segnato uno spartiacque per C2C Festival. “E’ stata la nostra solita produzione monumentale, ma in una nuova venue di Milano mai usata prima da nessuno, che portava con sé tutte le incognite del caso. Il coefficiente di difficoltà è sempre elevato, in pieno stile C2C Festival: l’evento era cinque giorni dopo il funerale di Sergio, ad oggi non ho idea di come abbiamo fatto”, racconta al Foglio Savini, nella sua primissima intervista dopo la conclusione dell’edizione del festival di quest’anno (con Ricciardone avevano condiviso e apprezzato una vecchia intervista concessa dall’allora direttore artistico al nostro Michele Masneri e pubblicata sul Foglio: negli uffici del festival ne conservano ancora una copia. Onorati).


E’ uno dei festival musicali più longevi d’Italia. Quest’anno 42 mila presenze, il 40 per cento dall’estero. Savini: “Merito della continuità”


In passato qui hanno suonato nomi come Thom Yorke, Aphex Twin, Bicep, Jamie xx, Battiato, per l’appunto. Quest’anno tra le Officine grandi riparazioni (Ogr Torino), il Lingotto Fiere, il Combo e le altre location sparse per la città c’erano artisti quali Blood Orange, A.G. Cook, Four Tet, Floating Points. E poi ancora Iosonouncane e Daniela Pes col loro nuovo progetto musicale, Nicolas Jaar accompagnato dal compositore pachistano Ali Sethi, Dj Rum. Ma anche chicche come il rapper newyorchese Billy Woods. In totale 68 artisti con 21 show in esclusiva nazionale e 7 debutti. Insomma, un unicum nel panorama italiano ed europeo. Il risultato è stata un’edizione da record con 42 mila presenze, oltre il 40 per cento delle quali estere (ci è capitato di parlare con persone da tutto il mondo: artisti irlandesi e amabili ragazze di Caserta). Il suo predecessore Ricciardone sarebbe felice di aver lasciato questa eredità? “Come abbiamo detto più volte, garantire la continuità stessa di C2C Festival è il tributo massimo che potevamo e dovevamo fare a Sergio”, spiega il direttore artistico Savini. “In fin dei conti, abbiamo fatto tutte le scelte che sarebbero state fatte comunque: non si può parlare di rinascita, ma di prosecuzione di ciò che Sergio aveva iniziato, senza alcun tono nostalgico. I numeri da record credo che siano una naturale conseguenza di tutto questo”.

 

Savini lavora a C2C Festival da più di un decennio, ne conosce le meccaniche profonde alla perfezione, ma sapeva benissimo quali potessero essere i rischi di questa edizione. Quando gli chiediamo se abbia pensato di non raggiungere gli standard del suo predecessore, risponde così: “Non ho mai avuto il minimo dubbio sul mantenimento del livello qualitativo, ho personalmente vissuto un affiancamento incredibilmente estensivo di più di 10 anni per il quale posso dire di essere stato sostanzialmente addestrato a gestire tutto questo. Detto ciò, siamo in Italia che come dico sempre ‘non è un paese per festival’, il contesto è incredibilmente limitante dal punto di vista delle regolamentazioni. Quindi, per quanto sia stato sempre certo della qualità, una parte di me temeva e teme sempre che possano esserci complicazioni fuori dal nostro controllo. Mi sono svegliato lunedì e mi sono detto ‘ce l’abbiamo fatta’”.


“Il mainstream e l’avanguardia da soli sono noiosi: è la terra di mezzo lo spazio che ci piace esplorare. Accettiamo l’imprevedibilità”


Se ce l’hanno fatta è anche perché C2C Festival oramai, sulla mappa internazionale, vuol dire Torino (anche se delle edizioni spin off si sono tenute a New York, Londra e Istanbul, nel corso degli anni). E Torino, come ebbe a dire qualche anno fa l’ex direttore del Salone del Libro Nicola Lagioia, piace sempre di più ai giovani che hanno velleità artistiche. Una specie di piccola Berlino, con un costo della vita ancora accessibile. Ma quanto Torino è stata influenzata in questi anni dalla crescita del C2C Festival e quanto il C2C Festival è cambiato insieme alla città? “Torino ha diverse anime: barocca, industriale e contemporanea. C2C Festival le reinterpreta attraverso la scelta delle proprie location iconiche che, a loro volta, vengono ulteriormente trasformate con produzioni tecnologicamente complesse. Cerchiamo anche di integrare l’esperienza enogastronomica, senza dimenticarci ovviamente il contesto dell’Art Week”, racconta il direttore Savini, che per alcuni anni Torino l’ha lasciata scegliendo di fare esperienze altrove. “Tutti questi elementi creano uno shock meraviglioso per chi viene per la prima volta al festival, che spinge a riprenotare l’anno successivo: i dati che abbiamo ci dicono che il tasso di ‘ritorno’ è molto importante. Stiamo inoltre parlando di uno dei festival più longevi d’Italia, con 25 edizioni – se contiamo quelle pandemiche. Torino, in tutti questi anni, ha vissuto diverse fasi, passando dalla crisi di identità post-industriale fino a diventare quello che è adesso, tra le altre cose secondo me uno dei posti migliori dove vivere in Italia se sei un giovane curatore o artista. Allo stesso modo anche il festival si è trasformato. Un tempo aveva una dimensione ‘club’ da motor city, oggi è un qualcosa di molto più grande sotto diversi aspetti: dal punto di vista delle capienze, del livello della produzione e del peso specifico degli artisti, si è scrollato di dosso l’idea ormai vecchia di ‘musica elettronica’ ed è diventato una reference a livello globale per la sua programmazione ultra eclettica”.

(foto di Fabiana Amato)

Parallelamente alla crescita del festival, infatti, nel corso degli ultimi venti anni la città, non particolarmente in salute dal punto di vista occupazionale o della crescita economica, ha visto nascere e progredire tutta una serie di spazi votati alla musica, agli eventi, alla produzioni artistiche, che poi diventano teatro perfetto per ospitare C2C Festival: le Ogr Torino, le fonderie Limone, la sala da ballo le Roi. Torino è oramai una delle capitali europee della musica, forse soprattutto elettronica? Quanto in questo è stata importante la collaborazione delle istituzioni, a partire da sindaco e presidente di regione? “Come diceva sempre Sergio: ‘musica elettronica’ è un termine del Novecento, oggi tutta la musica è elettronica. E’ un aggettivo che non ha più senso”, corregge subito il tiro Savini. “Mi rende molto felice la crescita degli eventi diffusi in città. Volendo analizzare e motivare i numeri di affluenza record complessivi (42 mila partecipanti) di tutto il festival, ci siamo potuti arrivare grazie agli eventi fuori da Lingotto Fiere, il quale va sold out ormai da quattro anni. Le istituzioni hanno avuto un ruolo cruciale nell’evoluzione di C2C Festival e sono felice e riconoscente che, in quest’anno così difficile in cui era a rischio l’esistenza stessa della manifestazione, abbiano preso così a cuore la causa. C2C Festival è un patrimonio del territorio da preservare e far crescere, che esiste solo se frutto di uno sforzo collettivo che coinvolge attivamente gli stakeholder pubblici. Le insidie ovviamente non sono finite, continueremo ad avere bisogno dell’aiuto di tutti, d’altronde va sempre ricordato che siamo un’entità italiana completamente indipendente che approccia un contesto globale fatto di player con altri poteri di acquisto e spesso di proprietà di colossi multinazionali”. Nel frattempo, a proposito di dialogo con le istituzioni, il festival è arrivato persino in Parlamento perché alla morte di Ricciardone il deputato di Avs Marco Grimaldi (torinese) nel ricordarlo ha fatto risuonare una canzone dei Moderat nell’emiciclo.


“Torino ha un’anima barocca, industriale e contemporanea. C2C Festival le reinterpreta attraverso le location iconiche che scegliamo”


Qual è l’immagine, l’aneddoto, che più le rimarrà di questa edizione? “Un caro amico prima di lasciare Torino mi ha detto che gli esseri umani muoiono due volte: la prima quando smettono di respirare e la seconda quando le persone smettono di pronunciare il loro nome. Dopo quello che abbiamo fatto quest’anno, Sergio è più vivo che mai”, racconta in tono intimo Savini. Il quale dell’eredità del suo mentore e amico vuole far vivere anche l’idea che C2C Festival possa vendere biglietti pur non annunciando nemmeno un artista, come atto di fedeltà a un marchio di qualità (quest’anno tre show erano segnati sul timetable con un punto interrogativo: alla fine si sono esibiti Bill Kooligas, Kode9 e Nicolas Jaar, alcuni dei nomi che più si sono legati alla storia e alle ultime edizioni della kermesse). “Io e Sergio abbiamo sempre usato questo concetto come un’iperbole per spiegare quanto sia importante il rapporto di fiducia, lasciami dire mutuale, tra noi e la community del festival. Il festival già oggi vende il 30 per cento dei biglietti senza annunciare la line up e so che questo numero crescerà tra due settimane quando andremo in vendita con il 2026”, è fiducioso il direttore artistico.

(foto di luum collettivo)

Un’altra forte impronta del C2C Festival è l’uso dei brand (per esempio Stone Island, che dà nome a uno dei palchi, ma anche Juventus, che identifica con la città) ma con un gusto e un’estetica che fanno anche dei marchi una delle componenti delle venue: è anche questo uno dei vostri segreti? “Come raccontavo, C2C Festival è un progetto indipendente, che passa necessariamente attraverso uno sforzo collettivo e vive grazie al sostegno imprescindibile di partner pubblici e privati, in grado di condividere e comprendere appieno la nostra visione e i nostri valori”, racconta ancora il direttore Savini. “Non parliamo mai di sponsor, ma di partner con cui si genera una forte fiducia reciproca. Con Stone Island, ad esempio, condividiamo la tensione costante verso la ricerca, una forte dimensione internazionale e, al tempo stesso, l’identità fortemente italiana. Da questa affinità è nato lo Stone Island stage, una configurazione che rompe gli schemi del tradizionale rapporto tra palco, pubblico e artista, con il suo iconico design a 360°, pensato per offrire un’esperienza ancora una volta radicale”. La programmazione musicale ovviamente viene cucita attorno a questo “radical dancefloor”. “Anche con Juventus la collaborazione è stata avviata nel 2019, si tratta di un unicum a livello globale: non credo esistano altri esempi di partnership tra un festival e la squadra di calcio della propria città”, prosegue Savini. “Mi fa inoltre molto piacere la presenza di Alfa Romeo che è stato uno dei primi partner del festival, ormai più di quindici anni fa, il cui ritorno è particolarmente simbolico”.


“Le istituzioni e i partner hanno avuto un ruolo determinante nella nostra evoluzione. E’ il modo che abbiamo per restare indipendenti”


Lo sguardo del direttore artistico e della sua squadra, a ogni modo, è già rivolto alle edizioni a venire. Qual è l’obiettivo per il prossimo anno? Il concetto di avant-pop sarà sempre il vostro faro? “Sia il mainstream sia l’avanguardia, presi separatamente, risultano terribilmente noiosi”, ci confessa allora in conclusione Savini. “La terra di mezzo tra questi due mondi rimane per noi l’unico luogo di esplorazione veramente interessante. Detto questo, non sarebbe nello spirito di C2C Festival precludersi qualcosa per il futuro e per quanto diciamo spesso che la nostra missione sia cercare di anticiparlo dobbiamo anche accettarne l’imprevedibilità”. Per aspera ad astra.

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  • Luca Roberto
  • Pugliese, ha iniziato facendo vari stage in radio (prima a Controradio Firenze, poi a Radio Rai). Dopo aver studiato alla scuola di giornalismo della Luiss è arrivato al Foglio nel 2019. Si occupa di politica. Scrive anche di tennis, quando capita.