Elektro Guzzi (foto ©KLAUS PICHLER, outfit Ferrari Zöchling)
la techno è viva
Gli Elektro Guzzi al centro liquido del suono. Dove finisce la macchina e comincia l'uomo
Il trio austriaco riscrive la techno con strumenti da rock band. E, con "Liquid Center", riporta il ritmo al suo battito umano. “Volevamo tornare a ciò che siamo davvero: tre persone in una stanza a creare musica in tempo reale e registrarla mentre prende forma. Abbassare il volume per fare più attenzione ai dettagli”
C’è chi programma la techno, e chi la suona. Da quindici anni gli Elektro Guzzi mettono chitarra, basso e batteria al servizio di un suono che pulsa come una macchina, ma respira come un corpo. Il trio austriaco – Bernhard Breuer, Bernhard Hammer e Jakob Schneidewind – vive da sempre su quella linea sottile dove la fisicità di una rock band incontra l’astrazione dell’elettronica. Con Liquid center tornano al cuore del proprio linguaggio: spogliano la musica di ogni orpello fino a toccarne l’essenza, un punto mobile e fluido in cui la costruzione lascia spazio all’esperienza pura, viva, irripetibile. “Volevamo tornare a ciò che siamo davvero: tre persone in una stanza a creare musica in tempo reale e registrarla mentre prende forma”, raccontano. “È lì che abbiamo scoperto che più suoniamo piano e concentrati, più il suono diventa grande, pieno, vivo”. Nel nuovo album, la sottrazione è la chiave. “Abbassare il volume ci ha portati a suonare in modo più attento ai dettagli”, spiegano. “Non ci sono strutture classiche, ci lasciamo guidare dal suono, cercando di creare stati d’animo più che arrangiamenti”.
Quel ritorno alla semplicità ha richiesto tempo. Un anno intero è stato dedicato alla ricerca di una tecnica di registrazione che conservasse, allo stesso tempo, la regolarità del sequencer e l’imprevedibilità del gesto umano. “La svolta è arrivata con Radiant, la prima jam che conteneva tutto quello che cercavamo. Nella versione successiva, è finita sul disco. Lì abbiamo capito che il suono nuovo era nato”.
  
Il nome Elektro Guzzi ha una sua ironia implicita: bit e olio motore, digitale e vintage, club e officina. “Non c’è una grande idea dietro”, ammettono. “Ci faceva semplicemente ridere, e ci sembrava pieno di possibilità. In Italia, poi, piace sempre tantissimo”. Sarà perché, da noi, quel Guzzi suona subito rotondo come il rombo di una moto. In un’epoca in cui il silenzio delle auto elettriche sostituisce lo strepito dei pistoni, e l’AI sconfina nel campo dell’arte, viene spontaneo chiedersi quale sarà il suono del futuro. “Per noi la musica è sempre stata un modo per mettere l’aspetto umano al centro”, dicono. “È l’unico modo per distinguersi dalla musica generata dall’AI: contrapporre all’intercambiabile e al prevedibile qualcosa di profondo, enigmatico, irripetibile”.
  
Se agli esordi venivano chiamati “cavalieri della techno acustica”, oggi la loro traiettoria sembra orientata più alla percezione che alla pista da ballo. “Forse stiamo solo invecchiando”, scherzano. “Ma è vero: per anni abbiamo lavorato per rispettare la funzionalità della musica da club. Era meraviglioso vedere la gente ballare come davanti a un dj set, ma sapendo che la musica nasceva lì sul momento. Questa volta però non avevamo il club in mente. Questo disco funziona meglio con le cuffie, o su un impianto hi-fi: è un’esperienza più interiore, più aperta”.
Mantenere viva un’alchimia a tre non è semplice, ma la loro geometria rimane sorprendentemente stabile. “In tutti questi anni non abbiamo mai avuto veri conflitti artistici. Certo, discutiamo sui dettagli, ma abbiamo ancora tante idee da realizzare. È questo che ci tiene insieme, anche nei momenti difficili. Sappiamo che questa band può esistere solo grazie a noi tre, e per questo ce ne prendiamo cura”. Eppure, dicono, si vedono più come una piattaforma aperta. “Abbiamo sempre collaborato con musicisti diversi e lavorato a progetti paralleli. Vogliamo continuare così e far crescere la nostra etichetta, Palazzo Recordings, con artisti sempre più vari”. E quando vedono altri artisti che sembrano riprendere la loro visione? “Ci fa solo piacere. È bello riconoscere un’eco delle nostre idee in altri lavori. È così che funziona l’arte: prendi un’idea, la trasformi, ne crei un’altra. Noi stessi non esisteremmo senza Underground Resistance o Basic Channel”. In un tempo in cui tutto tende a essere algoritmo, gli Elektro Guzzi continuano a difendere il mistero del suono umano: quel punto liquido dove il gesto diventa ritmo.