Bouganville, la vita non esattamente a fuoco dei nuovi trentenni

Raffaele Rossi

Il secondo disco della band romana, tra contrasti e sfocature. “Raccontiamo la nostra avventura in un mondo instabile, con paura, curiosità e una colonna sonora da film poliziottesco anni '70”

“A trent'anni cominci a fare i conti con il lavoro, le responsabilità, le scadenze. Ti accorgi che non c'è più nessuno che sistema le cose al posto tuo. Sei tu, da solo, a doverle tenere in piedi. E quando vai a una festa, tra chi cambia pannolini e chi smaltisce la sbornia, ti rendi conto che non esiste più un solo modo di crescere”. Da questo contrasto nasce Non Esattamente a Fuoco, il nuovo album dei Bouganville, band composta da due musicisti romani e due partenopei capaci di intrecciare radici anni '60 e '70, visioni psych e scrittura alternative pop. Dopo l'esordio con La Grande Evasione nel 2022, il nuovo lavoro del quartetto ruota attorno a una domanda tanto semplice quanto inevitabile: Cosa significa avere trent'anni oggi? Ci si muove tra feste techno e cambi di pannolini, documenti incomprensibili, risparmi che svaniscono all'alba di un festival, telefoni scarichi e amici dispersi per la città. Tutto corre veloce, cambia forma, si sfoca. Ma è proprio dentro questa sfocatura che si cela il cuore del disco. Tredici brani che vivono di divergenze e cambi repentini, con una sensibilità contemporanea capace di assorbire il caos del presente e restituirlo in una forma nuova. A chiudere il cerchio c'è Coca Puma in Lo faccio per te oltre a un immaginario visivo che traduce la stessa instabilità in un dialogo ideale tra le sperimentazioni fotografiche di Erwin Blumenfeld e le illusioni ottico-dinamiche di Alberto Biasi. Nessun filtro digitale, solo materia e prospettiva. Come nella musica, anche nell'immagine tutto resta sfocato, mobile, mai fissato in un contorno netto.

  

Cosa non è esattamente a fuoco oggi per voi?
Le relazioni. Uno vorrebbe che fossero sempre limpide, ma non lo sono mai. Forse dovremmo smettere di volerle mettere a fuoco. Questo disco è un promemoria. Ci illudiamo di poter mettere a fuoco le cose, ma in realtà niente è davvero chiaro o definito.

La felicità è sempre instabile e incerta, diceva Seneca.
L'instabilità ci circonda, ma adesso è come se fosse iniziato un cammino, una specie di avventura in un mondo instabile. Noi abbiamo voluto raccontarla così com’è. Con un po' di paura, ma anche con curiosità e fascinazione. È una fase forte della nostra vita.

Come vi hanno ispirato Erwin Blumenfeld e Alberto Biasi?
Quando è uscito il primo singolo, Ventinove, ancora non avevamo deciso il concept grafico. Poi, per caso, ci siamo imbattuti nelle opere di Blumenfeld: lui fotografava i soggetti dietro vetri scanalati. Abbiamo comprato anche noi un vetro del genere e abbiamo iniziato a sperimentare. Ci siamo innamorati anche delle opere ottico-cinetiche di Biasi dove le immagini cambiano in base al punto di vista. Vorremmo implementare delle grafiche simili nei nostri prossimi live.

Quali sono state invece le vostre ispirazioni musicali per il disco?
Ci siamo dedicati alla visione di alcuni film anni '70 sulla malavita milanese, per esempio Milano Calibro 9 e La Mala Ordina. E ci hanno colpito molto le due colonne sonore. In La Mala Ordina c’è Armando Trovajoli, in Milano Calibro 9 gli Osanna, una band che non conoscevamo e che ci ha ispirato parecchio. Da lì abbiamo iniziato una ricerca che avevamo già avviato col primo disco, quel sound funk-poliziesco ci diverte molto. Apprezziamo tantissimo anche i Calibro 35, un punto di riferimento nel loro modo di sperimentare e omaggiare il sound anni '70.

Sentite di aver trovato il vostro percorso in questo filone?
Sì. Però manteniamo una forte componente dance anni '90. Siamo andati in fissa con Surrender dei Chemical Brothers, un classico che abbiamo riscoperto ultimamente.

Per questo nel disco c'è una canzone che si chiama L’importanza della techno?
A livello di sound è sicuramente in linea con quell'estetica. Però il senso della canzone è diverso. È nata osservando questo fenomeno per cui, verso i 27 anni, tutti gli amici improvvisamente si fissano con la techno. È un fenomeno culturale fortissimo e abbiamo voluto raccontarlo.

Come mai avete scelto di coinvolgere Coca Puma in Lo faccio per te?
Abbiamo scritto il disco in uno studio dove andavamo due o tre volte a settimana per circa un anno e mezzo. Lì è passata anche Costanza (Coca Puma), è un'amica di Roma. Un giorno le abbiamo fatto ascoltare uno strumentale, quello che poi è diventato Lo faccio per te. Le è piaciuto e ha chiesto di provarci sopra una melodia.

Quanto ha influito la scena romana sulla vostra musica?
Noi siamo nati come progetto nel 2017, quando la scena romana era verso la fine del suo ciclo. Ma ci ha influenzato tanto, perché ci ha fatto capire che si poteva fare musica in modo libero, senza passare per grandi produttori o dai canali tradizionali. Negli anni sono anche venuti a mancare alcuni locali che erano punti di riferimento, come Le Mura o il Circolo degli Artisti. Adesso però sembra che qualcosa si stia muovendo. C'è più partecipazione, più curiosità. E se oggi possiamo pensare a un progetto musicale libero in Italia, è anche grazie a quella scena che ha aperto la strada.

 

Di più su questi argomenti: