Scatta l'OraZero per Renato: “Dopo 75 debutti il mio elisir è sempre il pubblico”

Raffaele Rossi

Al teatro Brancaccio di Roma, il cantautore presenta i 19 inediti del suo nuovo album tra aneddoti, riflessioni e l'utopia kitsch dei suoi "sorcini". “Sono diffidente per Sanremo, è spericolato scegliere artisti in base ai loro fan sui social. Ultimo? Magari scrivesse una canzone per me”

Non un’opera teatrale, né uno show di stand-up comedy. Ma una liturgia che Renato Zero ama definire i suoi “75 debutti” – perché, per lui, ogni volta è come se fosse la prima. Il popolo dei “sorcini”, un angolo di utopia kitsch, sfida il grigiore della routine quotidiana e inonda il teatro Brancaccio in via Merulana, per festeggiare il compleanno del proprio idolo e ascoltare insieme a lui il nuovo album L'Orazero, in uscita venerdì 3 ottobre. Diciannove canzoni tra “sogni e contraddizioni”, in controtendenza con i dischi mordi e fuggi da piattaforma digitale.

 

L’atmosfera che si respira nella mezz'ora precedente all'uscita sul palco di Zero è incandescente: cori, applausi e il tipico conto alla rovescia – da 10 a Zero – per accogliere Renato Fiacchini. In platea i fan più accaniti ma anche gli amici di una vita, quelli del Piper di via Tagliamento e chi, come Mariella Nava e Stefano Di Battista, lo ha aiutato nella stesura dell'album. Come devoti in pellegrinaggio, i fan di ieri e di oggi mostrano con onore con la propria divisa personale per lo show: dalle t-shirt del tour Autoritratto del 2024 alle collane di Zerovskij del 2017. E chi non ha il merchandising del proprio idolo indossa giacche di paillette, cappelli a bombetta bianconeri e borchie che sfidano le leggi di gravità. Tutti per far parte di una stessa famiglia. Come Angela, una delle più sfegatate fan romane di Renato, che sfoggia fiera la maglietta di Zero a Zero, mentre dietro di lei due giovanissimi si guardano intorno, rapiti da un mondo nuovo, ma pieno di storia. In mezzo a questa folla di sogni e colori, un piccolo paradosso: qualcuno, distratto, segue sul cellulare la partita Milan-Napoli. Un curioso mix di realtà e fantasia, dove la normalità è un concetto che non trova spazio.

 

Arriva lui, Renato Zero, in carne e ossa, per descrivere al pubblico ogni singola canzone che compone L'Orazero, “un viaggio musicale che non è solo una normale collezione di brani, ma una riflessione sulla condizione umana”, dice, “in quest'epoca di guerra e precarietà che stiamo vivendo”. Parla del Piper, di Gigi Proietti, di Lucio Dalla, ma anche della sua infinita ricerca di connessione con il pubblico. “Scendere in platea? È un godimento che neanche Wanda Osiris”, dice, facendosi largo tra le poltrone di velluto rosso del Brancaccio per arrivare a baciare sua sorella. Lui vuole essere tra il suo pubblico, per “toccarlo, annusarlo”. La vicinanza con le sue “anime” è un'ossessione, ed è proprio questo uno dei segreti della sua longevità artistica. “Il mio elisir è il pubblico. Dietro l'ostilità di pochi trovai l'abbraccio di molti. Sono uno che ha anticipato i tempi: il mio orologio era sempre avanti, un dato che ha anche, negativamente, messo in crisi il mio operato”. Perché, continua Zero, “quando sei avanti, la gente ti guarda strano e ti senti non aderente al tempo. Come quando ho cantato di pedofilia in Qualcuno mi renda l'anima. A quei tempi, gli anni Settanta, la gente mi diceva che non esisteva nulla del genere”. E, continua a ricordare, “anticipai anche il tema di una pandemia globale quando nel 1983 cantai Contagio”.

  

  

C'è sempre quello Zero che conosciamo, quello che parla di “diversità non come un tema da dibattere, ma come una condizione da vivere”. Perché “il nemico siamo noi stessi”, dice. La sua è una battaglia “intima”, un conflitto interiore che vede riflesso negli occhi del pubblico. Un’arte, la sua, che “non è mai stata solo intrattenimento, ma uno specchio che ci obbliga a guardare dentro di noi”. Parla anche della “voragine che c'è tra gli artisti della mia generazione e quella attuale”, quella che Zero chiama “la nuova primavera”. Per lui “giovani come Ultimo e Diodato rappresentano una fascia di spessore, che vuole lasciare una traccia”. Proprio sul cantautore romano rivela: “Anna, la mamma di Ultimo, è una mia amica da tanti anni. Suo figlio è cresciuto a pane e Renato. Magari la scrivesse, una canzone per me!”. Esprime “diffidenza per questo Sanremo”, e definisce “spericolato scegliere artisti in base ai loro fan sui social”. Per Zero, “bisogna dare spazio a tutti: dal pop al rock, dal rap alla canzone d'autore. Non si deve lasciare a casa nessuno”.

 

L'artista, che gode di un “pullulare di sosia preoccupante”, dice di non smettere – dopo oltre 50 anni di carriera – di attingere dai musicisti più rivoluzionari: “Nina Simone, John Lennon, Bob Dylan… loro hanno preso la musica e ne hanno fatto una trincea”. La voce di Via Tagliamento rivela un sogno ancora da realizzare: “Mi piacerebbe girare un film, quello che non riesco a raccontare in musica vorrei raccontarlo sullo schermo”. Prima però, lo sguardo è rivolto a gennaio 2026, quando tornerà in tour nei palasport italiani: si parte da Roma per toccare poi i palchi di Firenze, Torino, Mantova, Conegliano, Bologna, Pesaro, Eboli, Bari e Messina. Salutando il pubblico, Zero chiude il cerchio con la sua frase più vera:“Non dimenticatemi”. Ma, nel mondo che ha costruito, questo rischio non c'è.

Di più su questi argomenti: