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L'intervista
“Il problema non è Beatrice Venezi. Il problema è di Venezia”. Parla l'ex sindaco Paolo Costa
“La politica non c’entra: imporre un direttore musicale all’orchestra che lo disconosce è inaccettabile”, spiega il primo cittadino che si occupò della ricostruzione del teatro la Fenice. “Alla città serve un profilo di fama mondiale, non un esperimento calato dall’alto”
“Il problema non è Beatrice Venezi. Il problema è di Venezia”. Cioè? “Questa città non può permettersi di perdere altre eccellenze”. E la nomina della nota direttrice d’orchestra ai vertici del Gran Teatro La Fenice, con annesso polverone mediatico-musicale, non andrebbe in questa direzione. “Affatto. Fino a ieri si parlava di un nome del calibro di Myung-Whun Chung, che infatti è andato alla Scala di Milano. Com’è possibile aver ripiegato su Venezi?”. Andrebbe chiesto al sovrintendente Nicola Colabianchi, factotum dell’iniziativa. “È qui da pochi mesi: forse non ha ancora capito come funziona Venezia”, suggerisce Paolo Costa, l’ex sindaco lagunare che due decenni fa s’incaricò della “ricostruzione fisica e morale” della Fenice dopo il terribile incendio del ’96. “Da allora il teatro ha vissuto una crescita importante. Molti sovrintendenti sono stati consci del loro compito, identificandosi nel progetto urbano-culturale. La Fenice consegnata a Colabianchi era una gran Fenice: non a caso il suo predecessore è finito alla Scala”. Anche lui. “Ma è normale meritocrazia. Così invece il danno tollerabile si trasforma in beffa irricevibile: Venezia ha bisogno di un direttore ricercato da tutta Europa. Non di un esperimento calato dall’alto”.
Colabianchi si ostina a ripetere che Venezi rappresenta una novità in quanto giovane e donna. Porterebbe le nuove generazioni a teatro. “E se il direttore sbaglia e non fa bene, che cosa attira?”, ribatte Costa. “Le reazioni di questi giorni, semmai, sono le disdette degli abbonati storici”. La Fenice s’indigna, pubblico e orchestra fianco a fianco: sabato sera, alla fine di un concerto, dal palco e dal loggione sono piovuti volantini di protesta – come da tradizione del teatro, portatore di coscienza civica sin dal Risorgimento. “La sovrintendenza deve capire che non si tratta di un fatto burocratico, ma innanzitutto musicale: è inaccettabile imporre un direttore all’orchestra. Gli uni si affidano all’altro: se una parte non funziona, salta il tutto. Ci vogliono anni per costruire una buona orchestra, ma basta un attimo per distruggerla. Un maestro di questo teatro ha bisogno di determinate capacità e riconoscimento internazionale”.
Costa, che pure era stato ministro dei Lavori pubblici durante il primo governo Prodi, ci tiene a sottolineare che “queste considerazioni vanno al di là di qualunque cavolata politica: se la buttiamo su quei binari non si finisce più”. Il pretesto c’è tutto – Venezi è marcatamente meloniana, Colabianchi pure, quando lui era sovrintendente a Cagliari lei era un’habitué del teatro sardo, entrambi sono nelle grazie del ministro Giuli – eppure rischia di essere fuorviante. Perché la questione è soltanto di forma e di merito: in una lettera particolarmente tranchant, per i canoni dell’ambiente, l’orchestra della Fenice ha rimproverato a Colabianchi le modalità della nomina – a mezzo stampa, senza confronto interno – e a Venezi l’inadeguatezza del cv (“non minimamente paragonabile a quello delle grandi bacchette che in passato hanno ricoperto questo ruolo”). Una frattura totale. “E questa situazione rischia di ritorcersi anche contro Venezi, a cui auguro i migliori successi”, dice al Foglio l’ex sindaco. “L’errore è tutto a monte”.
Ma può un direttore accettare l’incarico, dopo il manifesto dissenso dell’orchestra? “Riccardo Muti qualche anno fa era stato sfiduciato dalla Scala: si è dimesso il giorno dopo. E sto parlando di Muti”. Come andrà a finire questa storia? “Per ricomporre gli animi, offrirei a Venezi alcune occasioni di dirigere a Venezia. Sia lirica sia sinfonica. In modo che si provi con l’orchestra, senza più il peso dei riflettori. Poi, in base a queste performance, si valuterà per il futuro se e come si sarà instaurato un rapporto di fiducia reciproca. Ci tengo a ribadire un concetto”. Prego. “Magari la Fenice potrebbe anche sopportare Venezi. Ma è la città che non può farlo: Venezia è un sinonimo di globalità. Non è mai diventata del tutto moderna. È come una stella morta, che però brilla a prescindere. Ha solo bisogno di venire riaccesa, senza perdere le funzioni centrali che ancora ricopre. E quella del teatro d’opera, nella società attuale, lo è. Attira visitatori scelti, élite culturali, un ecosistema che custodisce il ceto trainante di una città: la Fenice è un’istituzione artistica come poche altre in Italia. Certo non a scopo di lucro”, a scanso di equivoci e like, che la visibilità pop di Venezi attirerebbe. “Il messaggio implicito di questa decisione è uno solo: retrocedere”. Giù il sipario.