
Foto Ansa
Bacchette russe
Altro che Gergiev, evviva il grande Petrenko
Di più grande direttore d’orchestra del mondo ce n’è uno: Kirill Petrenko. Genio schivo e silenzioso dei Berliner, legato all’Italia da vent’anni di direzioni memorabili. Col sogno di vederlo, dopo Berlino, alla Scala
Che barba che noia tutto questo can can per Valerij Gergiev, per carità, grande direttore, senz’altro meglio come musicista che come gerarca di Putin, che però avrebbe diretto, all’aperto, un’orchestra certo non di primissimo piano come quella di Salerno e un programma per turisti, anche della musica (giudicate voi la successione di sinfonia della Forza del destino – quella che il sito chiama “overture”, evidentemente a Caserta la lingua ufficiale è il tedesco –, Quinta di Ciajkovskij e Bolero di Ravel, infallibile, lo conoscono anche gli americani in infradito…). Però certe iperboli degli anti Gergiev e soprattutto dei pro, specie quelli della quinta colonna russa, hanno un po’ infastidito: “Il più grande direttore d’orchestra del mondo” e così via, detto da gente che non distingue un violoncello da un flauto e un aggressore da un aggredito.
Qui di più grande direttore d’orchestra del mondo ce n’è uno: Kirill Petrenko, che oltretutto non istiga a dire putinate perché, benché nato russo nel 1972, è naturalizzato austriaco e di propaganda non ne fa. Anzi, e non è certo l’ultimo dei suoi pregi, non dà interviste; quindi, non dice nemmeno le connesse sciocchezze. Arriva, dirige e tanti saluti. Dal 2019, occupa il podio dei Berliner Philharmoniker, posizione che nel mondo della musica “classica” corrisponde più o meno al Papa in quello cattolico.
E dire che la prima volta che diresse in Italia nessuno sapeva chi fosse. Correva l’anno 2001, Petrenko era direttore musicale a Meiningen, figuriamoci, e all’Orchestra Rai di Torino dopo l’improvvisa scomparsa di Giuseppe Sinopoli (fra parentesi: uno di quelli che mancano davvero) erano in ambasce perché era rimasto scoperto un Rosenkavalier. Daniele Spini ebbe l’intuizione di chiamare lui che l’aveva diretto da poco e tutti restammo a bocca aperta per lo stupore. Ma l’orchestra, o Torino, o la bagna cauda forse piacquero anche a Petrenko (chi lo sa?, non parla), che infatti poi è sempre tornato: sette concerti. Anzi, ci sarà anche l’ottavo, segnatevi le date, 15 e 16 ottobre a Torino e il 17 al Bologna Festival, piatto forte Il mandarino meraviglioso di Bartók. Ricordo che mi intrufolai alle prove di un concerto torinese, non ricordo quale, mentre l’ufficio stampa faceva finta di non sapere. Lui diceva niente nemmeno sul podio, se non una frase assurda, tipo che in un certo passaggio voleva sentire il suono della nebbia o qualcosa del genere. Ma i professori della Rai, già notevoli di loro, sembravano incantati, mesmerizzati, esaltati. Nel ’13 e nel ’14, me lo gustai a Bayreuth in due Ring completi, tuttora i più belli che abbia mai sentito nonostante la regia di qualcuno evidentemente non del tutto a posto con la testa. E la Scala? Nell’ottobre ’24 ci ha diretto il Rosenkavalier, ancora, fra delirii ed estasi di abbonati che avevano ascoltato Kleiber o addirittura Karajan, “e siamo lì”. Anche lui pareva soddisfatto, un largo sorriso sulla faccia da topino che ha appena rubato il formaggio, ed evidentemente si è trovato bene se, come si sussurra, nelle prossime stagioni tornerà per un paio di produzioni, magari Butterfly e/o Elektra, chi lo sa, ma andrebbe bene anche se dirigesse L’amico Fritz. Del resto, ha pure casa in Liguria, lato di ponente, quindi l’Italia gli piace. Nel ’30 scadrà il suo contratto a Berlino e contestualmente si libererà anche il sacro podio del Tempio. Per la Scala, sarebbe un colpaccio favoloso. Anche se temiamo che, come da titolo di un film del nostro intellettuale di riferimento cioè Neri Parenti, siano “sogni mostruosamente proibiti”. Altro che Gergiev, però...

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