1875-2025

Maurice Ravel, l'avventuroso incantatore di suoni orchestrali che cavalcò la modernità

Mattia Rossi

Il compositore francese è nato 150 anni fa. Il suo contributo nella storia della musica è andato ben al di là del celeberrimo Boléro

Maurice Ravel era un appassionato di viaggi e nel febbraio del 1935, già colpito da un progressivo deterioramento della salute, si recò in Marocco con l’amico Léon Leyritz: qui il compositore francese rimase sorpreso di sentire un ragazzino per strada fischiettare il suo Boléro. Era la prova che quella pagina era destinata a diventare universale. Ma quello in Marocco fu anche uno degli ultimi appaganti viaggi della sua vita. Ravel, infatti, già da qualche anno soffriva di problemi che gli causavano spesso disorientamento dovuto, probabilmente, a una neuropatologia: sono gli stessi anni in cui il compositore è protagonista di un incidente in auto ed è in cura da importanti medici e neurochirurghi fino a che, nel dicembre 1937, il prof. Clovis Vincent, sospettando una idrocefalia, decise di sottoporlo a una craniotomia frontale che, però, non evidenziò particolari accumuli di liquido cerebrospinale come pensato. L’intervento, invece, gli risulterà fatale: undici giorni dopo, nelle prime ore del 28 dicembre 1937, Ravel morì per un probabile ematoma subdurale.

   

Quest’anno ricorre il 150° anniversario della sua nascita, occasione per riflettere come Ravel sia stato un compositore e una figura andata ben al di là del celeberrimo Boléro. A trasmettergli l’amore per la musica e per la Spagna era stata la madre, di origine basca ma cresciuta a Madrid; il padre, invece, lo appassionò ai motori. Gli anni al Conservatorio parigino sono testimoniati anche dall’amico e compagno Ricardo Viñes con il quale si dilettava a trovare e sperimentare nuovi accordi al pianoforte. E se la sua formazione fu forse lacunosa sul repertorio antico, fu invece indefessa sul repertorio moderno: Ravel dimostrò sin da subito una propensione per un’armonia elegante, una spiccata colorazione orchestrale e un utilizzo disinvolto del ritmo. Una curiosità che lo spinse a guardare con interesse anche il jazz: al termine di una tournée negli Stati Uniti, nel 1928, scrisse di trovarlo un genere “molto interessante: i ritmi, il trattamento delle melodie, le melodie stesse” arrivando a dedicarvi un movimento, Blues, della Sonata n. 2 per violino e pianoforte.

   

     

Oltre al musicista, c’è il Ravel uomo nel turbinio della Parigi di inizio Novecento. Tentò di arruolarsi nell’Aeronautica per la Prima guerra mondiale, ma fu respinto per la sua debole costituzione (era alto appena un metro e sessanta per una cinquantina di chilogrammi) riuscendo però con insistenza a entrare nell’Artiglieria come carrista e autista di ambulanza rispolverando quella giovanile passione per le macchine. Nazionalista convinto, partecipò dunque al conflitto con un unico tarlo: la lontananza dalla madre alla quale era visceralmente legato. 

   

Fu un dandy, un avventuroso, un patriota, un modernista, musicalmente un orchestratore così magico da inimicarsi il collega impressionista Debussy che lo definì “fachiro incantatore che fa spuntare dei fiori attorno a una seggiola”. La sua probabilmente era invidia, ma l’immagine calza a pennello.

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