
L'Intervista
Il viaggio lento di Maurizio Carucci degli Ex-Otago. Un libro e una fuga
Il cantante porta in tour il suo libro “Non esiste un posto al mondo” con una serie di talk con musica da maggio a ottobre. “Vi racconto il mio rapporto sanguigno con la campagna. Gli stadi? Se non li fai sei considerato un perdente, e allora noi ritorniamo nei piccoli club”.
Nel 1993 Tiziano Terzani ricevette una profezia a Hong Kong. Un indovino gli predisse di non prendere aerei per un anno intero, altrimenti avrebbe corso un grave pericolo. Inizialmente scettico, lo scrittore e giornalista decise poi di prendere sul serio l'avvertimento trasformando così l'oracolo in un'opportunità unica per esplorare il mondo via terra e via mare. Le avventure di quei 365 giorni furono raccolte nel libro “Un indovino mi disse” in cui, oltre a descrivere i paesaggi e le culture incontrate, approfondì le sue riflessioni sul significato del viaggio, del tempo, della globalizzazione e della spiritualità. Terzani fu costretto a rallentare il ritmo frenetico della sua vita, riscoprendo la bellezza del viaggio lento e la ricchezza degli incontri casuali. Allo stesso modo, ispirato proprio dallo scrittore fiorentino, Maurizio Carucci, cantante genovese e frontman degli Ex-Otago, ha deciso di raccontare il suo viaggio a piedi dalla Val Borbera a Milano nel suo primo libro "Non esiste un posto al mondo". “Ho avuto una crisi – racconta al Foglio - e volevo andare in un posto lontano dalla cultura selvatica”.
Ma perché proprio Milano?
Milano è uno spazio dominato dalle persone in cui la natura non ha proprio voce. L'ho scelta per attraversare le epoche: un viaggio dagli artigiani ai follower capitalistici.
Per lei cosa rappresenta il viaggio?
Il viaggio è lo strumento della scoperta, un allenamento per mantenere i sensi. Dovrebbero insegnarlo a scuola e anche ai politici.
Lo dice per il tema dei migranti?
Chiunque vuole raggiungere il benessere e ne ha il diritto. Io sono sempre stato orientato all'accoglienza e all'ascolto.
Nel suo libro ha scritto: "Da Marassi conviene partire, non arrivare. Si aspetta di avere diciott'anni per andare altrove". Lo pensa ancora?
Ahimè, lo penso ancora. Immaginate un quartiere dove le persone vivono in quadrati di cemento, la vista è ostruita dai palazzi. I marciapiedi sono rotti e puzzano.
È per questo che lei è andato via da Genova?
La città è un piccolo parco giochi costruito dagli umani per gli umani ma sempre meno funzionale e questo influenza molto la vita delle persone.
Con la sua compagna siete andati a vivere in Val Borbera, nel Novarese. È contento della sua scelta?
Ne sono entusiasta. Anche qui ci sono problemi ma come dice Franco La Cecla, “Abitare è incidere nel posto in cui si è”.
Nel libro ha scritto che “gli agricoltori fanno fatica ad andare avanti a causa di un sistema che non riconosce il giusto valore alle materie prime”. Cosa vuole dire?
Riguarda la modalità con cui si produce. Un contadino che applica una gestione familiare avrà un approccio diverso rispetto alle industrie che si rivolgono alla grande distribuzione: queste hanno solo l'obiettivo di un'alta produzione a qualsiasi costo. Al supermercato non c'è un prezzo giusto. Mi sono sempre interessato alle questioni contadine, ho un rapporto sanguigno con la campagna.
A gennaio 2026 celebrerà il primo decennio di "Marassi" nei piccoli club con i suoi Ex-Otago.
Abbiamo dovuto lottare con la casa discografica per avere il gusto di rivivere i momenti degli inizi. Da questo tour non guadagneremo nulla. Sarà solo tutto molto punk.
Perché allora lo avete fatto?
Volevamo far capire che gli Otaghi hanno ancora voglia di giocare e mettere in discussione le cose, non miriamo al profitto. E poi questo tour ha anche un valore politico.
E qual è?
Se non fai gli stadi oggi sei un perdente, tutti mirano al rialzo. Noi volevamo rimettere le cose al loro posto. E dare la narrazione di una band che non sia solo una macchina da album. È solo l'inizio, vedrete.
Starete mica pensando al ritorno a Sanremo dopo “Solo una canzone” del 2019?
Non puntiamo in generale a fare Sanremo ma chissà. Se c'è il pezzo giusto si va.