
Achille Lauro (Ansa)
nelle canzoni
Romanità, gioventù sfiorita e nostalgia. La svolta di Achille Lauro e Carl Brave
Con “Comuni Mortali” e “Notti brave Amarcord”, i due artisti romani affrontano la maturità tra bilanci emotivi, Roma nel cuore e un passato che ancora pesa. Due modi diversi di trasformare la gioventù in racconto musicale
Capita anche ai rapper – e dintorni – di passare il fatale traguardo dei trent’anni, e d’inoltrarsi su, verso i tragici quaranta. Le cose cambiano, parecchio. Un paio di album appena usciti lo testimoniano in modo limpido. Il primo, “Comuni Mortali”, è di Achille Lauro e in un baleno è schizzato in testa alle classifiche di vendita e di streaming, consacrando una stagione formidabile per l’artista romano, arrivato appunto a 34 primavere. 34 e sentirle tutte, verrebbe da dire, ascoltando il tono e i contenuti dei testi delle canzoni di questa sua nuova uscita, che completa un vero ciclo di complessa revisione della personalità pubblica di Achille, slittato in men che non si dica dalla figura conturbante del peccatore esteta e trasgressivo degli esordi, a quella d’interprete sincero della condizione giovanile, della sua drammaturgia complessa e sovente incompresa. Le apparizioni pubbliche di Lauro, a cominciare dalla partecipazione alla giuria di X Factor, si sono modulate su questa metamorfosi, trasformando lo sprezzante poseur in odore di tossicità dei tempi di “Rolls Royce”, nel fratello maggiore che ne ha passate tante ma adesso è tornato a casa a trasmettere la sua esperienza, arringando la platea di Sky che ha ribattezzato “Senato!” e ora concedendosi perfino agli spot di McDonald, nei quali ordina un panino, premettendo, parlando al banchista, un “cortesemente”, che di rado si sente pronunciare nei fast food.
“Comuni Mortali” è la coniugazione orizzontale di questa nuova descrizione del suo sé: un album che gronda amore ed empatia e tiene vivi i legami del passato, con la famiglia – a cominciare dall’adorata mamma – e poi il quartiere di quella periferia difficile che Achille sente sua, e poi la Roma che è la meravigliosa laguna urbana da traversare nelle notti avventurose, e gli amici con cui tutto si è condiviso fino al momento in cui per lui il sogno irrealizzabile è diventato realtà e al suo talento si sono schiuse le porte del successo. La parola chiave di questo lavoro è “riconoscenza”. La tempesta degli anni giovani è superata nel migliore dei modi e il bisogno, adesso, è di guardarsi indietro e non dimenticare chi ha reso possibile questa impresa esistenziale. E tutto ciò rappresenta una risoluzione e un progresso. I ricordi sono di quella distesa emotiva che l’ha tenuto in vita negli anni duri, tutti i ragazzi e le ragazze come lui, lontani anni-luce dagli shining floor che adesso gli appartengono, le passerelle a piazza di Spagna, gli stilisti che se lo contendono, la consapevolezza di aver fatte proprie le chiavi dello show business. E così eccolo cantare della pasta in bianco cucinata da piccoli, di una vacanza a Parigi pagata da mamma a forza di sacrifici e risparmi, di quella canzone di Francesco De Gregori (è chiaro: gli ultimi artisti non sanno farne a meno), “Sempre e per Sempre” che risuonava in loop nel vecchio appartamento di famiglia. Di rap nell’album non ce n’è, piuttosto qualche inserto parlato, e non che quella sia mai stata la sua vocazione, piuttosto un’assimilazione che il pubblico ha fatto del suo personaggio a un genere nel quale ha sempre militato poco. Invece c’è tanta melodia, classica e strascinata, una nuova versione della canzone romantica alla romana, appena con qualche spruzzata di funky, quando si tratta di tracciare dei quadretti della sua nuova vita da superstar. L’album comunque è azzeccatissimo, anche proprio per questa sua capacità di riproporre un modulo musicale sperimentato in un formato che si riveste di cool, ma anche di puro spirito pop. Che è esattamente ciò che incarna adesso Achille Lauro.
Nei dintorni del suo disco si muove quello di un quasi coetaneo e concittadino, ovvero Carl Brave, che a suo tempo fu membro della crew 126 e poi attivo in coppia con Franchino. Anche in “Notti brave Amarcord”, quinta uscita solistica a lungo formato, come recita il titolo, ci si guarda indietro ai terribili-formidabili anni di una gioventù ormai sfiorita, dalla quale si è inaspettatamente usciti vivi. Di nuovo al centro di tutti i brani c’è Roma, eterno teatro di amori, errori e orrori, annebbiati dagli stravizi, condivisi con pochi fidati soci, oggi rivisti e rivissuti come la traversata dell’eroe perdente, in attesa dell’istante fatale. Contrariamente a Lauro, la chiave dell’album di Carl sta tutta in quell’“amarcord”: è nostalgia canaglia la sua, un po’ sterile quando rievoca le peripezie folli, gli sballi formidabili, gli amori strappati e i guai disseminati negli anni roventi. Ricantarne le gesta è un po’ malinconia e autocommiserazione. Certe cose non tornano, e forse è meglio cosi. E poi Carl ce l’ha fatta, adesso ha un bel pubblico e ampie platee, e in questa occasione rischia di cantarsi addosso un decamerone dei sopravvissuti, lavorando su formule musicali ormai usurate, per quanto destinate a un pubblico che le gradisce assai. Nella sua musica affiora del manierismo, ma c’è anche molta dolcezza. Lui stesso, d’altronde, racconta che alla fine da questa sua città, e quindi dalle storie che la popolano, non riesce proprio a staccarsi. Il che è ovviamente un modo di preservarsi, ma anche di continuare a specchiarsi nella stessa affezionata pozzanghera.

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