Dynamic pricing
Il disgustoso sapore del pop ridotto a lucroso show per polli da batteria
Finché c'è desiderio ci sarà appagamento, anche se i prezzi dei biglietti aumentano gli appassionati non rinunciano a vedere i loro idoli dal vivo
Liam Gallagher, 50 per cento della ditta detentrice del marchio Oasis, ha fatto sapere di infischiarsene altamente delle proteste e delle lamentazioni dei fans per l’indecente bordello speculativo che ha preso forma attorno alla vendita dei biglietti per i sospiratissimi show di reunion della band. Anzi. Su X ha scritto: “Gli Oasis stanno tornando, siete tutti benvenuti, ma sento di reazioni schifose. È bello scoprire che ci sono cose che non cambiano mai. Fottetevi”. A un fan che ha reagito accusando la band di “fregare i suoi ammiratori”, la replica è stata in puro stile Gallagher: “Statti zitto”, tutto scritto in lettere maiuscole. La sostanza è: la tanto invocata riesumazione degli Oasis ha preso forma dopo 15 anni, rendendo realtà il sogno di milioni di seguaci. E allora che andate cercando? V’eravate dimenticati lo stile, diciamo “di strada”, che costituisce l’essenza dell’attitudine degli stagionati fratellini di Manchester?
Del resto era inevitabile che quella che è diventata la più importante notizia del pop planetario a posteriori dei record dell’“Eras Tour” di Taylor Swift finisse dritta dentro quella che eticamente va classificata come la falla più grave dello show business contemporaneo: la questione del lucrosissimo traffico dei biglietti per gli eventi per i quali la richiesta è infinitamente maggiore dell’offerta. Adesso il focus delle polemiche è sulla procedura di dynamic pricing applicato da Ticketmaster la mega-agenzia che governa la distribuzione dei tagliandi per le date finora confermate nella reunion della band (anche questo un procedimento sapientemente orchestrato dai management, con l’aggiunta progressiva di ulteriori concerti, con un fenomeno di “sgocciolamento” che rende più parossistica la pressione degli appassionati). Il dynamic pricing non è altro che la tecnica con la quale tutti noi abbiamo fatto i conti comprando un biglietto per una vacanza in una località popolare in un momento dell’anno ad alta richiesta. Se un biglietto aereo per New York costa 100 a gennaio, lo stesso biglietto verrà prezzato il triplo o il quadruplo sotto Natale, perché la richiesta è aumentata in proporzione. Quando gli irriducibili ottimisti si sono messi in fila online, nella speranza di aggiudicarsi un ticket per un concerto degli Oasis in una qualsiasi delle venue finora previste, il costo annunciato del tagliando era attorno alle 150 sterline. Nel caso siano arrivati a essere tra i prescelti, ovvero la minoranza che acquisisce il diritto di comprare il biglietto, di sterline se ne sono visti chiedere 350, prendere o lasciare, la decisione da maturare in pochi secondi, la piattaforma non aspetta. Ovvio che incavolarsi è d’obbligo, rinunciare somiglia a un atto di giustizia, ma poi il rimorso ti morde lo stomaco: quando ti ricapita, 150 o 350, se davvero sei convinto che partecipare alla messa cantata dai reverendi Gallagher sia atto dovuto a un degno passaggio terreno (tutto un altro discorso, anche interessante, sarebbe quello del “reale” valore di uno show nel rapporto prezzo-piacere, ma ci porterebbe assai lontano).
Certo, nel Regno Unito sono partite interrogazioni parlamentari, class action, proteste dei comitati consumatori, ma in realtà ciò che accade ricalca lo sfruttamento calcolato col quale si ha a che fare allorché si apre la porta di un qualsiasi bacino di consumo surriscaldato dalle richieste: ad esempio, nei giorni dei concerti degli Oasis, provate ad affittare una stanza o a comprare un biglietto aereo per arrivare e soggiornare nella sede dell’evento. Troverete prezzi quintuplicati e sarete costretti di nuovo a fare i conti con il dynamic pricing, stavolta relativo all’indotto, ma che i nostri padri chiamavano più semplicemente speculazione. Sono anni che, restando solo nel campo del pop, partono periodicamente crociate per contenere l’odioso fenomeno del secondary ticketing ovvero del bagarinaggio dei biglietti per gli eventi di successo. La prevendita online ha trasformato questa pratica in un affare enorme, dal momento che l’aggiudicazione dei biglietti favorisce i professionisti della rivendita attraverso l’utilizzo di software specializzati nel creare identità fittizie. I bot comprano e dieci minuti dopo i biglietti tornano in vendita su siti paralleli con prezzi moltiplicati per dieci. I tentativi di arginare il fenomeno sono stati inutili, perché la Rete è un posto dove ci si sposta velocemente ed è facile diventare inafferrabili.
E se è vero che un tempo si faceva la fila di notte davanti alle rivendite autorizzate e tutto sembrava più gestibile, questo adesso è solo inutile passatismo. Finché c’è desiderio ci sarà appagamento, da pagare a peso d’oro. Il prevedibile tour mondiale degli Oasis, che verrà annunciato da un giorno all’altro, sarà l’occasione perfetta per ritirare fuori la questione, protestare accanitamente, piangere sui risparmi devoluti e infine mettersi in fila ai tondelli per guadagnare un buon posto. Gli artisti si dicono imbarazzati, i management si fingono dispiaciuti, i fans pagano. Il prezzo del rinunciare a esserci continua a essere troppo alto. E il disgustoso sapore del pop, ridotto a lucrosa rappresentazione per polli da batteria, comincerà ad attenuarsi non appena arriverà il momento di scattare i primi selfies.
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