La voce del gelsomino
Arooj Aftab regna sulla notte con canzoni e confessioni, arpa e rivelazioni amorose
Le nove ballate notturne del nuovo disco “Night Reign”. Non è propriamente jazz, ma una gioiosa sperimentazione elettronica. Dal Pakistan al mondo
La notte, da sempre, è abitata da chi cerca l’amore, da chi l’ha perduto e da fiori che sbocciano al buio richiudendosi con le prime luci dell’alba. Spazio e tempo preferito anche da fantasmi, ladri, vampiri e poeti, è solo di notte che certe canzoni soffuse e rarefatte andrebbero ascoltate. Ed è nelle ore più silenziose della giornata che la trentanovenne musicista Arooj Aftab, pakistana residente a New York, applaudita sui palchi di festival internazionali come Coachella, Glastonbury e Primavera Sound, si muove sinuosa tra suoni di arpa, contrabbasso e sintetizzatori, facendo sbocciare le nove tracce del suo ultimo disco “Night Reign” fresca di contratto discografico con la prestigiosa Verve.
Prima di lei per la storica etichetta jazz ha cantato gente del calibro di Ella Fitzgerald, Billie Holiday, Nina Simone, Sarah Vaughan, e hanno suonato tipi come Stan Getz, Dizzy Gillespie e Charlie Parker. La pakistana dalla voce d’angelo, scoperta su YouTube quindici anni fa grazie a una potente cover di “Hallelujah” di Leonard Cohen, è diventata una star da 200 concerti all’anno pur cantando in lingua Urdu e proponendo un innovativo miscuglio di stili – non è propriamente jazz, non è ambient, non è folk in senso stretto, ma è una gioiosa sperimentazione elettronica di suoni e umori cangianti – incurante delle critiche e delle etichette imposte dal mercato discografico.
Il contrabbasso e l’arpa, su tutti gli altri strumenti, sostengono la voce di Aftab quando recita, torbida, la più bella dichiarazione d’amore
Le nove ballate notturne di “Night Reign” su confessioni e rivelazioni amorose si schiudono come fiori di gelsomino intorno alla voce magnetica di Arooj Aftab. Intorno a questa si alternano musicisti diversissimi e suoni soffusi che spesso portano l’ascoltatore in uno stato di trance vicino alla meditazione, ma il senso del disco non è la cupezza o la solennità, bensì la ricerca dell’amore, in tutte le sue forme e la gioia di vivere. Qualche tempo fa, al pubblico di un suo concerto in estasi meditativa, la Aftab ha detto scherzando che se avessero voluto meditare sarebbero dovuti andare altrove. La musicista, che si presenta in scena sempre in abiti eleganti, tacchi vertiginosi (dalle foto in rete si intuisce una grande passione per le scarpe) e occhiali da sole anche col buio, è in realtà una ragazzaccia che ha molta voglia di divertirsi e scherzare, nonostante l’aura eterea che la circonda. “Sono una persona chiassosa che ama il cazzeggio”, ha detto in un’intervista, “non voglio essere associata al lutto, alla pesantezza e al dolore”. Si riferiva alla perdita del fratello minore Maher, un dolore che ha cantato nel precedente disco “Vulture Prince” del 2021, album bellissimo ma intriso di sofferenza. Negli anni la cupezza è passata e la gioia è rifiorita dentro di sé, e questo è immediatamente percepibile nella sua nuova musica. Il disco “Vulture Prince” però le ha fatto guadagnare notorietà planetaria, segnalando il singolo “Mahabbat” come una delle migliori canzoni del 2021 per Time e il New York Times, ed entrando nella lista delle canzoni preferite dell’ex presidente americano Barack Obama. L’anno dopo la canzone vince un Grammy Award, il premio Oscar della musica, come Best Global Music Performance, e alla musicista viene assegnato il prestigioso premio “Pride of Performance” in occasione del 77° Independence Day del Pakistan per il suo contributo all’industria della musica pakistana. Dopo il buco nero della pandemia, e dopo anni di tour tra America ed Europa, la musicista si prende una vacanza e torna nella sua Lahore, la seconda città più popolosa della nazione, la città giardino da quattordici milioni di abitanti e un livello impressionante di smog per ritrovare la famiglia che non vedeva da anni.
Canzoni tratte da poesie di Mah Laqa Bai Chanda, cortigiana indiana di Hyderabad del XVIII secolo, prima donna a pubblicare poesie in Urdu
“L’intera città è inquieta. A volte, quando un fulmine monsonico esplode luminoso sotto le nuvole, le conversazioni si interrompono. Le tazze di tè si fermano, fumanti, davanti alle labbra tese. L’eco del fulmine arriva sotto forma di tuono. E la città aspetta timorosa l’eco del tuono, un muro di caldo che bruci Lahore con l’energia di mille estati, di un milione di scissioni nucleari, di un miliardo di anime atomiche spaccate a metà. Solo quando è chiaro che dopo il boato non arriverà il calore, le labbra e le tazze entrano in contatto. Ma neanche allora la distanza fra i pensieri e le papille che gustano il tè si riduce. Dopo tutto è il nostro primo monsone nucleare”. Così è descritta la megalopoli dal brillante scrittore Mohsin Hamid, anche lui nato a Lahore ma diviso tra Londra e New York, nel suo romanzo d’esordio del 2000 “Il fumo della falena” (Einaudi). Ed echi della terra d’origine si trovano anche nel nuovo disco “Night Reign” a partire dalle canzoni “Na Gul” e “Saaqi” tratte da poesie di Mah Laqa Bai Chanda, la musicista e cortigiana indiana di Hyderabad del XVIII secolo, prima donna a pubblicare le sue poesie in Urdu, che Aftab ha scoperto grazie a un amico studente della Columbia: “Era una poetessa, una femminista, una guerriera e una consulente politica. Una tipa tosta”, racconta lei a Mojo Magazine, “è stata una sfida riuscire a mettere in musica le sue poesie. All’inizio non capivo una parola, essendo scritte in Urdu tradizionale, molto formale. Parlava solo di metafore di fiori. Ma l’album in effetti parla della notte, e del fiore di gelsomino che sboccia di notte, il ‘Raat Ki Rani’ in Urdu, quindi tutto quadrava”.
Il mondo notturno inciso sui solchi del disco si apre con la prima canzone “Aey Nehin” su un letto armonico creato dell’arpa accarezzata dolcemente e da un contrabbasso appena pizzicato sulla voce di Arooj che si chiede quando un amore apparirà e cosa l’ha trattenuto così a lungo: “Loro non sono ancora qui, mentre aspetto. Potrebbe essere successo qualcosa, forse nella loro città, la notte potrebbe essere scesa all’improvviso, potrebbe essersi scatenata una tempesta di vento, potrebbe essere successo un acquazzone, prima di vedermi, avrebbero potuto incontrare la pioggia”. Il brano in realtà riprende una poesia improvvisata dall’amica e attrice pakistana Yasra Rizvi che la musicista ha visto recitare su Instagram, facendola sua. E proprio su Instagram la Aftab ingaggia il dialogo con i suoi fan, pubblicando foto e video dei suoi viaggi musicali intorno al mondo. In occasione del recente concerto di New York annuncia sul suo canale social che lancerà al pubblico le magliette fatte apposta per “Night Reign” mentre un fan scrive in un post che “è più di una rock star. E’ una pioniera. Grazie a lei esisteranno nuovi tipi di musica”.
“Mia amata, non mi hai capito anche se ho gettato via la mia vita per te. Come può l’ingenuo comprendere le intenzioni dell’intelligente?”, si chiede la musicista con le parole di Mah Laqa Bai Chanda in “Na Gul”. Quasi cent’anni dopo alla cortigiana indiana risponde Jacques Prévert, paroliere dello standard jazz “Autumn Leaves”, che la Aftab scarnifica all’essenziale con un intreccio nervoso di contrabbasso e batteria, su cui adagia la sua voce soave: “Le foglie che cadono fluttuando vicino alla finestra, le foglie autunnali di rosso e oro. Vedo le tue labbra, i baci estivi, le mani bruciate dal sole che stringevo, da quando sei andato via le giornate si sono allungate, e presto ascolterò la vecchia canzone invernale. Ma mi manchi più di tutto, tesoro mio”. Pur trasformando uno dei brani più noti del jazz, portato al successo, tra gli altri, da Nat King Cole, Arooj Aftab lo canta con una disinvoltura straordinaria come se la canzone fosse stata scritta oggi e rinnovando così un brano che, ad ogni nuova interpretazione, guadagna in giovinezza.
A conferma dell’abbattimento di barriere di generi e stili, a un certo punto compaiono qua e là nel disco ospiti d’eccezione come il pianista Vijay Iyer (con cui Aftab ha inciso “Love In Exile” nel 2023 insieme al polistrumentista Shahzad Ismaily, anch’egli presente nel disco), la poetessa hiphop e attivista Moor Mother, e persino Elvis Costello, chiamato inaspettatamente in studio a improvvisare un paio di linee armoniche al piano elettrico Wurlitzer. “La prima volta che ho ascoltato la voce di Arooj è stato in un momento molto contemplativo per me”, racconta l’eterno ragazzaccio del rock sempre su Instagram, tessendo le lodi della giovane collega. E, con la sua solita ironia, si dice sorpreso di aver sentito il suo piccolo contributo musicale nel mix finale di un disco straordinario come “Night Reign”. “Sono estremamente orgoglioso di dire che questa è la prima volta che vengo accreditato come tastierista in un disco. E uscire su Verve Records non è affatto male, come pure essere in compagnia di questi incredibili musicisti che supportano Arooj”.
Il cuore pulsante di tutto l’album è la canzone “Raat Ki Rani” – il gelsomino che sboccia di notte – il cui ritmo segnato dalle percussioni incalzanti è contagioso, e in cui la Aftab si cimenta per la prima volta con l’autotune, l’effetto che trasforma la voce in un suono vagamente robotico. Ma “Raat Ki Rani”, inebriante e profumato, è anche “la storia di una persona il cui fascino, magnetismo e carisma aleggiano nel corso di una magnifica festa serale in giardino”, spiega Aftab. “La regina della notte incanta tutti appena arriva. Conosco l’effetto su di me ma vado comunque”, canta languida, “i nostri occhi scintillanti sono entrati in contatto tutta la notte, molto spesso. Lascia che mi faccia piacere solo questo. E’ già abbastanza per me”. E proprio un corteggiamento fatto solo di sguardi è al centro del videoclip diretto dall’attrice Tessa Thompson, al suo debutto come regista, in cui una modella dai tratti asiatici si innamora di una sua collega dai tratti occidentali. Le due donne devono recitare sul set insieme al classico modello belloccio, tra macchinisti e truccatrici, ma quando sono fuori, su un terrazzo di Brooklyn, finalmente possono essere se stesse. E amarsi incondizionatamente. La Aftab cerca di abbattere ogni barriera, sia musicale, che culturale, che di genere e lo fa con la grazia e l’eleganza che ormai sono diventate il suo sigillo. E nonostante in un’intervista a Pitchfork abbia dichiarato di essere queer, a Them Magazine chiarisce che “l’ultima cosa che voglio fare è rendere la queerness qualcosa di vendibile”. Il suo lavoro è quello di scrivere canzoni universali, “quello strano linguaggio che è la musica”, come dice lei, “il mio lavoro non è mai ovvio. Ci sono sempre dei segreti all’interno dei segreti”.
Il contrabbasso e l’arpa, su tutti gli altri strumenti, sostengono la voce di Aftab quando recita, torbida, la più bella dichiarazione d’amore
Un altro segreto svelato sottovoce, alla fine dell’album, è la sua passione per il whisky, a cui dedica una languida ballata d’amore in inglese: “La tua testa diventa pesante e si appoggia sulla mia spalla perché bevi troppo whisky quando sei con me”. Il contrabbasso e l’arpa, su tutti gli altri strumenti, sostengono la sua voce quando recita, torbida, la più bella dichiarazione d’amore: “Penso di essere pronto a cedere alla tua bellezza e lasciarti innamorare di me. Svaniremo nella notte, sulle ali del tuo profumo, io sono ubriaca e tu sei pazza. Dimmi come torneremo a casa”. Con la sua solita ironia si dichiara grande appassionata di whiskey Macallan, e che le piacerebbe che la sponsorizzassero, ma quelli “sponsorizzano solo uomini all’antica, tipo Rotary Club”, dichiara a Mojo Magazine.
Miles Davis diceva che ci vuole tempo per suonare come se stessi, per trovare la propria identità musicale. Arooj Aftab sembra avere trovato il suo posto nel mondo della musica già da un bel po’ e questo disco, il suo quinto, ne è la consacrazione definitiva. “‘Night Reign’ è un atto di tenera sfida. Protesta e preghiera”, nota la scrittrice e artista americana Lynnée Denise nel libretto, “questo album ci permette di abbandonarci alla notte, di entrare in essa nella forma e nel disordine del nostro essere”. Quando tutti dormono la voce profonda di Arooj Aftab ci racconta che possiamo amare chi vogliamo, a qualunque latitudine, qualunque sia il colore della nostra pelle, ed essere sempre noi stessi. E che “a volte dobbiamo accontentarci di uno scambio di sguardi”, dice lei, con un sorriso beffardo da bella di notte che domattina si sveglierà di sicuro più tardi di noi.
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