Recitare l'underground. Baustelle e Contessa insieme, ma solo su vinile

Stefano Pistolini

Un connubio smagliante, subito preda del social-digitale. In poche ore il disco in edizione limitata era ascoltabile ovunque, perforando l’assunto di esclusività: ma forse il senso dell’operazione era proprio quello

Nascosta tra i tormentoni annunciati per spolpare il mercato natalizio, è spuntata negli ultimi giorni una di quelle sorprese brillantemente capaci di sovvertire la partita. Si parla del risultato di una collaborazione che si annuncia promettente già per i nomi che coinvolge, ovvero Nicolò Contessa alias “I Cani” e i Baustelle guidati da Francesco Bianconi, il tutto sotto forma di un vinile nero e senza etichetta, tirato in un numero limitato di copie (1.000), disponibile solo in pochi negozi e non ascoltabile sulle piattaforme di streaming. Quindi un episodio di anti condivisione orizzontale del proprio lavoro, vuoi per snobismo culturale, vuoi per divertimento, vuoi per celebrazione del tempo in cui la musica era un bene prezioso proprio in quanto non immediatamente accessibile. Suggerendo ai curiosi che le canzoni in questione sono comunque già reperibili online, a cominciare da YouTube, questa piacevole provocazione rivela poi dei contenuti abbastanza preziosi da giustificare l’eventuale caccia all’oggetto di culto, perché in fondo di questo si sta parlando, del reperto emotivo legato a un entusiasmo pressoché scomparso, quello di assicurarci un oggetto sonoro fonte di piacere e riflessioni, tangibile e tutto per noi. 

 

   

Detto questo, il connubio Cani-Baustelle è florido e smagliante, a dispetto di due traiettorie artistiche del tutto diverse: Bianconi e soci costituiscono un brand forte e perenne della nostra musica da gruppi, in continuo movimento, cambiamento e turbolenza. Contessa da un pezzo ha rinunciato alla prima linea, se non per alcune sortite estemporanee e la sigla “Cani” ormai è una piccola leggenda della musica italiana anni Dieci, mentre lui agisce soprattutto in veste di autore e produttore per musicisti di buona levatura, come Coez, Giovanni Truppi e Tutti Fenomeni, con ripetuti sconfinamenti nella scrittura di colonne sonore per il cinema, per ora sempre in occasione delle regie di Pietro Castellitto. Questo connubio Contessa-Bianconi ha perciò l’aria d’essere il risultato di un incontro estemporaneo, probabilmente destinato a restare isolato, ma comunque felice, sia per il risultato, sia per come racconta di quei fili invisibili di connessione e collaborazione tra artisti di valore, che non smettono di stabilirsi a dispetto del dominio dell’impalpabilità della musica d’oggi. E il vinile in questione, un 12 pollici che gira a 45 giri, contiene due pezzi che in effetti all’ascolto rivelano di essere quattro, in quanto in entrambi i casi c’è un passaggio di continuità tra un concept musicale e un secondo, mantenendo costanti le matrici ritmiche e armoniche. Non a caso anche i titoli hanno una doppia identità, “Nabucconodosor – Essere vivo” da una parte e “Canzone d’autore – L’ultimo animale” dall’altra e in tutti e quattro gli episodi si trova la stessa qualità diffusa a livello melodico, nei testi graffianti e polemici, nelle partiture vocali e nella naturalezza con cui Francesco e Niccolò si passano il testimone. Il tutto in un’atmosfera che conferma un’impressione ormai diffusissima, ovvero quella che Franco Battiato sia oggi il vero nume tutelare della canzone italiana d’autore, per stile d’approccio e modalità esecutive, a dispetto del successo di quelli che Bianconi a un certo punto del cantato assalta come “i cantanti micidiali della tua generazione”, addossando ironicamente a Contessa responsabilità di certo non sue. 


Dunque un breve e fertile incontro che invoglia una produzione di Contessa per i Baustelle, ma non avvicina un suo ritorno sulle scene nel tradizionale formato di “band” per quanto, quando l’ha fatto. la qualità che è stato capace di esprimere dal vivo era notevole davvero (ad esempio in un gran concerto negli studi Rai di via Asiago, di cui certamente esistono registrazioni). A margine dell’episodio giusto una nota per riflettere su come questa celebrazione del senso più esclusivo dell’underground, ovvero il suo volersi considerare un fenomeno riservato a chi lo merita, lo esplora e lo coltiva, sia destinato a sgretolarsi al cospetto del deflagrante e occhiuto potere del social-digitale. Come dicevamo, in poche ore il disco di Cani-Baustelle era ascoltabile ovunque, perforando l’assunto di esclusività: ma forse il senso dell’operazione era quello, ovvero approfittare – promozionalmente, dispettosamente, polemicamente – dell’inevitabile exploit trasversale indotto dalla notizia e poi abbandonarsi alla sua riproduzione nelle piattaforme globali. “Recitare l’underground”, in un certo senso: un gesto che ha delle pieghe nelle quali è interessante indagare. Per non parlare del rilanciato valore feticistico dell’oggetto analogico, il “disco senza nome” e poi della proprietà del pezzo semi-unico e anche – tristemente – delle relative speculazioni che non tarderanno a entrare in circolo.

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