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musica

Il miracolo di Wayne Shorter

Marco Ballestracci

Giovedì sera è morto il sassofonista americano che con il tastierista Joe Zawinul riuscì a unire il jazz con il rock’n’roll. Il posto dei Weather Report nella storia della musica

C’è stato un momento in cui un certo numero di appassionati, tutti insieme in diverse parti del mondo, hanno ritenuto che il rock dovesse essere un poco musicalmente più complesso, ma senza per questo, Dio ce ne scampi, diventare barocco, tuttavia senza sconfinare nella fiumana dei flussi di coscienza del jazz. È stato in quel preciso istante che qualcuno ha inventato il jazz-rock. Chi sia stato non si sa di preciso, ma molti mettono la mano sul fuoco che l’artefice sia stato Miles Davis, in un periodo compreso tra i sette mesi del 1969 che dividono “Filles de Kilimanjaro” da “In The Silent Way”. La’ in mezzo, da qualche parte, è nato il jazz rock. Curiosamente in entrambi i dischi che stanno alle estremità suonò Wayne Shorter. Ma se Miles Davis è in qualche modo il promotore del movimento, c’è una band che, senza discussioni, ha davvero rappresentato il jazz-rock: i Weather Report. Cioè proprio il gruppo che quel certo numero di appassionati agognava. Ascoltandoli a occhi bendati potevano essere dei transfughi dal rock che si dirigevano verso il jazz senza raggiungerlo, oppure il contrario: dei transfughi dal jazz che si dirigevano verso il rock senza acchiapparlo. A occhi aperti, invece, leggendo le note di copertina, si poteva molto più propendere per la seconda ipotesi. Perché i due band leader erano Joe Zawinul e, ancora una volta, Wayne Shorter, che arrivavano a quel progetto portandosi dietro l’esperienza dei quintetti di Miles Davis, ma anche dei Jazz Messengers di Art Blakey, nonché tutti gli incroci di collaborazioni che rendono il jazz quello che è. Tuttavia il grande miracolo di Zawinul e Wayne Shorter è stato quello di essere il grimaldello perché gli appassionati dell’una o dell’altra musica dessero un’occhiata all’altro campo e dicessero: “Beh, in fondo è molto meglio di quanto credevamo”.

    

Da questo punto di vista c’è un disco che ha compiuto il miracolo d’essere amato profondamente da entrambe le fazioni ed è originariamente, come nelle grandi consacrazioni tipiche del rock’n’roll, un doppio ellepì dal vivo: “8:30”. È stato così tanto importante per molto gente che, a forza di aprirlo, ne ricordano ancora l’odore e, al contempo, tutti gli assolo a memoria di Wayne Shorter in “Black Market” e tutte le parti di sassofono, sia soprano che tenore, in “Birdland”, le “I Can’t Get No Satisfaction”/ “Jumpin’ Jack Flash” dei Weather Report. Ma “8:30” è così straordinario che pure chi considera senza senso un pezzo di solo sassofono tenore, cioè senza nessun altro strumento d’accompagnamento (come “The Solo Album” di Sonny Rollins), ascolta trasportato Wayne Shorter solitario in “Thank’s For The Memory (Tenor Sax Solo)”.

 

Perciò giunti a questo punto si può tranquillamente affermare che proprio Joe Zawinul e Wayne Shorter fecero il miracolo di creare davvero il jazz-rock, cioè la musica che proprio (e forse solo) in “8:30” andò bene ai fan di entrambi i generi, staccando e mescolando tutte le etichette. Certo Shorter accompagnò anche Joni Mitchell in quegli anni, nelle escursioni della musicista canadese al confine del jazz, ma fu solo una stella della corona della regina, mentre nei Weather Report ha sempre brillato d’una gigantesca luce propria. Perché Zawinul, Shorter, Pastorious, Erskine, si ricordano proprio come Lennon, Mc Cartney, Harrison, Starr, oppure, meglio, Stummer, Jones, Simonon, Headon. Con buona pace di Miles Davis e Joni Mitchell che hanno fatto sempre corsa solitaria: come si addice appunto ai re e alle regine.