L'orchestra dell'Accademia nazionale di Santa Cecilia diretta da Antonio Pappano durante la Nona di Bruckner (foto: Musacchio, Ianniello & Pasqualini)  

contrasti spiazzanti

La cattedrale del devoto Bruckner è una sinfonia in cerca di nuova musica

Roberto Raja

Un’altra progressione, un altro scarto ritmico, un’altra cellula da ripetere e modellare alla ricerca di un tema ancora mai ascoltato. A distanza di 48 ore, lo scorso fine settimana a Roma, si sono potute ascoltare due esecuzioni con interpreti diversi dell'ultima sinfonia del grande compositore: la Nona

Momento Bruckner a Roma? A distanza di 48 ore, lo scorso fine settimana, si sono potute ascoltare due esecuzioni con interpreti diversi della sua ultima sinfonia: la Nona, numero fatidico per tradizione ottocentesca dopo la pietra miliare beethoveniana, e per giunta incompiuta, priva com’è del quarto movimento di cui rimangono solo abbozzi. Anche se per noi è ormai opera definitiva e conclusa, con quel lungo accordo degli ottoni che chiude, morendo, l’Adagio e ci dà il senso della fine: dell’opera, di una vita, di un secolo di musica. Forse era così anche per il compositore, che aveva già impiegato tanto a scrivere, correggere e riscrivere quell’ora abbondante di musica, mentre tornava ossessivamente a ritoccare anche le sue opere precedenti, e in due anni, dal 1895 al giorno della morte, l’11 ottobre del ’96, non riuscì a venire a capo del Finale. La consapevolezza, compiuti i settant’anni, che quella sinfonia – in re minore, la stessa tonalità della Nona di Beethoven e del Requiem (incompiuto) di Mozart – sarebbe stata, anche in soli tre movimenti, la sua ultima parola al mondo. E del resto, che cosa mai avrebbe potuto scrivere dopo, il devoto Anton Bruckner, avendo dedicato questa sua sinfonia “dem lieben Gott”, al buon Dio? 

 

“La sua vita non dice niente del suo lavoro, e il suo lavoro non dice niente della sua vita”, ha scritto un suo biografo. Vero, in parte. Anche perché le opere e i giorni bruckneriani sono un terreno di contrasti, reali o solo percepiti, comunque spiazzanti. Conservatore e radicale. Era più vecchio di Brahms, eppure sentiamo la sua scrittura sinfonica più vicina a quella di Mahler, nato 35 anni dopo di lui. Bruckner il vecchio. E quando mai fu giovane? Quando orfano di padre a 13 anni, fu mandato nella scuola dell’abbazia di Sankt Florian? O quando scriveva i primi componimenti di musica sacra, o si affermava come valente organista? Ma non era il Bruckner delle sinfonie: solo con la Quarta, a 56 anni, il primo vero riconoscimento, il primo grande successo, anche se la stima di sé rimarrà a lungo ostaggio dei detrattori. Bruckner il provinciale, il timorato delle critiche altrui che sotto l’enfasi declamatoria – le fanfare, il turgore degli ottoni, l’orchestra che sembra un organo – costruisce ardite tessiture armoniche e slanci lirici commoventi. L’umile devozione – scarpe grosse, palandrana scura e odor di sagrestia ancora nell’ultima fotografia – e la sensualità repressa che riappare trasfigurata nei temi più distesi delle sinfonie (se ne accorse Visconti, che usò la Settima proprio in Senso).

Quelle linee melodiche però sono sempre più brevi e fugaci, come se bastasse accennarle per poi ritrarsi a costruire di nuovo: un’altra progressione, un altro scarto ritmico, un’altra cellula da ripetere e modellare alla ricerca di un nuovo tema.  
 

Lisa Batiashvili solista nel Concerto per violino di Beethoven, a Santa Cecilia con la Nona sinfonia di Bruckner (foto: Musacchio, Ianniello & Pasqualini) 

La dedica, la fede convinta dell’autore, il pensiero che c’è dietro alla sinfonia hanno spinto gli organizzatori a inserire la Nona di Bruckner nel cartellone del Festival internazionale di musica e arte sacra, giunto quest’anno alla sua ventunesima edizione: domenica scorsa i Bamberger Symphoniker l’hanno proposta nella basilica di San Paolo fuori le Mura, in uno spazio sonoro che non è certo quello di una sala da concerto ma che ha arricchito di una suggestione rara molti passaggi, a partire dai corali dei fiati. Sul podio il loro direttore musicale, Jakub Hruša, che è anche direttore ospite principale dell’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia. I Ceciliani, a loro volta, avevano presentato la Nona qualche giorno prima nell’ambito della loro stagione: vibrante la lettura di Antonio Pappano, che talora ha sacrificato l’equilibrio dei pesi orchestrali all’intensità espressiva. In programma c’era anche il Concerto per violino di Beethoven: magnifica solista, Lisa Batiashvili. La stagione dell’Accademia di Santa Cecilia nei prossimi mesi prevede pure la Settima sinfonia, sempre con Pappano, e la Quarta, con Herbert Blomstedt. Il momento Bruckner continua.

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