Quando la musica dei cartoni era roba da artisti

Tra gli anni Settanta e gli Ottanta nelle sigle “c'era sperimentazione, coraggio, scoperta, semina di un sacco di cose che sarebbero arrivate solo dopo”. “Si trasforma in un razzo missile”. Un libro

Luciana Grosso

Quelli di quella generazione lì, quelli nati tra il 1975 e il 1985, quelli che non sono né carne né pesce, ma merendine confezionate, ecco, quelli lì si datano facile, con la stessa precisione del carbonio 14, usando i cartoni animati. Quelli che si illuminano se gli si parla di “Mazinga Z” e “Gig Robot” sono nati, grossomodo, tra il ’75 e il ’78. Quelli invece di “Creamy”, “Kiss Me Licia” e “Magica Emi”, sono dell’infornata tra il ’78 e l’82. Quelli di “Sailor Moon”, invece tornino a giocare nell’altra stanza, marmocchi che non sono altro. Funziona così l’anagrafica di chi ha oggi 40 anni e che, allora è stato parte della prima generazione a impossessarsi del telecomando dalle quattro alle sei di pomeriggio.

 

Ai ricordi di quella generazione che tornava a casa, trangugiava un Tegolino e guardava i cartoni e che anche oggi non fa poi molto di diverso (togli i Tegolini e metti l’avocado toast, togli i cartoni e metti Netflix) Stefano Di Trapani, alias Demented Burrocacao (critico musicale, giornalista, musicista e musicofilo al limite della dipendenza) ha provato a dare dignità con un libro tutto dedicato allo studio delle musiche delle sigle dei cartoni animati. Si chiama “Si trasforma in un razzo missile” e lo ha pubblicato Rizzoli. “Chiariamo un punto – dice subito – il libro non è, o almeno prova a non essere, un’operazione nostalgia”. Bene, di quella ce n’è già abbastanza in giro. “Anche se in queste pagine c’è molto della mia storia e dei miei ricordi, ho fatto un libro che parla di musica. O meglio di sigle dei cartoni. Anche se i bambini che guardavano i cartoni non lo potevano sapere, le sigle per i loro programmi, quelle che canticchiavano quando erano soli, erano non solo musica vera, ma anche ottima musica”. Sì, grazie. Ce n’eravamo accorti già alle elementari che erano roba forte. “No, non mi riferisco solo alla gradevolezza dei motivetti. Parlo proprio di musica vera, sperimentazione, coraggio, scoperta, semina di un sacco di cose che sarebbero arrivate solo dopo. A scrivere quelle musiche e quei testi, almeno fino all’arrivo della premiata ditta Alessandra Valeri Maneri-Cristina D’Avena, che poi ha praticamente monopolizzato il settore erano musicisti veri, molto giovani e poco conosciuti sì, ma anche di grande talento e visione”.

 

Così, scorrendo tra le 200 pagine si inciampa in nomi che poi (o prima, o durante, a seconda dei casi) ricorrono nella musica italiana che conta. Ci sono Ares Tavolazzi e Ellade Bandini, che con Vince Tempera, autore tra le altre moltissime cose delle versione italiana di Goldrake (alias “Ufo Robot”, quello delle insalate di matematica) sono stati la band storica di Francesco Guccini, oltre che collaboratori di molti altri artisti. Luigi Albertelli, autore, tra le altre cose di e “Ricominciamo” di Pappalardo, “Zingara” e “Non voglio mica la luna” di Fiordaliso. Augusto Martelli: nel libro lo si definisce “grandissimo, scoppiatissimo e quasi zappiano”, ma per noi che musicologi non siamo sarà sempre quello della sigla di praticamente tutti i programmi Mediaset, o meglio, visto che parliamo di anni 80, Fininvest, incluso lo stacchetto della pubblicità). Poi Veronica Pivetti, voce della sigla di “Danguard”. Fogus (aka Roberto Fogu) voce della sigla di “Jeeg Robot d’acciaio”, composta da Carlo Maria Cordio, autore delle partiture elettroniche di “Prova d’orchestra” e di “La città delle donne” di Fellini. Andrea Lo Vecchio, autore di “Rumore” della Carrà e di “Luci a San Siro” che in pochi sanno essere anche il padre dell’ipnotica filastrocca cantata di “Bia e la sfida della magia”. Fino all’orchestra di liscio Castellina-Pasi (rivali di Casadei) autori del valzer che introduceva le avventure di “Lupin III”.

 

Nomi di tutto rispetto, insomma, che quasi sempre sono stati dimenticati quando i cartoni hanno iniziato ad avere successo vero e ai giovani musicisti e cantanti si sostituì il duo Valeri Manera-D’Avena. “A metà degli 80, Cristina D’Avena divenne la regina incontrastata delle sigle dei cartoni animati Fininvest. E’ esplosa nel momento di ascesa delle sigle tv diventando lei stessa sigla tv, ipnotizzando gli spettatori con la sua faccina pulita e il suo sguardo ambivalente, quell’aria maliziosa che allora coglievano in pochi. Per anni, con l’aiuto della dea ex machina Valeri Manera, Cristina è stata la voce ufficiale della tv per i ragazzi. Dalla combinazione dei loro talenti è nata una vera e propria associazione a delinquere dei buoni sentimenti: testi fatti al volo, tenendosi sul vago, tanto sarà l’ascoltatore a dare un senso a quelle parole, come se stesse interagendo con un Teletubby”. Ci prova, Di Trapani, a tenere le distanze da Cristina, ma ci riesce poco. Ché al cuor d’infanzia non si comanda. “Le musiche delle sigle dei cartoni, incluse quelle di Cristina d’Avena e Alessandra Valeri Manera, erano uno spazio molto ampio, aperto alla sperimentazione. A quell’epoca, lì, non c’era niente. Alla fine degli anni 70 e nei primissimi 80 non si sapeva nemmeno, di preciso cosa fossero questi cartoni, se avrebbero avuto successo, a nessuno andava di investire soldi. Così le sigle furono affidate a autori nuovi, esordienti, giovani, anche se, magari erano già inseriti nell’ambiente. E’ il caso di Spectra che era il tastierista di Lucio Battisti e che non aveva mai cantato in vita sua, ma che poi finì a essere la voce della sigla di ‘Ken il Guerriero’. Qui, in questo spazio, questi musicisti trovarono il modo di fare cose nuove”. E’ un’operazione nostalgia, insistiamo: “No, dissento. Primo perché per tanti aspetti gli anni 70 sono stati un periodo tremendo, gli anni di piombo, pieni di violenza, siringhe nei parchi. Secondo, perché della nostalgia non mi frega nulla. Infatti la mia dedica iniziale è a ‘tutti i ragazzi del futuro’. Parlo a loro, non a quelli che venivano prima”.

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