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Bertrand Cantat lacera la Francia alle prese con delitti, pene e #metoo

Mauro Zanon

Sospeso il tour dell'ex leader dei Noir Désir che uccise di botte la moglie, l’attrice Marie Trintignant

Parigi. Parlare di Bertrand Cantat, ex leader dei Noir Désir e poeta maledetto del rock francese, non è mai stato facile. Il suo nome è una lama che divide la Francia da quel maledetto 1° agosto del 2003, quando l’attrice Marie Trintignant morì a Parigi, dove era stata ricoverata in condizioni disperate, dopo essere stata massacrata di botte dal cantante a Vilnius, in Lituania. Cantat ha provato più volte a rientrare nella società, in seguito alla scarcerazione avvenuta nel 2007 grazie alla testimonianza dell’ex moglie Krisztina Rády, ma continua a portarsi dietro quei mostri interiori che lo hanno tormentato per tutta la vita e a suscitare la repulsione di chi non si dimentica ciò che ha fatto. “Sparisci assassino!”, gli hanno gridato due giorni fa a Grenoble, dove doveva esibirsi, in serata, alla Belle Électrique. Lo hanno ricoperto di insulti e di sputi, sventolando cartelli e foto con il volto della figlia di Jean-Louis Trintignant, ma anche dell’altra donna vittima delle sue violenze domestiche, la Rády, con cui ha avuto due figli, impiccatasi in casa nel 2010, mentre il leader dei Noir Désir dormiva in un’altra stanza. “Queste persone sono sorde e accecate dall’odio”, ha attaccato Cantat sulla sua pagina Facebook, decidendo, in seguito alle polemiche, alle petizioni e alle pressioni sugli organizzatori, di annullare tutti i concerti previsti quest’estate per la promozione del suo primo album da solista, “Amor fati”. Niente festival Les Escales di Saint-Nazaire, nella Loira Atlantica, niente Ardèche Aluna Festival il prossimo luglio, ma anche niente Istres, dove era previsto per domani sera, perché i proprietari della sala concerti “L’Usine” hanno preferito cancellare la data “dinanzi alle numerose reazioni negative dei cittadini”.

 


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La Francia è spaccata, fratturata, come nel 2007, quando Cantat fu liberato, e come lo scorso ottobre, quando il settimanale Inrockuptibles lo mise in copertina riabilitandolo, e la rivista Elle rispose arrabbiata mettendo alla “une” il viso dolce di Marie Trintignant. Ma questa volta, forse per il momento storico in cui viviamo, tra le conseguenze dello scandalo Weinstein e la pioggia di denunce con l’hashtag #balancetonporc, la mobilitazione in corso nel paese appare più dura. Nadine Trintignant, madre di Marie, ha invitato Cantat a “fermarsi definitivamente”, perché è “vergognoso, indecente e disgustoso” che continui a esibirsi. Lui, sui social, si è difeso così: “Nel tessuto della vita, esistono dei buchi neri che non si riempiono. Tuttavia non ho mai cercato di sottrarmi alle conseguenze e quindi alla giustizia. Ho pagato il debito al quale la giustizia mi ha condannato, ho scontato la mia pena. Non ho beneficiato di privilegi. Desidero oggi, come qualsiasi altro cittadino, far valere il mio diritto al reinserimento sociale. Il diritto di fare il mio lavoro, il diritto per i miei cari di vivere in Francia senza subire pressioni o calunnie. Il diritto per il pubblico di andare ai miei concerti e di ascoltare la mia musica”. E’ giusto o non è giusto farlo cantare? Ha pagato abbastanza o non ha subito la pena che avrebbe meritato? Il divieto, la censura e la punizione messi in atto contro di lui hanno un senso? L’isteria del movimento #MeToo ha forse contribuito ad aggravare il clima, sostituendo la giustizia con il linciaggio? Sono le domande che lacerano la Francia, in bilico tra giustizialismo violento e garantismo repubblicano, mentre la ministra per le Pari opportunità, Marlène Schiappa, affina la sua legge contro le “violenze sessiste e sessuali”. L’analisi migliore è in questa frase di Jack Dion, editorialista di Marianne: “la vendetta non è mai stata la giustizia”.

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