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l'evento a praga

La moda non deve morire (che è il rischio dell'automotive)

Fabiana Giacomotti

Da Praga, Marco Tronchetti Provera va in soccorso del presidente di Confindustria Moda Luca Sburlati, che chiede misure urgenti al Governo. Finora molte promesse, si attende la cosiddetta messa a terra, anche delle norme contro l’ultra fast fashion cinese

Ha sviluppato una linea di merchandising astuto, di buona firma e molto ben fatto che gli sta portando risultati, ribadisce di non voler scendere nuovamente nell’agone del branding di moda, “un mondo complesso” che una ventina di anni fa, questo lo diciamo noi ma è un fatto acclarato, gli aveva dato più problemi che soddisfazioni nonostante, o forse proprio perché, la qualità dei manufatti era molto alta per un brand sportivo come Pirelli. Ma in fondo, è meno inattesa del previsto la battuta del vicepresidente esecutivo di Pirelli, Marco Tronchetti Provera (“la moda italiana non può morire, la nostra creatività è di un livello altissimo”) in soccorso al presidente di Confindustria Moda, Luca Sburlati, impegnato in queste settimane con il presidente di Camera Moda Carlo Capasa e la presidente di Confindustria Accessori Moda Giovanna Ceolini in una battaglia per il sostegno al settore del tessile in difficoltà e rimasto molto deluso dalla mancata inclusione nel DDL Concorrenza approvato in Senato delle misure già annunciate dal Governo per contrastare l’ultra fast fashion, un fenomeno che sta mettendo in seria difficoltà la filiera del Made in Italy e che negli ultimi mesi ha ribaltato i rapporti fra import ed export con la Cina.

 

Qualche giorno fa, Sburlati aveva dichiarato di non volere che la moda italiana facesse “la fine dell’automotive”, un rischio molto concreto se si pensa che la produzione è scesa da oltre 2 milioni di veicoli negli anni Ottanta a meno di 600mila nel 2024 e che i dati del 2025 indicano un ulteriore calo del 17,3 per cento tra gennaio e giugno. Da una saletta dell’hotel Four Seasons di Praga, in un incontro con la stampa italiana in occasione della presentazione del Calendario Pirelli 2026, il numero cinquantadue, scattato dal fotografo norvegese Sølve Sundsbø che l’ha pensato come una riflessione sul rapporto fra l’uomo, o per meglio dire la donna, e gli elementi naturali, molto in linea con la cultura da cui proviene ma in cui l’uso eccessivo della tecnologia toglie molto del pathos che sarebbe stato possibile e tutto sommato atteso, Tronchetti Provera lamenta il mancato investimento in tecnologia nell’automotive, che avrebbe permesso all’industria europea di superare la disparità competitiva con la Cina sul fronte delle materie prime e del costo de lavoro (“ci siamo inchinati all’elettrico, per noi costosissimo, e abbiamo pensato che la partita fosse persa. Io sono convinto che non sia così, c’è ancora la competenza per fare delle belle macchine, con dei bei motori a combustione interna o ibridi o sostenuti da forme di energia alternativa”) e si augura appunto che non accada lo stesso nella moda “dove è vero che abbiamo venduto molti marchi, ma ne possediamo ancora tanti”, e che “rappresenta ancora un’occasione fondamentale per noi”.

 

 

Che un leader della tecnologia intervenga a favore del sistema moda è segno della delicatezza del momento e dell’importanza della partita. Alle lamentele delle associazioni di categoria, nei giorni scorsi il ministro del Made in Italy Adolfo Urso aveva risposto che il governo ha già stanziato 250 milioni di euro per il settore e il nuovo Piano “Transizione 5.0”, da quattro miliardi di euro, dove si introduce l’iper-ammortamento e che sarà finanziato con “risorse nazionali, senza i vincoli del Green Deal”. Si attendono concretizzazioni. Fra quattro giorni è previsto un incontro con le associazioni d’impresa per discutere il rifinanziamento del Piano 5.0 e nuove misure per le Pmi, i contratti di sviluppo e un credito d’imposta per la progettazione artistica, molto atteso perché il suo taglio, nel 2024, era stato un colpo micidiale per chi investe ogni giorno buona parte delle proprie risorse in prototipia. Sburlati indica in quattro le misure reattive necessarissime: un intervento a livello  europeo per superare il regime dei minimi sui piccoli invii; una norma ispirata a quella varata recentemente in Francia, che prevede una tassa postale sui pacchi e il divieto di pubblicità per i player dell’ultra fast fashion (ci verrebbe da dire che il boom del negozio di Shein appena inaugurato in zona Marais sfugga un po’ ai buoni propositi, ma insomma); l’applicazione rigorosa della legge sull’anti-caporalato; e l’attuazione dell’Epr tessile, che a detta del presidente di Confindustria Moda “farebbe nascere in Italia una nuova filiera dedicata alla rigenerazione delle materie prime e seconde”. I rischi della mancata approvazione e introduzione di correttivi strutturali sono concreti e preoccupanti: entro il 2030 il settore potrebbe registrare una perdita di 19 miliardi di fatturato, 35.000 posti di lavoro e 4.600 imprese.

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