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Perché ci si fida più dei brand che dei governi

Andrea Laurenza

Negli ultimi cinque anni la fiducia verso i brand non solo non si è incrinata, ma, anzi, si è rafforzata. Cresce ancora di più verso i marchi locali e di nicchia, percepiti come autentici e vicini, capaci di parlare la stessa lingua delle persone che li scelgono

Perché parlare di brand? Il brand è molto più di un nome o un logo: è ciò che guida scelte, ispira fiducia, costruisce appartenenza. Ma possiamo ancora dire che oggi i marchi siano la bussola dei consumatori?

Negli ultimi anni l’inflazione, tensioni geopolitiche, nuove ansie sociali e ambientali, l’avvento di nuove tecnologie, con la Generative AI in primo piano, hanno ridisegnato il contesto competitivo. Anche i consumatori non sono più gli stessi: più esigenti, più informati, meno indulgenti. Di fronte a questa complessità, per le aziende mantenere la fiducia e costruire connessioni significative con la propria customer base è diventato più difficile. Capire come oggi si formino legami solidi tra marchi e consumatori diventa un passaggio essenziale per garantire rilevanza e successo a lungo termine. I dati della ricerca “Brand Connection” che abbiamo sviluppato e presentato nelle scorse settimane a Milano offrono tuttavia alcune conferme. Anche in tempi di incertezza, i brand continuano a essere un punto di riferimento per i consumatori, più dei governi e delle grandi corporation. Negli ultimi cinque anni la fiducia verso i brand non solo non si è incrinata, ma, anzi, si è rafforzata. Cresce ancora di più verso i marchi locali e di nicchia, percepiti come autentici e vicini, capaci di parlare la stessa lingua delle persone che li scelgono. E, parallelamente, soprattutto in mercati come Stati Uniti, Cina ed Emirati Arabi Uniti, aumenta anche verso i grandi brand globali, che sanno rappresentare status, identità collettiva e modernità. Per la maggioranza dei consumatori, il marchio continua a essere garanzia di qualità e bussola nelle decisioni d’acquisto future: nonostante il contesto economico incerto, il brand è ancora un criterio scelta capace di orientare gli acquisti. Ma il suo valore va oltre la funzione pratica: il brand fa sognare e svolge un ruolo culturale, contribuendo a definire immaginari, identità e linguaggi condivisi. È una forma di connessione emotiva e culturale tra persone, valori e aspirazioni. La rilevanza non è dunque in discussione; lo è la fedeltà. Il brand love, l’amore per il marchio, non scompare, ma cambia forma. Quasi metà dei consumatori non si sente legata a nessun marchio; uno su tre dichiara di seguirne molti senza amarne davvero uno; la propensione al brand switching è elevata. Sono segnali che indicano quanto la relazione vada guadagnata e poi costantemente rinnovata nel tempo.

 

Oggi le connessioni nascono da una miscela di utilità quotidiana ed emozione. Ci si aspetta che i marchi semplifichino la vita, garantiscano qualità e coerenza tra valori dichiarati e comportamenti; ma anche che intrattengano, evochino ricordi, costruiscano appartenenza. La mappa delle priorità cambia da paese a paese: in Europa prevale una connessione funzionale e pragmatica; negli Emirati Arabi, in Cina e negli Stati Uniti emergono con più forza dimensioni emozionali, culturali e identitarie.

 

Come si costruiscono, allora, queste connessioni?

 

La sostenibilità è ormai un requisito imprescindibile. La dimensione ambientale è uno standard atteso, soprattutto in Europa, mentre quella sociale cresce come fattore di fiducia e legame, in particolare in Asia, negli Stati Uniti e negli Emirati. La customer experience è il vero banco di prova. Nei mercati maturi contano preparazione, competenza ed empatia del personale; in quelli emergenti fanno la differenza rapidità e accessibilità del servizio. L’omnicanalità pesa quanto l’adozione di nuove tecnologie, soprattutto nei mercati asiatici. Ma è la personalizzazione la chiave del cuore dei consumatori: le persone vogliono essere riconosciute come individui, cercano brand capaci di cogliere le loro unicità e di servire di conseguenza.

 

Al centro, rimane l’affidabilità. È il valore cardine e il più fragile; quello che, quando manca, delude di più le aspettative. Si costruisce lentamente e si può perdere in un istante. Un semplice errore, una promessa mancata, una crisi reputazionale o una semplice incoerenza tra parole e fatti possono incrinare il patto di fiducia.

 

La relazione tra consumatori e brand è viva, ma rimodellata da nuove aspettative. Fiducia, affidabilità e autenticità, non bastano più da sole. Servono continuità della relazione, impegni di sostenibilità concreti, servizio empatico e personalizzato, esperienze digitali fluide e realmente omnicanale. Solo così il “brand love” può tradursi in fedeltà stabile e in rilevanza competitiva in un mercato sempre più frammentato e selettivo.

 

Andrea Laurenza è Consumer Industry Leader di Deloitte Central Mediterranean

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