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Il Foglio della moda
L'effetto-Trump sul lusso che nessuno si sarebbe aspettato
Nonostante i dazi le vendite dei marchi europei della moda negli Stati Uniti hanno tenuto e, in molti casi, sono addirittura aumentate
Le fila di ragazze davanti ai negozi Miu Miu a Milano, compreso il pop up store dedicato ai profumi, e i picchi di visualizzazioni sui social registrati dal brand GenZ di Prada (ma in realtà seguitissimo anche dalla X Generation e dalle donne in genere, incluse le critiche ai grembiulini della collezione estate 2026 presentata a inizio ottobre a Parigi), sono tra i segnali di ripresa del settore dopo un primo semestre in flessione per incertezze economiche e geopolitiche.
“Miu Miu è uno dei pochi marchi che mostri tassi di crescita a doppia cifra in una fase in cui a livello globale continua a dominare l’incertezza”, spiega Chiara Rotelli, senior equity analyst di Mediobanca per il settore dei beni di lusso. Insomma, quella che un tempo era considerata la bella addormentata, Miu Miu, si è svegliata offrendo un contributo positivo ai conti dell’intero gruppo guidato da Andrea Guerra. E dopo una prima parte dell’anno in cui tutti i brand hanno risentito del rallentamento della domanda, nel terzo trimestre si registra una ripresa grazie a una manciata di nomi di fascia alta. Prada è tra questi insieme con Brunello Cucinelli ed Hermès.
Che cosa ha fatto la differenza? Bisogna guardare a come si sta muovendo lo scenario globale: “La stagione delle trimestrali in corso”, prosegue Rotelli, “mostra alcuni segnali di miglioramento rispetto al trimestre precedente, ma non si può parlare di un’inversione di tendenza. I brand con una forte esposizione a consumatori con una elevata capacità di spesa in Nord America stanno mostrando maggiore resilienza, mentre quelli più esposti ai consumatori aspirazionali sia in Oriente sia in Occidente stanno continuando ad affrontare venti contrari”. Eppure, è stata proprio la politica commerciale americana, prima con la minaccia e poi con l’imposizione di pesanti dazi sulle merci europee, a generare instabilità sulle prospettive di crescita economica di tutto il 2025. Ma, segnalano gli analisti, esiste una differenza sostanziale, che è anche di carattere culturale, tra la domanda cinese e quella americana dei beni di lusso europei. La domanda cinese è condizionata dall’andamento del settore immobiliare che è ancora in forte rallentamento nonostante gli stimoli del governo.
La domanda americana, invece, è stata sostenuta più di quanto ci si potesse attendere dalla Borsa. Wall Street, nonostante i dazi di Trump, continua a crescere e se si considera che un terzo della capacità di spesa dei cittadini americani dipende dai guadagni sugli investimenti azionari, si spiega come mai le vendite dei marchi europei negli Usa abbiano tenuto quando non sono aumentate. Dunque, chi è riuscito a intercettare e a cavalcare la tendenza alla maggiore liquidità della classe media statunitense, di certo meno propensa al risparmio rispetto a quella europea, ha portato a casa un terzo trimestre in miglioramento. Secondo una ricerca di Intesa Sanpaolo, gli ultimi risultati danno l’impressione che il “peggio sia passato e che la crisi del settore del lusso si stia finalmente attenuando”. Ma aggiunge: “La nostra personale preoccupazione è che la Cina possa continuare a rappresentare un freno nei prossimi trimestri, anche se ci sono stati miglioramenti incoraggianti”. Dati alla mano, è Cucinelli, seguito da Hermès e Prada, rispettivamente al secondo e terzo posto, a guidare la classifica degli incrementi di ricavi nel terzo trimestre di quest’anno. Un discorso a parte meritano Lvmh e Kering, eterni rivali. Il gruppo di Bernard Arnault, si può dire che si trovi ancora in una fase di “galleggiamento” dopo la frenata di inizio anno, sebbene in un’analisi complessiva si debba considerare l’elevato grado di diversificazione del gruppo, per cui si vedono brand in decisa ripresa, come Louis Vuitton, mentre Dior risente ancora di una fase di transizione anche a causa dei cambi nella direzione creativa, cioè da Maria Grazia Chiuri, di fresca nomina da Fendi, a Jonathan W. Anderson, che un mese fa ha presentato la sua prima collezione donna. arà invece da valutare la sterzata nel gruppo di François Henri Pinault dopo che le redini sono state affidate a Luca De Meo.
Il nuovo amministratore delegato si è concentrato subito sulla riduzione del debito con la cessione di Creed a L’Oréal e sulla ridefinizione di alcune clausole che riguardano l’acquisizione della quota in Valentino, avviando al contempo una collaborazione con lo stesso colosso della cosmetica nel settore del beauty per esplorare opportunità di business con margini in crescita, nello specifico la longevity. Un altro effetto dell’era De Meo è la ridefinizione del ruolo di Francesca Bellettini, già numero due del gruppo, come ceo e presidente di Gucci, con l’idea di costruire un’organizzazione “più snella e chiara” e di velocizzare il rilancio del brand. In questa fase le singole storie aziendali si intrecciano con un contesto di mercato che ha riservato delle sorprese. L’inatteso dinamismo della domanda americana sta influenzando, infatti, tutto il settore del lusso, yacht e auto comprese.
Più i produttori sono esposti ai mercati asiatici e cinesi, minori sono le prospettive di crescita, mentre il contrario vale per chi vende nel mercato statunitense, nonostante i dazi il cui impatto sul lusso sembra per adesso ininfluente. È l’effetto Trump che nessuno si aspettava.