Una sfilata di Dolce e Gabbana alla Milano Fashion week (foto Ansa)

Il Foglio della moda - primafila

La differenza tra fiera e laboratorio di idee e novità

Giovanni Bozzetti

Dietro l’etichetta del “Made in Italy” c’è molto più di un abito o di un accessorio: c’è un ecosistema che muove cultura, lavoro, bellezza ed economia. L'esigenza di fare sistema, sperimentare e aprirsi ai cittadini

La moda non è soltanto un settore produttivo: è uno dei pilastri dell’identità italiana, un linguaggio che parla al mondo intrecciando creatività, artigianato e innovazione. Dietro l’etichetta del “Made in Italy” c’è molto più di un abito o di un accessorio: c’è un ecosistema che muove cultura, lavoro, bellezza ed economia. Ci sono imprese che custodiscono il saper fare, stilisti che osano nuove estetiche, buyer che portano il gusto italiano nei cinque continenti. Ed è qui che il sistema fieristico gioca un ruolo decisivo: secondo i dati del Centro Studi di Fondazione Fiera Milano, l’Italia concentra quasi la metà degli espositori e oltre un terzo dei visitatori delle fiere europee di moda. Un primato che conferma come il nostro Paese non sia solo vetrina, ma soprattutto motore. Le fiere, da Milano a Firenze a Vicenza, tengono insieme l’intera filiera: dai macchinari ai tessuti, dagli accessori al gioiello. Sono il luogo dove 12.500 imprese espositrici e trecentomila operatori si incontrano ogni anno, generando relazioni, contratti, prospettive. Senza fiere non ci sarebbe quel tessuto di connessioni che consente al Made in Italy di arrivare puntuale e competitivo sugli scaffali del mondo. Un settore con 53mila imprese, oltre un milione di addetti e 75 miliardi di valore aggiunto. Eppure, la moda non vive solo di business. Vive anche di immaginario, della capacità di creare sogni.

 

È qui che entrano in scena le Fashion Week. Milano, accanto a Parigi, Londra e New York, resta una capitale indiscussa: quasi duecento appuntamenti, sfilate e presentazioni che definiscono le tendenze e i linguaggi delle prossime stagioni. Ma anche qualcosa di più: la capacità di orientare desideri, di influenzare consumi, di dettare stili di vita. Ma bisogna innovarsi, aprire le porte della moda anche ai cittadini, con eventi urbani, installazioni, mostre, streaming. Non più solo inviti esclusivi, ma anche esperienze condivise, capaci di avvicinare la gente comune a un mondo che troppo spesso sembra lontano. Bisogna sempre più aprirsi alla formazione e al sostegno dei giovani talenti con programmi per le scuole, workshop, laboratori e spazi dedicati agli emergenti. Non più soltanto vetrine o passerelle, ma veri incubatori di conoscenza e creatività. Anche le manifestazioni fieristiche devono avere il coraggio di innovarsi. Non possono limitarsi a essere ciò che sono state: devono diventare ciò che ancora non immaginiamo. Non basta ripetere i format che un tempo decretarono il successo: viviamo in un’epoca in cui l’innovazione corre veloce, in cui ciò che oggi sorprende domani rischia di apparire già vecchio. Per questo ogni fiera deve trasformarsi in un’esperienza unica, capace di emozionare, di ispirare, di generare connessioni e opportunità concrete. Non più luoghi statici, ma laboratori viventi di idee, in grado di parlare al mondo intero. Superiamo i confini, liberiamoci dal provincialismo: le fiere italiane devono essere una vetrina globale di creatività, innovazione e bellezza, appuntamenti che nessuno può permettersi di perdere. Siamo italiani: abbiamo talento, storia, cultura, territori e marchi straordinari. Mettere tutto questo a sistema è il nostro compito, il nostro dovere. Perché le fiere non sono solo spazi espositivi: sono il cuore pulsante dell’Italia che dialoga con il mondo, e devono restare il vero place to be. Serve un coordinamento tra fiere sfilate e territori; calendari condivisi; supporto istituzionale per attrarre buyer internazionali; città capaci di offrire spazi, servizi e accoglienza all’altezza della competizione globale. La moda è cambiata: non più solo due stagioni canoniche, ma capsule collection, eventi “see-now-buy-now”, format esclusivi in luoghi inediti.

Un’industria che corre veloce e che chiede flessibilità, creatività e capacità di sperimentare.

La vera sfida oggi è proprio questa: fare sistema. Mettere a fattor comune creatività, manifattura, fiere, fashion week, istituzioni e territori. Le sfilate accendono i riflettori, le fiere alimentano il cuore produttivo, le città diventano piattaforme di connessione. Solo così il Made in Italy continuerà a essere non soltanto sinonimo di bellezza, ma anche un modello economico, sociale e culturale da offrire al mondo.

Non possiamo dimenticare le sfide globali: la sostenibilità, la digitalizzazione, che ha rivoluzionato produzione e distribuzione; il passaggio generazionale delle piccole imprese artigiane, chiamate a scegliere se continuare a custodire il saper fare o cedere a capitali esteri.

La moda italiana ha già dimostrato di saper reinventarsi infinite volte, attraversando crisi, rivoluzioni tecnologiche, cambiamenti sociali.

Se sapremo fare sistema – unendo fiere, sfilate, imprese, istituzioni e territori – il Made in Italy non sarà solo un marchio, ma una promessa mantenuta: quella di un Paese che custodisce le proprie radici mentre guarda dritto al futuro.

Il futuro della moda italiana si gioca qui: nell’abilità di trasformare la creatività in valore, la tradizione in innovazione, la bellezza in responsabilità.

E quel filo invisibile che ci unisce, se non lo spezziamo, può diventare la trama di un nuovo Rinascimento italiano.

 

 

Giovanni Bozzetti è presidente Fondazione Fiera Milano

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