Intervista fra telefono e social

La sottile differenza fra semplice e sciatto

Tony Di Corcia

In mezzo secolo, Giorgina Siviero ha fondato una boutique che ha vestito gli Agnelli e i Gabetti, ha scritto un libro fortemente polemico sulla moda giunto alla quinta edizione e ora, a ottant’anni, è diventata mentore su Instagram di 600 mila persone incapaci di scegliersi una camicia bianca o di farsi una valigia. “Io? Sono una disinfluencer”

Nel momento in cui scriviamo, Giorgina Siviero ha ottant’anni e circa 560mila follower su Instagram: un club di intimi se paragonato ai numeri dei follower di Chiara Ferragni o di ciò che ne resta ma, in termini di engagement, un fenomeno molto interessante. Prima di lei, fondatrice della storica boutique “San Carlo dal 1973” a Torino, nessun altro buyer di moda aveva ottenuto un uguale successo. Il suo, è dovuto in buona parte a uno spirito caustico connaturato dall’infanzia (ovunque nel mondo, e l’Italia non fa eccezione, la gente adora l’approccio Miranda Priestley), e in parte a un format narrativo che le ha sviluppato la figlia, Elena Cecchi, e che si ripete come un gimmick: la scena si apre sulla mamma in boutique, intenta a sistemare una camicia su un manichino o ad accostare un cardigan e un gonnellone, ed ecco la figlia che la segue e la incalza con una domanda sulla moda, selezionata tra quelle inviate dai seguaci.

E qui viene fuori la personalità di Giorgina Siviero: con fare spesso brusco e spazientito, assesta risposte rigorose, normative, difficilmente contestabili. Le paillettes? Per carità. I tacchi alti? Se proprio devi… I sandali per l’uomo? Solo se ti trovi ad Atene e stai visitando il Partenone. Sei in sovrappeso? Non puoi pretendere di indossare qualsiasi cosa. Compri un abito nuovo? Per ogni pezzo che entra nell’armadio, un altro deve uscire, roba che Marie Kondo fatti più in là. Severità e buonsenso, puntuale tripudio di cuori, like e complimenti. Il tasso di buona fede è elevato, soprattutto in un mondo di narrazioni spericolate sullo stile, non di rado inattendibili. Nel suo caso, è chiaro che non si tratti di pose per catturare la simpatia dei follower, e lo confermano anche le scelte commerciali e stilistiche della signora: dieci anni fa, infatti, ha deciso di non vendere più i cosiddetti marchi per puntare su una moda di ricerca, forme di assoluto nitore, frutto di una lavorazione artigianale, eticamente irreprensibile, realizzata con materiali di qualità. La sua immagine, ovviamente, riflette questo percorso: il suo unico vezzo è quello di raccogliere i capelli bianchi in un codino (ma senza incrostarli di cipria come faceva la buonanima di Karl Lagerfeld).

Attorno a questa donna, ormai personaggio, si è sviluppato un piccolo culto: clienti di ogni età vanno in processione a Torino per conoscerla e farsi dedicare il suo libro “Una passione smodata” (l’editore è Allemandi, è giunto alla quinta edizione, quando qualcuno vicino a noi lo ricevette, quelle lunghe pagine gli parvero inutilmente polemiche e anche parziali, e invece sono state la chiave del suo successo). Anche volti più noti si affidano alla sua visione, e compaiono come guest star nei suoi filmati: Federica Pellegrini che le confida di vivere le sue spalle di nuotatrice come un complesso insormontabile, Daria Bignardi che si riconosce nei suoi outfit disadorni, l’imprenditrice Donatella Girombelli che ritrova in boutique le linee minimaliste che aveva impresso alla sua collezione Genny negli anni Novanta. E la diretta interessata come si spiega questo boom? “Mi piacerebbe che fosse lei a spiegarlo a me, perché io non l’ho capito”, risponde nel primo minuto del primo giorno di lavoro dopo le vacanze estive: “Io faccio le stesse cose da sessant’anni, con la differenza che fino a dieci anni fa vendevo dei marchi e non facevo i reel sui social. Quando mia figlia ha cominciato a farli, nel 2015, ho continuato a pensare e a parlare nel mio modo consueto. Improvvisamente, due anni fa la gente si è accorta che esisto. Ed eccomi qua”. Tutto merito di una valigia o, meglio, delle sue istruzioni su come riempirne una con l’essenziale e stare fuori per una settimana. “Era il maggio del 2023, due clienti mi parlavano delle complicazioni legate alla preparazione del bagaglio e mi hanno chiesto che cosa ne pensassi. In una notte il profilo ha totalizzato mille follower in più: mia figlia pensava che fosse un errore dell’algoritmo, e invece era partito questo fenomeno. Allora eravamo in 14.000, ventotto mesi dopo siamo quasi a 600mila”. Quasi una dimostrazione del fatto che, se si possiedono un pensiero e una personalità originali, non servono chissà quali acrobazie circensi per conquistare l’attenzione del pubblico e che l’ufficio stampa può essere un apparato piacevolmente casalingo, giocoso, familiare, senza dover allestire riunioni interminabili per individuare una strategia di comunicazione in un’atmosfera da Studio Ovale.

Il messaggio evangelico di questa papessa ieratica, accigliata, impaziente, sembra essere principalmente uno: la semplicità è il valore supremo. “Ma è una cosa tutt’altro che facile: devi possedere un substrato, un pensiero, che nel mio caso deriva dall’avere sessant’anni di esperienza in questo settore. E non mi sono inventata io che una bella camicia bianca può essere la base di un guardaroba, chissà quante persone più autorevoli di me lo hanno capito prima di me. Io parlo di una semplicità molto strutturata: per arrivare a scarnificare, per giungere all’essenza delle cose, devi aver già fatto tanti sbagli e percorso molte strade, perché la semplicità non è per tutti, è una cosa molto complicata. Ecco, la mia è una semplicità complicata. Se la semplicità non è complicata, è solo sciatteria”.

Altri nemici da scacciare come demoni sembrano essere tutti i luoghi comuni della femminilità comunemente intesa, il tipico armamentario della seduzione e dell’esibizione, tanto che qualche raro commento critico la accusa di avere dei problemi con la femminilità (per il resto la community di Giorgina è un piccolo paradiso delle signore, cordiali come in una sala da the, e anche questo è fenomenale per il web): “Se femminile vuol dire mostrare tette e culi su tacchi 12 traballanti, allora è vero che ho qualche problema con la femminilità. Ma la femminilità parte dalla testa, da un pensiero, da un gesto, da un portamento, da una cultura, da un sense of humour e non da paillettes, tacchi a spillo e quelle robe lì”. È evidente che Siviero sia una donna più colta di quanto faccia mostra di essere, consapevole delle sue capacità, e che in questa fase della sua vita si conceda meritatamente il compiacimento di dispensare ossimori e aforismi à la Oscar Wilde.

Ed è interessante che sia accreditata come influencer una donna di ottant’anni, con il suo carico di esperienze e di sicurezze. Anche se, a naso, il termine influencer non deve piacerle troppo. “Ma infatti non lo sono e non mi ritengo tale”, ci bacchetta prontamente, “perché io non devo promuovere niente, nemmeno me stessa, mentre un influencer deve cercare di influenzare le persone promuovendo un marchio, un prodotto, vestendo oggi Dior e domani Gucci. Io mi ritengo, al contrario, una disinfluencer: perché non devo convincere la gente a comprare un marchio, ma a cercare di vestirsi in un modo più corretto”. Ma, nei fatti, quando parla della sua idea di stile lo fa mostrando i suoi prodotti, ciò che vende nella sua boutique, come è legittimo che sia per una commerciante.

Quindi qual è la differenza? “Certo, alla fine io sono una commerciante e devo promuovere i prodotti che vendo io, ma io promuovo ciò in cui credo, ciò che faccio: io sono il mio datore di lavoro, sono un commerciante con delle regole molto precise e molto poco commerciali. Io propongo un mio prodotto, ma soprattutto un’idea”. E le persone, adoranti, che si rivolgono a lei come a un guru? “Si sbagliano! Io sono piuttosto una persona che consiglia qualcosa da preferire a qualcos’altro che, a mio avviso, non è corretto”.

Giorgina è una stella polare, in un’epoca che non ha più punti di riferimento. In un tempo che vede i genitori vestire più scelleratamente dei figli, in cui ci si reca a teatro con tenute più idonee alla lap dance, in cui le più venerate icone di stile si truccano come mummie della Terza Dinastia, si respira lo stesso smarrimento che la letteratura degli inizi del Novecento esprimeva attraverso le voci di Pirandello, di Svevo, che individuavano il sintomo della malattia sociale nell’assenza dei padri: padri intesi non solo in senso genitoriale, perché si tratta di un’assenza di guide, di indirizzi illuminati e illuminanti. In un panorama incerto e ingestibile, Giorgina Siviero soddisfa un’esigenza molto contemporanea come quella di delineare una grammatica, un alfabeto estetico fatto di rigore, pulizia, proporzioni, proprio mentre la moda si fa sempre più disarmonica, distopica, dissonante. “Anch’io provo tristezza, e un senso di disorientamento di fronte alla moda di oggi”, concorda: “Con l’avvento di certi fenomeni, con quello che si vede nelle sfilate e sui giornali, per la strada, con i proclami di certi guru della moda e la totale confusione che regna in questo campo la gente non capisce più niente, e forse ha trovato nei miei messaggi un angolo di sicurezza: una persona che parla in modo semplice a una clientela che non vuole vedersi marchiata ma essere naturale. Io non seguo il gusto del momento, seguo il momento del mio gusto”.

Visto che ci ha regalato un altro aforisma, ripeschiamo uno dei suoi slogan di maggiore successo: per ogni capo che entra nell’armadio, un altro deve uscire. Anche se sono stati acquistati nella sua boutique? “Ma i miei capi sono eterni, quelli vanno conservati con molta cura, per cui non sono da eliminare. Devono assolutamente uscire quelli che hai comprato malamente nel fast fashion, che tra le sue colpe ha anche quella di aver azzerato la possibilità di far entrare nuovi attori sulla scena. Per essere più chiari possiamo dire: quando nell’armadio entra un capo giusto, deve uscirne uno sbagliato”. Giorgina è quella maestra per la quale proviamo ancora nostalgia anche a decenni di distanza dalla scuola: inflessibile mentre sbagliavamo i teoremi alla lavagna, granitica nella decisione di rimandarci a settembre. Ma quanto sottile, indefinibile e totalizzante era il piacere che provavamo mentre ci fulminava con lo sguardo? Un format di successo. Giorgina Siviero ripresa davanti ai capi secondo lo schema narrativo che la figlia Elena Cecchi ha studiato per dare voce alle domande dei moltissimi seguaci su Instagram

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