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Prima fila

La dimensione di cui ha bisogno la moda oggi è il viaggio

Antonio De Matteis

Chi acquista abbigliamento pronto ha il diritto di sapere dove, come e da chi il capo che acquista sia stato fatto. "Ho imparato tutto in viaggio con lo zio fra Napoli e Brora", dice il ceo del gruppo Kiton, presidente di Pitti Immagine

Sapete dove si trova Brora? Quasi all’estremità orientale della Scozia, nelle Highlands. Da secoli, vi si produce un whisky per intenditori, e anche lane di qualità. Da Napoli, in auto, sono tre giorni di viaggio. Però mio zio, Ciro Paone, il fondatore del nostro gruppo, non amava i viaggi in aereo e neanche quelli in treno; dunque, almeno un paio di volte all’anno, salivamo in macchina e partivamo per quel lungo tragitto fino ai confini del Regno Unito, per scegliere i tweed e gli shetland di Hunters, anno di fondazione 1901, una meraviglia. Tutto quello che so del commercio, ma anche del viaggio come momento di conoscenza, di arricchimento culturale, di scambio, lo so grazie a quelle giornate trascorse al volante, in cui ci fermavamo nella trattoria che ci ispirava fiducia e nell’albergo che ci sembrava accogliente, scoprendo ogni volta nuovi paesi, nuovi panorami, stringendo legami che, talvolta, si sarebbero trasformati in opportunità di lavoro. Una delle aziende della nostra filiera, a Fidenza, lo è diventata proprio grazie a uno di questi viaggi: risalendo lungo la penisola, ci venne raccontato che lì veniva prodotta maglieria eccezionale. Chiedemmo di visitarla, ora gli impianti e il know how della famiglia Somma sono parte integrante, fondamentale, del gruppo Kiton, i figli del fondatore sono rimasti soci al quaranta per cento. Se invece di prendere l’auto fossimo saliti su un aereo, saremmo arrivati a Edimburgo in meno di tre ore, da lì a Brora con un autista in altre due, al massimo, ma non avremmo rafforzato la nostra filiera e ci saremmo anche persi la bellezza dell’avventura.

Credo che la mia idea del viaggio di lavoro assomigli molto a quella di Marco Polo, il “milione” come definivano a Venezia quella famiglia di mercanti e di esploratori: del suo lunghissimo viaggio, non ho mai pensato che stringere accordi commerciali o stabilire rapporti diplomatici fosse l’unico scopo e d’altronde, le lunghe descrizioni dei paesaggi, delle notti trascorse in carovana nel centro dell’Asia lungo la rotta fino al regno di Kublai Khan, che Marco fece al trascrittore delle sue memorie, Rustichello da Pisa, ci dicono che per lui il viaggio fu importante almeno quanto, se non di più, dei soggiorni. Molti anni fa, il critico letterario Luigi Foscolo Benedetto scrisse che “Marco Polo si rivolge a tutti quelli che vogliono sapere: sapere quello che c'è al di là delle frontiere della vecchia Europa. Non mette il suo libro sotto il segno dell'utile, ma sotto il segno della conoscenza”. Credo si tratti di uno spunto di riflessione interessante anche per la moda di oggi, che si confronta con una progressiva disaffezione dovuta a molti fattori, fra i quali la mancata connessione fra chi produce e chi acquista, cioè fra chi ha realizzato il capo e chi lo indossa, è sicuramente il più rilevante.

Lungo tutto l’arco della storia e fino all’avvento del prêt-à-porter, oltre che di un certo lusso standardizzato, il rapporto fra chi acquistava abbigliamento o moda e chi la produceva era diretto, one-to-one come si direbbe oggi. In alcuni casi, e il nostro è uno di questi, è ancora così; peraltro, molti segnali ci indicano che un pubblico sempre più vasto vada, o per meglio dire torni verso questa direzione, e cioè che stia cercando di nuovo di affidarsi a un sarto, magari giovane, e dunque ricco di idee e di voglia di fare e di sperimentare più che di certezze: nella nostra accademia, ogni anno formiamo una ventina di queste giovani leve, e andiamo orgogliosissimi del percorso che intraprendono, con noi o anche altrove. Il sarto è partner, confidente, per certi versi confessore: quanti progetti sono nati dal rapporto speciale, unico, che si è instaurato fra un couturier o un progettista e il suo cliente, basti pensare a Charles Frederick Worth con Elisabeth de Caraman Chimay, la contessa Greffulhe che avrebbe ispirato Marcel Proust o a Jean Louis Dumas e Jane Birkin. Ma ritengo che anche chi acquista moda o abbigliamento pronto abbia il diritto di sapere dove, come e da chi il capo che acquista sia stato fatto: a questo serve la blockchain, naturalmente, sebbene sia convinto che nemmeno uno strumento così importante sia sufficiente a rispondere alle richieste di chi adesso compra moda di conoscere, di sapere, di fare del capo che indossano una parte di sé. È questa la dimensione di cui ha bisogno la moda di oggi: la dimensione del viaggio.

*ceo gruppo Kiton, presidente Pitti Immagine

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