
Foto Getty
Il foglio della moda
Upcycling (di lusso) su rotaia
Qualche retroscena e un test del progetto Dolce Vita Orient Express che, dopo il debutto italiano, Paolo Barletta oggi sta esportando in tutto il mondo per soddisfare quel pubblico che non salirebbe mai su una nave da crociera ma vuole lo stesso provare l’ebbrezza dell’arte dimenticata del viaggio lento
C’è un aspetto dell’universo vintage e del cosiddetto upcycling, il recupero lussuoso e creativo dell’esistente, che finora molti di noi del giro-moda non avevano mai valutato, coinvolti come siamo nelle pezze – qualcuno che lavora a queste pagine ha appena ereditato decine di metri di sete stampate di Pino Lancetti, Fausto Sarli, Irene Galitzine e, felici per lei, le abbiamo consigliato di metterle all’asta, decine di designer saranno pronti a battersi per assicurarsele e farne argomento di marketing. Il modello di vintage al quale non avevamo mai pensato è quello ferroviario, per essere precisi il modello tipo Z1 delle Ferrovie dello Stato degli Anni Sessanta, prodotto dalla Fiat, squadrato e massiccio, diviso per scompartimenti, sul quale tanti fra noi boomer salivamo da piccoli con la mamma al termine dell’anno scolastico per raggiungere la casa al mare o in montagna, in genere seduti in pizzo sulle poltrone di un dubbio vellutino azzurro cupo, guai ad appoggiare la testa ma comunque esposti all’aria gelida che si irradiava girando una manopola sopra la porta scorrevole.
Conservate da decenni presso le varie sedi della Fondazione FS Italiane, che include un museo e un programma di viaggi turistici su treni storici restaurati (anni fa ne visitai uno in legno e ottoni lucidi degli ultimi anni Trenta in occasione di un appuntamento modaiolo, purtroppo arrivò sul Binario 21 della Stazione Centrale e l’effetto combinato non fu dei migliori) una volta smontate fino allo chassis e riallestite in omaggio a Gio Ponti e Nanda Vigo, queste carrozze si sono rivelate perfettamente riutilizzabili, ecco l’upcycling, per il progetto Dolce Vita Orient Express, accordo fra Arsenale spa, società controllata dal Gruppo Barletta che include una partecipazione di Nicola Bulgari, del fondo americano OakTree Capital, di Orient Express con la collaborazione della Fondazione FS Italiane.
Ogni convoglio costa circa 50 milioni di euro, ci lavorano la Omer di Carini, specializzata nei restauri storici, e gli impianti CPL di Brindisi, acronimo di Cooperativa Progresso Lavoro, molto contenti delle ricadute in termini di servizi e ricezione per la zona: per le sole rotte italiane sono previsti sei treni, collegandosi al sito si viene inseriti subito nella lista d’attesa. Quando, in una mattinata del maggio 2022 sulla terrazza della Soho House di Roma che il suo gruppo gestisce e che oggi è diventata la meta privilegiata delle presentazioni dei prof della Sapienza lì vicino, Barletta iniziò a illustrarmi il progetto, magnificando la rotta siciliana, e le belle stazioncine, e la genialità dei cantieri, e gli accordi con gli artigiani e le griffe del design che avrebbero collaborato, ripensai a un tragitto Agrigento-Palermo di qualche anno prima che, calcolati i tempi ferroviari ancora sabaudi vigenti sull’isola, ero stata costretta a risolvere affittando un’auto, per cui finii di bere la spremuta di pompelmo che mi era stata offerta e dissi a me stessa che non ce l’avrebbe mai fatta.
Tre anni dopo, Barletta ha venduto i vecchi treni delle FS italiane perfino all’Arabia Saudita che vuole promuoversi come meta turistica - nei prossimi mesi verrà inaugurato il convoglio “Dream of the desert”, con quattordici carrozze e trentaquattro suite di lusso progettate da Aline Asmar d’Amman, l’architetta libanese che, una decina di anni fa, restaurò il Crillon di Parigi, per alcune suite in collaborazione con Karl Lagerfeld che l’adorava - ha stretto accordi con l’Uzbekistan per un “Samarkand Express”, sta lavorando con l’Egitto che chiede alternative alla consueta crociera sul Nilo e ha messo il sale sulla coda a Belmond che, in risposta al treno della Dolce Vita, avebbe dovuto varare il mese scorso un treno “Britannic Explorer” fra Inghilterra e Galles, madrina Keira Knightley, purtroppo ancora bloccato a causa di grossi problemi tecnici, quote di 5500 sterline a testa già restituite. L’idea di Barletta, prezzi a parte perché si parte da cinquemila euro circa per un viaggio di due giorni e una notte, è di offrire ai viaggiatori stanchi di atterrare da un posto all’altro senza nemmeno aver capito la rotta percorsa, cioè più o meno tutti noi non avendo in genere il tempo per muoverci altrimenti, il gusto del viaggio di una volta, però senza i vellutini azzurri e il carrello dei panini che peraltro ci erano vietatissimi, essendo confezionati chissà da chi e che non si era certamente lavato le mani come diceva la mamma, ma anche senza farci rinchiudere per ventiquattr’ore filate fra i cristalli e i legni dell’Orient Express originario che, per chi soffre di claustrofobia, è la rappresentazione cinetica dell’incubo. Sosteneva una recente ricerca di Altagamma, ma lo sostiene anche Barletta che ne ha fatto anzi il punto forte delle sue argomentazioni, come il problema dell’overtourism si potrebbe limitare offrendo rotte nuove e destinazioni alternative a una massa che si affolla nel dieci per cento delle possibili destinazioni nazionali, lasciando il novanta per cento del territorio pressoché incontaminato.
Si tratta di un discorso validissimo se sapessero occuparsene le regioni, un po’ meno per la Dolce Vita che si rivolge a quel meraviglioso uno per cento dei turisti che, sempre secondo la ricerca della fondazione, genera il quindici per cento del totale giro d’affari dell’ospitalità su scala nazionale e che, avendo in genere già visitato tutte le mete classiche, è più che felice di sperimentarne di nuove, viziato oltre ogni dire visto che, revamping a parte curato da Dimorestudio che ha perfino infilato numeri anni Sessanta di “Vogue Italia” nella lounge, viene servito dalla cucina di Heinz Beck e, soprattutto, scende per le escursioni al massimo ogni cinque ore in piccoli gruppi con guida e autista. In totale, non si superano le settanta persone.
Al momento, guidano la classifica delle prenotazioni gli statunitensi, seguiti dagli inglesi, i francesi, gli italiani. Quando salgo sul treno a Palermo per il test-contrappasso della rotta siciliana che, passando per Taormina e per Maratea, arriva a Roma - la lounge dove si consegnano i bagagli è stata allestita all’Orto Botanico e già questo varrebbe il viaggio perché avere a disposizione per un’oretta, da soli, le agavi e gli alberi del sapone e quei viali profumati è un lusso inaudito - la composizione dei viaggiatori rispetta le percentuali, in realtà sembra un casting. Insieme con i fondatori di Dimorestudio, Britt Moran ed Emiliano Salci, amici ritrovati, parte infatti un gruppo eterogeneo di francesi lamentosi perché si continuano ad effettuare visite di siti e chiese quando loro avrebbero preferito stare per due giorni sul treno a cambiarsi d’abito e bere champagne, documentaristi americani a caccia di scorci, ambasciatori nazionali col piglio degli imprenditori, italiani in ciabatte Dolce&Gabbana e royalty industriale indiana modello Agatha Christie. A quanto leggo fra chi ha effettuato il viaggio prima di me il riferimento all’“Assassinio” sull’Orient Express è naturalmente fra i più frequentati ma non vorrei cadere nel cliché, dunque arrivo a Taormina senza aver mai evocato Edward Ratchett e Hercule Poirot, e d’altronde sono anche l’unica che si impossessi dei vecchi numeri di “Vogue” per un lungo prestito e si intenerisca sulle foto di Elsa Martinelli.
Nelle cabine non si trovano guide, neanche da scannerizzare, nemmeno un mezzo romanzo a tema, per compagnia, solo la descrizione della rotta e un bel quaderno di Pineider per fermare su carta le proprie impressioni, ma ho l’impressione che tutti se lo siano portato via intonso. L’idea che il viaggio debba trasformare chi lo fa in scrittori di genio, per di più amanuensi, è seducente ma, temo, peregrina; la sala più frequentata è, manco a dirlo, quella del bar sempre open, gli spritz vengono serviti a ritmo continuo, l’escursione più gradita quella sul “mount Etna” e nel parco affacciato sul mare dell’albergo Santavenere di Maratea, strepitoso progetto residenziale Anni Cinquanta della famiglia piemontese Rivetti che, con Marco, avrebbe fondato il pret-à-porter di lusso in Italia e trasformato i saloni fiorentini della moda nel modello Pitti Immagine. Tutte le rotte della Dolce Vita risultano prenotate, a partire da quella più ovvia che parte da Venezia e raggiunge Portofino dove fare esperienze esclusive sembra diventato impossibile a meno di farsi accogliere dalla duchessa di Westminster che sul Monte produce un celebre vermentino, fino a un tour davvero inedito dedicato agli amanti del golf che parte dalla Puglia e raggiunge il Veneto, passando per regioni bellissime e meno ovvie come le Marche. “Per tanti, magari neo-sposi”, sottolinea Barletta, “diventa il viaggio del sogno”.

Il Foglio della moda