
foto di Elisa Schmidt su Unsplash
Il Foglio della moda
Una moda anti-parigina, a Marsiglia
E' nella città provenzale che si è svolta la prima "Slow Fashion Week". Qui la moda si declina come impegno sociale: "Non è decorativa, parla, interroga, si esprime con forme, texture e senso", racconta Marion Lopez, presidente del collettivo BAGA, che ha promosso l'evento
A Marsiglia, in questa città che profuma ancora di sale e di origini antiche, si è svolta qualche settimana fa la prima “Slow Fashion Week” francese, un evento radicale promosso dal collettivo BAGA che ha lanciato la sfida definitiva alla settimana della moda parigina. Il contrasto è stato netto. Al nord celebrità, jet privati e fashion show spettacolarizzati in dieci - al massimo - quindici minuti, scenografie sfavillanti e impatto ambientale rilevante.
Dall’altro, una moda che si declina come impegno sociale con sedici eventi al giorno, tra workshop di upcycling, talk, visite agli atelier, mercatini e mostre. A Marsiglia è la lunghezza della narrazione che conta: si attraversano quartieri reali, si apprende il sapere artigiano e si mobilitano energie locali. Il tutto, gratuitamente, in spirito comunitario, con programmazione diffusa in quartieri veri, non solo nei palazzi dell’alta moda che, punto non irrilevante, non ci sono. “La moda qui non è decorativa: parla, interroga, si esprime con forme, texture e senso”, dice Marion Lopez, fondatrice dello Studio Lausié, prima scuola di moda eco-sostenibile della regione e presidente del collettivo BAGA; ma ciò che rende Marsiglia unica, viene da aggiungere, non è solo il programma, ma la città stessa. Porto millenario, crogiuolo culturale, è una metropoli diseguale e vibrante con la luce sul mare, le calanche rocciose e il ventre mediterraneo che accoglie continui contrasti urbani, tra disuguaglianze, marginalità e tensioni socio-etniche.
E' su questa soglia di fragilità che si coagula la nuova moda marsigliese: fertile, urgente, politica. Qui, la riduzione del carbonio non è solo una dichiarazione ma una necessità politica. Il progetto turistico “Clef Verte”, l’uso innovativo della posidonia per combattere l’erosione costiera, attestano che questa città ha avviato un cambio strutturale verso la sostenibilità ambientale e culturale. Il manifesto non è solo estetico, dunque, ma civile. Sul piano simbolico, l’operazione di Simon Porte Jacquemus, è stata profetica. Nel 2017, lo stilista vestì Marsiglia con la sua collezione “Les Santons de Provence” (nella foto accanto) trasformando il Mucem e il Fort SaintJean in passerelle sospese sul Mediterraneo, con panorami e architetture che diventavano sfilata e scenografia insieme. Le sue due mostre, “Marseille je t’aime”, organizzate proprio al Mucem e al Musée d’Arrt Contemporain, con fotografie, capi, girasoli e immagini di vita quotidiana, furono una celebrazione poetica della città.
Oggi, in quel museo disegnato dall’architetto Rudy Ricciotti, poco distante dallo storico quartiere Le Panier, - “il punto perfetto da cui partire per visitare la città”, come suggerisce l’Office du Tourisme - la mostra “Lire le ciel” sarà in programma fino al 5 gennaio del prossimo anno. “Leggere il cielo” è dunque un invito, qualcosa che Jacquemus aveva già fatto allora, ricordandoci che la moda non è solo industria, ma anche una cartografia affettiva di luoghi. Ma basta? Marsiglia racconta la moda, Parigi la celebra. La differenza? La storia, il contesto, l’umiltà di chi ricuce un tessuto su una realtà che respira, lotta e accoglie. Quell’operazione di Jacquemus fu un gesto poetico e portò la leggerezza e i colori pastello in una Marsiglia che chiedeva di emergere dal provincialismo. Le sue installazioni fecero da cartolina vivente, cercando di far capire che la moda può essere anche narrazione, identità e racconto urbano.
Oggi, la Slow Fashion Week raccoglie quel seme ed è una manifestazione collettiva, organizzata da oltre settanta creativi locali e giovani designer provenienti proprio dallo Studio Lausié.
La sfilata finale ha presentato abiti prodotti nella quasi totalità da materiali riciclati (reti da pesca, tessuti di scarto, carrozzerie e giocattoli), nell’obiettivo di qualificare la moda come manifesto civile, non decorazione effimera. Tuttavia, proprio in questa ambizione risiede una tensione critica: può un festival durare una settimana e al contempo sgretolare il sistema globalizzato della moda? Se l’industria mondiale continua a ignorare il riciclo reale, con meno dello 0,3 per cento dei tessuti realmente riutilizzati, il rischio è che la manifestazione resti un gesto estetico consolatorio, destinato agli addetti ai lavori e agli influencer, più che alle filiere o ai consumatori di rilievo. Inoltre, Marsiglia ospita contraddizioni insanabili: marginalità sociali, disuguaglianze e precarietà strutturale resistono come ombre sul volto solare della città. La moda sostenibile non può accontentarsi di slanci poetici se non si confronta con il lavoro fragile, l’insicurezza abitativa e i (dis)servizi urbani. Senza una strategia politica ed economica di lungo periodo, anche l’evento più creativo rischia di restare una pura estetica di provincia. Si crea così un vero e proprio contrasto simbolico con Parigi, cuore dell’industria “féscion”, con un’immagine sempre più solida e immutabile. Marsiglia propone sì un antiFashion Week, ma non cerca di competere sul piano del glamour, perché ambisce a un cambio di paradigma. Crescere, per lei, significherà trasformare la moda sostenibile da atto di ribellione in infrastruttura sociale. Finché questo non accadrà, l’evento sembrerà monito e speranza, ma non ancora rivoluzione. Marsiglia dovrà allora passare dalla metafora alla macchina organizzativa e alla norma. Solo così potrà sostenere l’idea che la moda non celebri l’effimero, ma rieduchi il desiderio, rigeneri il tessuto sociale e ricolleghi l’estetica alla resistenza.


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Upcycling (di lusso) su rotaia

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