Alberta Ferretti lascia la creatività del suo brand
Capire quando la festa è finita ed è ora di passare la mano è prova di intelligenza e carattere. Forse si potrebbe spiegarlo anche a Beppe Grillo, ma il ruolo del padre nobile non è per tutti
Se c’è un’azione che ai modaioli riesce malissimo – non solo a loro ovviamente, ma a loro, piccole-grandi star abituate a quattro scrosci annuali di applausi pubblici e ripresi dalle telecamere di più – è l’uscita di scena. E’ lo stesso problema di Beppe Grillo, lo stesso grande dilemma che tocca chiunque possa fregiarsi della dicitura “personaggio pubblico” accanto al nome e non voglia limitarsi a "novellar del suo buon tempo", ma viverlo in prima persona: capire quando la campanella di fine lezioni è suonata, quando “the party is over”, come cantava Nat King Cole, “and it’s time to call it a day”. Ci siamo divertiti, è stato bello, grazie, è difficilissimo a dirsi, figurarsi a metterlo in pratica. La fama, gli articoli, le interviste, le proprie creazioni sui giornali, magari a fronte di una pianificazione pubblicitaria importante ma tutto sommato a chi importa di fronte a foto e colonne di “nero”, sono un cibo divino del quale è difficile privarsi. Capire quando non si coglie più lo zeitgeist, lo spirito del tempo che nella moda è il primo requisito, ma lo sarebbe anche nella pasticceria e lo è certamente nell’automotive, è un esercizio di umiltà, una prova di carattere e una dimostrazione di intelligenza non concessa a tutti. Per questo, è circolata con rapidità fulminea e molti commenti ammirati la notizia della decisione di Alberta Ferretti di lasciare la direzione creativa del marchio eponimo. Lo ha fatto con una lettera lunga e accorata, dalla quale emerge, ma in realtà viene anche dichiarata, la sofferenza della decisione. “Era l’anno 1981 quando una giovane donna con tanti sogni e passioni portava per la prima volta una sua collezione in passerella. Quei momenti li ricordo come se fossero ieri. Alberta di quel giorno è per tanti versi ancora Alberta di oggi, anche se nel frattempo un piccolo business familiare è diventato un’azienda con 1500 dipendenti. E’ per me tempo di lasciare spazio a un nuovo capitolo per il mio brand, a una nuova narrativa. È stata una scelta difficile, complicata, molto ponderata. Ma oggi, con serenità e consapevolezza, vi comunico la mia decisione di lasciare la direzione creativa del brand che ho fondato, e che porta e continuerà a portare il mio nome”. Arriverà a breve un nuovo direttore creativo, e Alberta Ferretti dovrà dare una seconda dimostrazione di carattere evitando di controllarne il lavoro ogni giorno e dedicandosi non solo alla sua passione per l’arte, ma alla sua bella famiglia, sempre e volontariamente tenuta sullo sfondo: il figlio Simone Badioli, amministratore delegato, l’altro figlio Giacomo, che ha una sua attività internazionale nell’ittica, i nipoti, le molte passioni. Le ultime sfilate, almeno ufficiosamente, non erano state particolarmente apprezzate, i risultati del gruppo, dopo diversi trimestri in rosso, iniziano a farsi pericolosi. Il gruppo Aeffe, fondato nella Cattolica di nascita della famiglia Ferretti con l‘obiettivo di massimizzare il lavoro sartoriale della capostipite e la passione per la moda della figlia Alberta che, in quei primi Anni Ottanta, coglieva i frutti di un boom che a ben vedere si è esaurito solo dopo il Covid, è infatti un piccolo impero che raggruppa marchi importanti come appunto Ferretti, ma anche Philosophy, un tempo “seconda linea”, oggi marchio molto amato fra le ragazzine e con un direttore creativo in gamba come Lorenzo Serafini, quindi Pollini, mai sviluppato come avrebbe meritato, e Moschino. Gestito dal fratello di Alberta, Massimo, presidente esecutivo, il gruppo ha prodotto come façonista decine di marchi, non ultima e per molti anni la linea pret-à-porter di Jean Paul Gaultier, e ha tenuto a battesimo decine di giovani brand fra i quali compariva molti anni fa Narciso Rodriguez del quale è davvero un peccato che ormai esista in pratica solo la linea di fragranze, peraltro tuttora le più vendute anche in Italia. L’uscita di Alberta Ferretti dalla direzione creativa è una scelta saggia, e non solo perché i risultati del gruppo Aeffe, che nei mesi scorsi si è esposto nell’acquisto della totalità delle quote di Moschino, sono ben lungi dall’essere soddisfacenti, o per meglio dire accettabili, anche in un contesto difficile come l’attuale (nel primo semestre del 2024 il Gruppo Aeffe ha registrato una flessione del 14,6 per cento, con una perdita netta consolidata pari a 20,4 milioni di euro, oltre 10 milioni in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente), ma perché il titolo, quotato da circa due decenni alla Borsa di Milano, iniziava a toccare livelli oltre i quali la sua permanenza a Piazza Affari avrebbe avuto sempre meno senso. Poche ore fa, alla notizia dell’abbandono, il titolo Aeffe ha guadagnato qualche punto percentuale; un risultato che deve aver fatto piacere all’Alberta Ferretti azionista (lo scorso luglio, lei e il fratello hanno sottoscritto nuovi patti parasociali che ne blindano la partecipazione paritetica, superiore al 60 per cento) e molto meno all’Alberta Ferretti creativa. “In questo giorno così particolare, un grazie va a mio fratello Massimo, presenza costante nella mia vita professionale e personale, e a tutti coloro che in questi anni hanno contribuito a rendere il marchio Alberta Ferretti grande nel mondo. Ho avuto l’incredibile privilegio di dare forma ai miei sogni, di renderli realtà”, ricorda nel suo testo. “E in questo viaggio, di conoscere e collaborare con delle leggende, con dei professionisti che sono diventati anche degli amici e che mi hanno aiutato a crescere come Peter Lindbergh, Steven Meisel, Paolo Roversi, Franca Sozzani”. Quest’ultima, in particolare, fu la sua mentore, la sua consulente speciale, la guida che, qualche giorno prima della sfilata, suggeriva gli accostamenti, lo styling, l’idea generale. Duole dirlo, ma la prematura scomparsa di Sozzani ha dato l’avvio a una fase di disorientamento del marchio che, nel giro di otto anni, ha portato Alberta Ferretti a questa decisione. Ormai, nella moda italiana, di quel gruppo che sfilava agli albori della Milano da bere è rimasto solo Giorgio Armani, highlander del lusso e della bellezza, che fra pochi giorni festeggerà a novant’anni il suo nuovo grande complesso in Madison Avenue, a New York. Scomparsi Gianni Versace e Gianfranco Ferré, passati di mano i Missoni che oggi “ispirano” la nuova maison Versace di proprietà americana, dati per dispersi Mila Schon, in fase di rilancio Valentino dopo l’uscita del suo fondatore, molti anni fa, e quella molto più recente di Pierpaolo Piccioli. Resiste Laura Biagiotti con la guida della figlia Lavinia, in un business che è fatto molto di licenze e moltissimo di sport. Ma è evidente che il famoso e temutissimo cambio generazionale sia arrivato. Brava Alberta Ferretti ad averlo capito.
Il foglio della moda - i vanti della moda
La visibilità, miraggio di troppe collezioni che vanno in passerella e non verranno mai prodotte
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