Fashion Week 2024

Moda donna a Milano: una stagione di grandi debutti

Un cambio di direttore creativo molto riuscito da Tod's, interessante quello di Moschino, e finalmente una grande collezione da Gucci (sì, tutto questo all'industria italiana serve)

Fabiana Giacomotti

La vita dei critici è relativamente facile. Quella dei critici di moda o di alta cucina, poi, addirittura gloriosa – ci si siede in mezzo a celebrità in luoghi ameni o scomodissimi, ma comunque interessanti, a godere del lavoro altrui, gustandolo con gli occhi, con le mani o con il palato – senza alcuna responsabilità apparente se non quella di commentare quello stesso lavoro e quegli stessi sforzi ben protetti da una tastiera o da uno schermo televisivo. Rischiando, in buona sostanza, nulla, visto che l’esclusione da una sfilata in tempi di social e di sfilate online non ne preclude la conoscenza e la condivisione come accadeva solo quindici anni fa. Eppure, la responsabilità c’è: quella delle centinaia e migliaia di posti di lavoro connessi a quel bello spettacolo, a quella festa per gli occhi, e anche all’intelligenza, alla creatività, alla volontà dello chef o del direttore creativo. Al contrario di quanto scriveva Marcel Proust nel suo saggio più famoso e più negletto, “Contre Sainte Beuve”, il prodotto dell’arte non può essere distinto o separabile dall’uomo e dalla sua organizzazione. Dovrebbe, certamente. Ma ci sono ambiti, come appunto quelli del lavoro collettivo, nei quali un giudizio onesto deve prendere in considerazione tutti gli elementi possibili. Per questo, non ce la sentiamo di commentare con asprezza il lavoro di Walter Chiapponi, uscito pochi mesi fa da Tod’s dopo un momento di travaglio personale e approdato a Blumarine, come sta avvenendo in queste ore sui social.

Certo, quanto è andato in passerella poche ore fa, durante queste sfilate milanesi per il prossimo inverno, era non solo nel complesso cupo, che per questo marchio è già un controsenso, ma anche e non di rado identico al lavoro che Anna Molinari e poi sua figlia, Rossella Tarabini, fecero per la Blumarine di famiglia vent’anni fa, e in particolare una certa t shirt stampata “I love you”, che Carmen Consoli sfoggiava sulla copertina di un cd pubblicato nel Duemila e che i molti affezionati hanno identificato e ripubblicato in un secondo. Sì, la collezione è molto poco riuscita, però vale la pena di dare a Chiapponi una seconda chance, di aspettarlo al termine di questo periodo difficile e di vedere se riuscirà di nuovo a farci sorridere con i capi e gli accessori di questo marchio così femminile, così leggero e stuzzicante. Spiace per un debutto così sofferto, soprattutto nei giorni di esordi molto o anche straordinariamente riusciti. Innanzitutto, quello di Adrian Appiolaza da Moschino, argentino di lunga carriera, da tempo braccio destro di Jonathan Anderson, che in un mese e mezzo di lavoro, il tempo che gli è stato concesso dopo la morte improvvisa di Davide Renne, (il “Davide” ricamato in paillettes sulla camicia che Chiapponi indossava a fine sfilata), ha portato un “assaggio di ciò che verrà” che dimostra non solo come conosca approfonditamente la storia e l’eredità di Franco Moschino, ma ne condivida l’ironia e la positività anche nell’approccio a temi come l’inclusione sociale ed economica.

L’insegnar ridendo, e non bacchettando, è una qualità che la moda di oggi stenta a cogliere e ad applicare, ma che nel caso del marchio più storico e interessante del gruppo Aeffe era necessarissimo recuperare: questa “collezione zero”, come l’ha definita Appiolaza in un incontro di qualche giorno fa, è un ottimo inizio, e non ci sono dubbi che qualche pezzo, dalla borsa-baguette o “rosetta” ai completi di seta sviluppati dal twill delle cravatte, troveranno subito degli estimatori. Quindi, Tod’s. Qualcuno preannunciava un debutto clamoroso per Matteo Tamburini, già head designer della sartoria, delle lavorazioni in pelle e capispalla in Bottega Veneta, e così è stato. E’ raro che una “prima collezione” centri l’obiettivo. E invece. Una passerella chic, donante e sexy: perfetto e contemporaneo il taglio dei pantaloni, con il risvolto alto che è uno dei leit motiv della prossima stagione (Prada ne ha fatto una strepitosa declinazione anche sulle gonne, create da pantaloni maschili decostruiti e ricostruiti, spesso combinate con chiffon), molto interessante il volume ampio, ma costruito, degli spolverini e dei trench, donanti gli abiti scivolati in pelle, con la schiena scollata come si conviene, cioè sensuale senza essere sconveniente, che sembrano occhieggiare alla lezione sottilmente sovversiva di Rick Owens. Che Diego Della Valle abbia consentito per il suo marchio fondativo una rivoluzione modaiola che si estende addirittura ai mocassini, trasformati in sontuosi oggetti “iperfrangiati” da sfoggiare anche come unico focus in un look più semplice, è la dimostrazione che il delisting del titolo sia davvero il primo passo per un turn around dello stile del brand, per un rinnovamento completo e molto atteso. Quindi, oltre la nuova dimostrazione del genio della coppia Miuccia Prada-Raf Simons, che riprende gli elementi più classici dell’abbigliamento femminile, addirittura storici come la tournure del tardo vittorianesimo che il grande pubblico ha scoperto addosso a Emma Stone in “Poor things” e l’ha trasformato in un elemento di stile, ecco Gucci. Dice il direttore creativo Sabato Di Sarno di perseguire uno stile interessante, di voler identificare “un piccolo gesto sovversivo” da cui scaturiscano le sue collezioni, ma di non volere che la sovversione diventi preponderante al punto di stravolgere il significato di quanto crea e, soprattutto, manda in passerella. Nelle prime due collezioni, la seconda soprattutto, dedicata all’uomo, non ci aveva convinto fino in fondo, nonostante il dichiarato successo commerciale. Questa, la terza, è andata davvero a segno: per prima cosa, intercetta la tendenza “Novanta” del momento, l’abbinamento abito leggerissimo e corto-cappotto importante di taglio maschile-stivali preferibilmente modello cuissard, o almeno maschili, che le ragazze di trent’anni fa imitavano dallo stile di Kate Moss e quelle di oggi trovano, giustamente, molto seduttivo e donante (il cuissard è misericordioso su una gamba non perfetta, l’abito-sottoveste sfina, soprattutto se di pizzo, e il cappotto lungo e di lana pregiata copre eventuali mancanze generali). Quindi, secondo punto, è oggettivamente preziosa, bella anche solo da guardare sia negli accessori, come appunto nei cuissard, nelle slingback di vernice altissima con le frange di cristalli, nelle borse (evviva, qualche “Jackie” in meno e finalmente nuovi modelli a mano, come la GG Milano, con il logo piatto e bucato come una broderie anglaise, realizzata in nappa da abbigliamento), sia nell’abbigliamento, dove si vede la grande ricerca nei filati e nei tessuti (escono in buona parte dalla manifattura Bonotto), sia nei tagli inediti, per esempio, dei cappotti, dalla silhouette maschile ma con un’abbottonatura nascosta, posta sul retro, che li trasforma in un abbraccio. Già da domani mattina, ci aspettiamo che le ragazzine di mezzo mondo corrano a cercare i vecchi chocker della mamma e della nonna per cingerne il collo, come le modelle di Gucci che sono state, tutte, accessoriate con una collana dell’archivio, in galvanica oro dal motivo borchiato, intrecciata con un fiocco ricadente sulla schiena. Sogni possibili, idee condivisibili. “I miei sogni dialogano sempre con il reale” dice ancora Di Sarno, “perché non sono alla ricerca di un altro mondo da abitare, piuttosto di modi per abitare questo mondo”.

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