Solida, indipendente. Ecco la moda (uomo) che funziona. Alfabeto della Milano Men's Fashion week

Sarà un caso se le collezioni più riuscite nascono da aziende ostili ad alleanze e da giovani che mantengono il proprio brand a prezzo di sacrifici? Ecco cosa tenere (e che cosa no) delle collezioni Inverno 24/25 appena concluse a Milano

Fabiana Giacomotti

Dev’esserci una ragione se le due sfilate più riuscite della Milano Men’s Fashion Week 24/25, che sono Prada, Emporio Armani  e sarebbe difficile smentirmi, così come sarebbe difficile non notare la progressiva affermazione del giovanissimo Federico Cina con quel suo amore così evidente, palese e delicato per la moda e la sicurezza nella sperimentazione che ormai ha acquisito JW Anderson, premiato come designer dell’anno lo scorso novembre, esplorano entrambe, anche nella scenografia, il rapporto fra l’uomo e la natura o, per meglio dire, gli elementi naturali: il mare, l’evolversi delle stagioni, il ritmo perduto di un rapporto già profondamente compromesso. E dev’esserci una ragione se entrambe queste collezioni riescono a toccare, pur nell’ambito del rispettivo dna, le proporzioni, i colori, lo spirito che chiunque, non solo chi si occupa di moda, saprebbe ritenere “giusto” per i tempi che viviamo, adeguato all’immagine dell’uomo in questo momento, intuitivamente desiderabili. Che queste collezioni nascano dalla gestione creativa di una coppia, Miuccia Prada e Raf Simons, abbondantemente nella mezza età, e di un uomo che si avvicina ai novanta, è una riflessione che varrebbe la pena di fare, oltre all’ovvietà che siano tutti e tre eccezionalmente capaci di selezionare collaboratori validi. Infine, elemento sotteso agli altri, che queste collezioni nascano entrambe da due gruppi indipendenti e fieramente ostili a cessioni e alleanze (credo che la battuta di Giorgio Armani su quanto trovi ridicola, che significa anche poco elegante, l’ingordigia acquisitiva francese, espressa qualche mese fa, entrerà nei libri di storia) credo avvalori quel senso di centralità della moda rispetto ai meri risultati che la moda, da troppi anni in mano alla finanza e ai sui diktat, sta davvero perdendo.

E ora, il consueto alfabeto delle sfilate

Per la sfilata Prada Uomo Autunno/Inverno 2024, AMO crea una scenografia che contrappone gli interni di un ufficio a un paesaggio naturale. Svelando la paradossale dicotomia tra questi due mondi coesistenti, la sfilata esplora le verità fondamentali dell’umanità, i nostri istinti naturali, i nostri bisogni emotivi. Alla base c’è una semplice affermazione, di un bisogno umano profondo ed essenziale di entrare in contatto con il mondo circostante. Il ritmo delle stagioni e l’ordine naturale delle cose determinano i gesti che caratterizzano i capi, che a loro volta rispecchiano e reagiscono al contesto in cui si trovano, a questi ambienti disparati e distinti, interni ed esterni. Questa collezione affronta qualcosa di essenziale: l’istinto emotivo innato di rimanere legati a qualcosa che conosciamo, ai cicli della natura. Un mondo fatto di stagioni climatiche, non una realtà artificiale. Questi abiti riflettono l’idea dell’ambiente e delle stagioni, che ci accompagnano ovunque siamo. Si avverte la sensazione dello spazio aperto, dell’attualità della natura e l’espressione diretta del desiderio di uscire, di vivere il mondo.

A come artigianato. Come vi sarà chiaro, Poltrone e Sofà si è arrogato il campo semantico artigianato+qualità, ne ha fatto un gimmick popolare e insomma l’ha svilito oltre il limite dell’insipienza. Poi però capita che arrivino allestimenti tipo quello di Tod’s, modello gioco delle ombre neoclassiche, dove le mani degli artigiani diventano oggetti d’arte e raffinato gioco, e il tutto riacquista un minimo di senso.

B come bianco. Lo ha fatto perfino Missoni, e non sembri un controsenso in un brand che vive di colori. Declinato in tutte le sfumature, come nella lingua inuit, è accostato perlopiù al grigio e al giallo

C come “Comandante”. Al di là delle polemiche un po’ pretestuose sui contenuti, è ovvio che il film di Edoardo De Angelis sul comandante Salvatore Todaro abbia lasciato il segno fra i blouson di cuoio e l’ispirazione marina un po’ rétro di molte collezioni. Bravo, insomma, a Massimo Cantini Parrini, più volte candidato al premio Oscar, che per il biopic presentato in apertura all’ultima Mostra del Cinema di Venezia aveva dapprima identificato l’ultimo collezionista di cimeli della Regia Marina italiana, poi cercato un tessuto adatto (che no, all’epoca non era blu ma grigio), poi allestito una sartoria a Viareggio, cercando anche un artigiano per i giacconi.

C come cravatta. Sparita dopo un secondo la cravatta in seta grigio perla, perfetta anche per il tight, inclusa nell’invito di Prada. L’hanno fatta praticamente tutti. 

C come Cuoio. Diretto derivato della voce Comandante. Giubbotti e giacche di cuoio e di pelle sostenuta ovunque (Cucinelli, Tod’s., Amporio Armani), anche declinate al femminile (uh, quelle annodate in vita di JWAnderson e di Federico Cina). Il consorzio Cuoio di Toscana, che si sta concentrando sulla salubrità del cuoio da suola, ottima cosa ma di appeal pop e non modaiolo, dovrebbe rispolverare la bella collezione di capi in cuoio che sviluppò con Simone Guidarelli qualche anno fa. 

F come fluidità. Pietà. Basta. Non c’è bisogno che ce la spieghiate, la moda è fluida e si scambia elementi infra-genere (soprattutto dal maschile al femminile: le corazze rinascimentali che diventano corsetti, tutti i cappotti,  a ben vedere anche le braghe) dal Quattrocento, ma potremmo risalire a Sparta. Smettetela di contare sull’ignoranza generale per vantare come nuove pratiche pluricentenarie. Verso la metà del Settecento e sottane a parte, erano maggiori gli elementi in comune fra guardaroba femminile e maschile di quelli diversificati. Poi, come si sa, è arrivata la Rivoluzione Francese e con l’Ottocento le separazioni si sono fatte nette, accompagnate da una rimozione mnemonica generale sul passato che ha dell’incredibile. A più riprese, nel Novecento, si Poi, a un certo punto e molto con Alessandro Michele, la dinamica contraria, ma passati otto anni dalla data direi di smetterla di rimarcare la fluidità quasi fosse un argomento di vendita e sperando che lo sia, vedi Magliano. JW Anderson ha fatto indossare i collant a uomini e donne (anticamente indossavano calze molto simili, anche ricamate), senza sentire il bisogno di spiegarlo, Sabato De Sarno ha creato appunto quella sua collezione speculare, Giorgio Armani ha insegnato alle donne a prendere il meglio dal guardaroba maschile e adattarlo alle proprie esigenze verso la fine dei Settanta e poi l’hanno fatto infiniti altri. Aspettiamo la discesa del concetto negli inferi del luogo comune, accanto alla “splendida cornice”.

F come frac. Che i Dolce&Gabbana abbiano cambiato registro è evidente e si vede. Basta mutande, evviva. Ora il duo parla solo di qualità ed, effettivamente, bisogna riconoscerlo, la produce. Non è facile trovare, adesso, qualcuno in grado di tagliare un frac comme il faut. Quello presentato da loro era impeccabile. Adesso si tratta solo di trovare una clientela in grado di capire come, dove, quando e perché si indossi e perché non sia l’alternativa allo smoking con le code

G come Gucci. A due ore dalla sfilata, fiorivano i commenti e i fotomontaggi per denunciare la presunta, ed effettiva, specularità fra la collezione donna primavera-estate sfilata e febbraio e quella uomo. L’evidenza è che, declinata al maschile, quella collezione attualmente già nei negozi, da cui un minimo di spaesamento spazio-temporale per chi osservava, acquista una forza e una coolness che nella donna decisamente non aveva, fatto salvo il pezzo forte e originale e cioè la gonna a godet con le frange a catenella, e qualche accessorio. La moda attuale di Gucci è un onesto, anche garbato ed elegante, lavoro di rilettura e reinterpretazione dei codici della maison, in particolare degli anni-Tom Ford, sostenuta per non dire ammantata da una comunicazione di caratura altamente intellettuale, con la quale non sempre condivide il linguaggio. Il gioco, che riusciva perfettamente ai tempi di Alessandro Michele e che ha permesso al brand di ergersi a faro della moda mondiale per un quinquennio, ha in tutta evidenza bisogno di un fine tuning. Sabato De Sarno, semplicemente, non è sulla stessa lunghezza d’onda della sofisticata semantica che lo sostiene.

I come Inconsueto. L’effettaccio è facile. La palestra, l’esercizio difficile, è fare il consueto in modo inconsueto, dice Giorgio Armani. E’ il segreto, in particolare della moda maschile. A conoscerlo.

I come influencer. E’ partita la presa di distanza complessiva. “Li abbiamo fatti sfilare ma non li abbiamo mai pagati”, puntualizzano i Dolce&Gabbana, che pure erano stati i primi a cavalcare il fenomeno. Il Pandorogate dilaga e imbarazza, l’ombra rosa dello zucchero filato che Chiara Ferragni insegnava in un video a spargere (sì, c’è gente che segue o forse seguiva tutorial di questo tenore) si sta spargendo, appiccicaticcia, ovunque. Come ci era parsa esagerata l’adesione allo stile narrativo degli influencer o “creator”, ci pare esagerata anche questa damnatio memoriae in itinere, ma insomma i tempi sono questi, con i loro tribunali di piazza h24, le sentenze spicce enfatizzate dai social, il linguaggio violento, l’idea (purtroppo très catholique) che il paradiso sia riservato agli ultimi e che il successo porti con sé l’ombra del peccato. La cartina di tornasole saranno le sfilate di febbraio. Il fenomeno dei “creator” ha comunque imboccato la china. 

L come luccicanza. Incrostazioni di cristalli anche nei revers delle felpe col cappuccio (Gucci), lurex nelle maglie, lampi di luce qui e là.

L come logo. Ormai è rimasto solo nei brand delle multinazionali

M come materia. Sono momenti complessi, l’anno si prospetta difficile. Che questo giro di collezioni puntasse su materiali corposi, solidi, irradiatori di calore, era ampiamente atteso.

N come natura (matrigna). La rappresentazione plastica e contemporanea del dilemma del pastore leopardiano trova la propria compiutezza nella scenografia concepita dallo Studio di Rem Koolhas per questa sfilata (che, presumibilmente, resterà similare anche il mese prossimo per la sfilata donna inverno 2024): un immenso pavimento di vetro che nella parte superiore alloggia un ufficio e in quella inferiore un prato, acqua che scorre, foglie cadute. L’immutabile, ricca e armoniosa bellezza della natura contro il rigore, pur elegante ma pur sempre un po’ alienante, dell’intervento umano. “Svelando la paradossale dicotomia tra questi due mondi coesistenti, la sfilata esplora le verità fondamentali dell’umanità, i nostri istinti naturali, i nostri bisogni emotivi”, è scritto nelle note. “Alla base c’è la semplice affermazione del bisogno umano profondo ed essenziale di entrare in contatto con il mondo circostante”. Il ritmo delle stagioni e l’ordine naturale delle cose determinano i gesti che caratterizzano i capi, che a loro volta rispecchiano e reagiscono al contesto in cui si trovano, a questi ambienti disparati e distinti, interni ed esterni. “Questa collezione”, dicono i direttori creativi Miuccia Prada e Raf Simons, “affronta qualcosa di essenziale: l’istinto emotivo innato di rimanere legati a qualcosa che conosciamo, ai cicli della natura. Un mondo fatto di stagioni climatiche, non una realtà artificiale”. 

O come orsetto. Da quando Max Mara l’ha reso ubiquo nei cappotti femminili (ma anche negli accessori e negli oggetti come la celebre opera di Meret Oppenheimer, vedi allestimento curato da Etienne Russo nelle settimane pre-natalizie), anche gli stilisti e i brand di linee maschili hanno riscoperto questo tessuto, che può essere prezioso e morbidissimo, per giacconi e blouson (MSGM) affiancandolo ai montoni rovesciati perfino nelle borse (Tod’s)

R come revers. O lunghissimi e sciallati (Giorgio Armani, Brunello Cucinelli) o inesistenti (Prada, sempre Armani). Il non rever non si addice ai signori agés.

S come scarpe. Trionfano gli stivali, importanti, anche scivolati alla caviglia, e le pedule

S come spina di pesce (o herringbone). Insieme con il principe di Galles, è il grande ritorno della prossima stagione. La Gen Z, abituata a un decennio di inquinantissimi tessuti tecnici, avrà molto da imparare

S come Stone Island. Il marchio ha un’identità precisa e molto riconoscibile da decenni. Non ha bisogno di tanta grandeur nella presentazione, modello Moncler che lo possiede da qualche tempo, e soprattutto di tanta confusione nei tempi e nei modi. Che la platea non capisca quando la performance è finita e sia arrivato il momento di andarsene è abbastanza grave.

T come terra. Moltissimi i colori tratti direttamente dalla Terra, con la T maiuscola

T come trench. Lungo, corto, accostato al corpo, in pelle, suede, lana.

V come volumi. Preferibilmente ampi

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