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Gli imprenditori della moda: “Come dice Draghi, ce la faremo con qualsiasi governo”

Giorno uno delle sfilate moda donna estate 2023 di Milano. È sempre utile leggerle in controtendenza, guardando cioè oltre i vestiti e le semplici tendenze nell'abbigliamento

Fabiana Giacomotti

Giorno uno delle sfilate moda donna estate 2023 di Milano, giorno meno quattro dal voto. E’ bello vedere come tutti i grandi imprenditori della moda, gente che fattura oltre il miliardo di euro quasi esclusivamente all’estero, ritenga qualunque cambio di governo, se non proprio del tutto ininfluente, comunque e ampiamente sostenibile nel senso proprio del termine, ce-la-posso-fare-anche-con-questi.

 

Non lo dicono esplicitamente perché certe cose non si dicono, non sta bene, non è educato, ma sanno benissimo che la loro credibilità all’estero è superiore a quella dei politici nazionali. Sanno che le loro attività sono più forti delle beghe per la conquista di Palazzo Chigi; sanno che con i mille, duemila, cinquemila dipendenti che impiegano sono sostanzialmente degli intoccabili e che possono permettersi perfino, come Patrizio Bertelli o Brunello Cucinelli, di sopperire di tasca propria alla perdita della capacità di spesa dei propri dipendenti con un bonus o anche due. Sanno che possono permettersi di parlare di strategie e di visione, invece che di uomini e di quisquilie, e infatti Cucinelli, che già un mese fa aveva espresso la propria opinione sul cambio di governo in una lettera al Foglio (“in sessantanove anni ho visto sessantatre governi, vedrò il sessantaquattresimo. Noi siamo fatti così”), oggi può permettersi di parlare di stato sociale e di lodarlo, mentre presenta il taglio delle sue giacche, i crochet e la lucentezza speciale delle sue sete: “Il nostro stato sociale ci ha permesso di non licenziare nessuno e quindi di non perdere quella conoscenza e quella manodopera che fanno dell’Italia un’eccellenza mondiale. L’aumento dei costi dell’energia? Non è solo nostro. Guadagneremo un po’ di meno per un po’”, osserva, e già si capisce che non vede l’ora di diffondere la prossima trimestrale per smentirsi.

 

La stessa linea si ascolta in via Stendhal, sede milanese di Herno. “Sposo in toto la linea Draghi. L’Italia ce la farà con qualsiasi governo”, dice il patron Claudio Marenzi, presidente di Pitti Immagine, mentre presenta la collezione più eclettica e interessante di sempre, frutto di una nuova strategia sviluppata anche grazie ai consigli dell’ex ceo di Valentino, Stefano Sassi.

 

E una posizione non troppo dissimile tiene anche Renzo Rosso, patron del gruppo OtB (Diesel, Margiela, Staff International, Jil Sander, Viktor&Rolf, Marni) che passo dopo passo va costruendo la propria quotazione, prevista nel 2024. Fosse stato per lui, si sarebbe tenuta stretta la “credibilità di Draghi”. Per la presentazione della collezione estate 2023 di Diesel, Rosso ha affittato l’Allianz Cloud, alle spalle del vecchio Lido di Milano, ha invitato 4500 ospiti fra dipendenti, studenti e media, e ha dato ancora una volta mano libera a Glenn Martens, idolo della generazione Z, che ha preso il denim simbolo della casa e ne ha fatto un capolavoro smembrandolo, sfilacciandolo, ricostruendolo per trasformarlo in pellicce apparenti, abiti a catenella, tute. In prima fila per Diesel anche Remo Ruffini di Moncler, che fra tre giorni festeggerà i settant’anni di Moncler in piazza Duomo con un altro bagno di folla, e Marco Bizzarri di Gucci.

 

Essere inclusivi, aggettivo di moda, non significa solo diversificare le modelle e i modelli in passerella, ed è ovvio che questo speciale livello dell’imprenditoria di moda punti a un ruolo di guida e indirizzo sociale, cioè a un posizionamento che rassicuri e rafforzi la volontà di spesa delle nuove generazioni, almeno in apparenza attentissime a questi temi.

 

E’ sempre utile leggere le sfilate in controtendenza, guardando cioè oltre i vestiti e le semplici tendenze nell’abbigliamento, (che in realtà ognuno compila, stilizza e accosta da sé da molti anni, magari guardando alle celebrities di prima fila più che alle modelle: dei propri ospiti Fendi ormai comunica solo professione e numero di follower su Instagram). Interpretare i segni di quel che succede a bordo passerella è quasi sempre più interessante che analizzare quanto vi sfila sopra e che peraltro, fra New York e Londra, in questa tornata finora è stato piuttosto deludente.

 

Prendete per esempio Antonio Marras. Per qualche anno, negli ultimi specialmente, il suo era diventato un pubblico di aficionados. Artisti, intellettuali, scrittori, disegnatori, cioè personalità eclettiche come la sua, in grado di passare indifferentemente dalla curatela alla creazione alla scrittura poetica. I suoi vestiti non sono mai cambiati negli anni, e continuano ad essere quel mix di sapienza sartoriale e conoscenza dei tessuti e delle tecniche di costruzione dell’abito, unito a un’attenta rilettura della storia del costume e in particolare del folklore sardo, che piace tantissimo o non piace affatto. Per la collezione presentata nella prima giornata delle sfilate, per esempio, Marras si è inventato la deliziosa storia tipo “Fitzcarraldo” di Herzog di un teatro abbandonato nel cuore della Sardegna e invaso dalla natura. Ha chiamato la sartoria del Piccolo teatro di Milano a cucirgli sette costumi favolosi ispirati alla figura di Maria Callas, e ha messo in scena il suo consueto show lungo, fantasioso, trascinante. Se fosse stato il Marras di un mese fa, il pubblico degli aficionados si sarebbe presentato come sempre ad abbracciarlo, sarebbe rimasto un minuto e se ne sarebbe andato. Invece, due settimane fa Marras ha annunciato la cessione della maggioranza della sua impresa a Sandro Veronesi, cioè all’imprenditore che ha creato e che governa il gruppo Calzedonia, 2,5 miliardi di euro di fatturato 2021. Alla sua sfilata, non erano rimasti nemmeno posti in piedi. E nessuno ha fatto una piega sul numero francamente esorbitante di completini intimi apparsi sotto i vestiti, o anche al loro posto.

 

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