Masaccio. Desco da parto. Tempera su legno, Firenze, 1426 circa, Staatliche Museen Berlino (notare le monache che sbuffano per il suono)

il foglio della moda

Il boom del biberon firmato

Giuliana Parabiago

Nel 2021 abbiamo toccato il minimo storico delle nascite (i lockdown non sono serviti a granché). In compenso aumentano i budget e le aspettative su quel mezzo milione scarso di neonati nazionali. Non solo in Italia, comunque, e non solo oggi: per info, guardare a un certo desco da parto rinascimentale

“Sono onorata di poter avere nella mia vita quest'anima gentile e non ci sono parole che possano descrivere il legame eterno che ci lega” ha commentato sui social la supermodella Karlie Kloss alla nascita di suo figlio Levi Joseph. Concentratevi sull’aggettivo “eterno”, perché la chiave di tutto è lì. L'arrivo di un bambino è una rivoluzione, una ri-nascita anche per i genitori: porta con sé progetti, sogni, investimenti affettivi ed economici, scelte razionali ed esagerazioni totali. Niente sarà più come prima. Ed è così in tutte le culture, in tutti i tempi. La nascita è un evento straordinario, forse il più straordinario, personale e pubblico: la prosecuzione del sé, la traccia che resterà, che si tratti di un erede al trono o di nuove braccia per il lavoro. Una festa della dimensione terrestre dell’esistenza che inizia con l'attesa e culmina con la nascita e che è sempre stata suggellata da doni, festeggiamenti, felicitazioni per la puerpera (che un tempo avrebbe trascorso tutta la propria età fertile sostanzialmente incinta) ancor prima che per il bambino.

 

Dunque, l’idea che ci siamo fatti dei baby shower e delle “feste del bebè” come espressioni di consumismo contemporaneo è del tutto mal riposta. I Re Magi non sono un caso isolato. Ai Musei Storici di Berlino, per esempio, è conservato un desco da parto dipinto nel 1426 da Masaccio per una ricca neo-mamma fiorentina, probabilmente la moglie di un gonfaloniere di giustizia o comunque di un notabile di peso, perché in quegli anni il pittore era impegnato nella realizzazione del Polittico di Pisa e per lasciarlo doveva avere avuto una committenza irrifiutabile. Il desco fiorentino, come ogni altro, è dipinto su entrambe le facce per il godimento della puerpera durante il periodo di convalescenza a letto, ma con tecniche e capacità aneddotiche insolite per Masaccio. Il lato principale (il “lato B” è forse opera di un allievo) mostra infatti una natività ambientata nella Signoria fiorentina dell’epoca: a sinistra i trombettieri, riconoscibili per lo stendardo con il giglio rosso, annunciano con uno squillo la presentazione dei doni ufficiali, fra i quali, in autocitazione, il desco da letto. Nel bel portico si nota anche l’ingresso di alcune donne fra cui due monache, il bambino, che è cullato dalla madre, è completamente fasciato, secondo una tecnica e una scuola medicale che sono proseguiti fino alla metà del Novecento, e porta già al collo un ciondolo di corallo, primordiale simbolo apotropaico.

 

Il bimbo fasciato è anche stato spesso soggetto di scatoline settecentesche in porcellana, porta aghi o porta profumo. Oggi la voglia di dire 'buona vita' si esprime ancora in una camicina in lino, sopravvissuta al corredo tradizionale delle nostre nonne, o nelle scarpette che recano, inscritto e implicito, l’augurio di un “lungo cammino” o per “andare lontano”. Nessun guardaroba conserva il portato simbolico di quello neonatale. Nessun evento umano è altrettanto importante e, in questi ultimi anni, così prezioso perché così raro. L'indice demografico non risale infatti nella maggior parte dei paesi occidentali, mentre l'Istat dichiara che in Italia il minimo storico delle nascite è stato toccato nel 2021 (399.400, vale a dire l’1,3 per cento in meno rispetto ai dodici mesi precedenti).

 

“Facciamo pochi figli perché vogliamo loro troppo bene”, dice il demografo Gianpiero Dalla Zuanna: “Vediamo nei genitori i primi responsabili della loro riuscita economico-sociale e quindi ci limitiamo per non sottrarre risorse a chi è già nato”. Il mercato del neonato, zero-diciotto mesi e quello appena successivo che si definisce “toddler”, letteralmente “colui che sgambetta” e che copre fino ai due-tre anni, è in forte crescita soprattutto nella fascia lusso. I brand della moda si sono accorti tardi dell'altissimo potenziale del mercato del bambino, diciamo dopo aver setacciato qualsiasi licenza e qualsiasi oggetto firmabile; una volta scoperto il potenziale, però, non lo hanno più lasciato, compresi marchi hyper cool, in apparenza destinati a una fascia alto-spendente di venti-trentenni, come Off White e Thom Browne. Sono nate così le tante proposte regalo per i neonati; dalla valigia già pronta per la clinica al bagaglio per il rientro a casa: quello del marchio francese Bonpoint contiene sette micro tutine con il giorno di sfoggio indicato sulla pettorina e un set per la prima settimana di vita.

 

È innegabile che i capi in taglia minima siano irresistibili: basta mettere un paio di scarpine su una mensola per verificarne il potere ipnotico: nessuno riesce a resistere alla tentazione di tenerle fra le mani. Come nell’imprinting dei cuccioli, occhi tondi e orecchie sproporzionate ed è subito voglia di protezione, così ci inteneriamo davanti a un guardaroba microscopico. Ecco allora la serie dei 'my first': dal “mio primo” trench di Burberry alla prima sneaker di Nike, dal primo mocassino Gucci alla “tiny Kway”; dalla polo di Ralph Lauren al piumino Moncler miniaturizzati. E se una volta gli eredi venivano tenuti lontano da tutto e protetti da nanny premurose quanto incorruttibili, ora, in ogni fascia sociale, tendono a vivere la vita dei grandi (o alla grande): l'abbattimento della soglia fra il privato e i social hanno reso partecipi anche loro di tante occasioni genitoriali. “ William, erede al trono d’Inghilterra”, dice Enrica Roddolo, giornalista specializzata in vicende reali e autrice del libro “Elisabetta. I segreti di Buckingham Palace” (Corriere della Sera) “mescola i momenti di un'educazione istituzionale a situazioni di totale normalità. Diana ha rotto in questo senso uno dei tabù della famiglia reale, amando farsi fotografare con i figli, anche in momenti non ufficiali e non troppo posati”.

 

I bambini hanno sempre meno zone off limits, mentre l'osmosi fra il guardaroba adulto e quello del bambino è sempre più evidente, come lo era in epoca Ancien Régime quando, dai sei anni in su, l’abbigliamento dei bambini era del tutto indistinguibile da quello degli adulti, busti (purtroppo) compresi: per verificare quanto, basta osservare il “Blue Boy” di Thomas Gainsborough o uno dei van Dyck esposti alla mostra “Superbarocco” ora in corso alle Scuderie del Quirinale. La differenziazione dal guardaroba adulto avviene nel Vittorianesimo, con la mitizzazione dell’infanzia come età di purezza e innocenza. Ora, stiamo tornando per così dire alla pre-rivoluzione francese con il fenomeno del “mini me” e, assoluta novità, del “maxi-me”. Dal piccolo al grande. Condividere lo stesso stile o gemellarsi con la propria prole è l'ultimo dei piaceri familiari. “Abbiamo tantissime richieste di smoking microscopici e di biberon firmati”, dice la buyer Lea Medioni. Armani, Chloé, Stella McCartney, Karl Lagerfeld, Boss la scelta della prima bottiglietta porta nomi altisonanti. Il corredo modaiolo non ha soppiantato però del tutto quello tradizionale, confezionato un tempo da volenterose nonne e zie, ora da ricamatrici amatoriali o professionali.

 

Accanto alla passione per il brand, permane una certa voglia di tradizione, di famiglia, di fatto a mano e di personalizzazione. In Francia una giovane imprenditrice ha organizzato una squadra di nonne tricottanti che, su commissione, confezionano tutine, copertine e scarpette come una volta, con etichetta personalizzata: “fatto a mano da nonna XX per XXX”. Quella del capo personalizzato è una mania: mentre scompaiono dalle camicie maschili, le cifre sono diventate un diktat sugli indumenti di chi li indosserà anche solo per qualche mese. Lo ha capito bene una giovane signora di Carpi che, durante il lockdown, ha deciso di creare una collezione di copertine, Emmè Baby Organic Lab in cotone organico, lana merino, misto cashmere e mussola, sistemate in scatole in legno, riciclabili come portagiocattoli. Dice Medioni che se la “torta di pannolini” dei primi baby shower è superata e ormai un po’ kitsch, sta crescendo invece una generazione di mamme-stiliste che producono in prima persona piccole collezioni in tessuti naturali. Questione di opportunità, ma anche di sfoggio. I genitori, e non solo quelli italiani, spendono per i figli spesso e volentieri al limite delle loro possibilità. “Vengono in coppia”, commenta Barbara Freres, un negozio storico nel centro di Dusseldorf, e “comprano con il piacere dello shopping insieme. Sono cambiati i gusti per i battesimi: niente più pizzi e merletti, ma uno stile raffinato e sobrio, ed è cresciuta l'attenzione alla sostenibilità: si informano sui materiali, sulla provenienza, sul valore intrinseco di un capo. Insieme con i marchi del lusso, crescono gli alternativi, di nicchia e super creativi”. E poi c'è quel senso del tempo che diventa prezioso, il desiderio di qualcosa che non si consumerà passando alla taglia successiva. Al ritratto pittorico, che nei secoli scorsi era d'obbligo per certe classi sociali, si è sostituito quello fotografico, sempre d'autore. Lo scatto però è condiviso (Gainsborough, ancora): i genitori appaiono sempre insieme con i figli.

  

L’idea di qualcosa che rimane, che passa di mano di generazione in generazione è forte, anche se è cambiato il soggetto del desiderio. “Talvolta, quando una donna compra un abito di alta moda, dopo aver vissuto l'emozione di una sfilata in un luogo italiano molto speciale, pensa che potrà restare a sua figlia come testimonianza di un'esperienza vissuta insiem”', dice Domenico Dolce. Una questione di amore, ben prima che di possesso:  Stella, designer persiana dell'Atelier Molayem, ha appena creato un'estensione kids della sua collezione femminile di gioielli: “Da sempre, i monili rappresentano ricchezza, potere, status; ma il loro significato, a volte nascosto, è  legato all’affetto. È l'amore che ci fa donare un certo oggetto e che rinnova il nostro sentimento ogni volta che lo indossiamo. È l'amore che ci induce a custodirlo con attenzione e cura, che ce lo fa tramandare come valore aggiunto”.