oltre la polemica

Come fu che Kamala si mangiò Vogue America

La vicepresidente ritratta sulla rivista di moda più famosa del mondo in apparenza non si è neanche cambiata prima di posare. E così ha surclassato Michelle Obama e Hillary Clinton

Fabiana Giacomotti

Il punto della nuova cover di Vogue America – il tempo di anticiparla ai quotidiani ed è già polemica - non è affatto l’eventuale sbiancamento della pelle della neo-vicepresidente Kamala Harris a colpi di pixel. A meno di non volerci prendere in giro, chiunque di noi abbia mai fatto riviste di immagine - crediamo lo sappia perfino l’opinionista del New York Times Wajahat Ali che ha scatenato il caso di “whitening shame” ai danni della direttrice Anna Wintour - sa che le foto vengono non solo uniformate di default per cancellare ombre, macchie, rughe, cicatrici dell’esistenza (Naomi Campbell lo chiedeva per contratto, by the way, insieme con un’altra serie di punti che sottoscrivemmo di non rivelare mai), ma che tutti lo facciamo costantemente, anche sul Samsung che Wajahat agita come il mezzo migliore per riprodurre la corretta realtà, ovvero la realtà corretta con il comando “uniformità” dai quali usciamo tutti perfettamente social e con dieci anni di meno.

 

Per vedere quel che potrebbe essere stato, o magari niente affatto, può bastare un computer o una stampante appena mal calibrata su un colore primario. In ogni caso è sufficiente osservare la stessa foto su due pc diversi per capire che nulla è più instabile della realtà vissuta da uno schermo. Quindi ok, l’opinionista del NYT, quella sorta di gazzetta del Torquemada permanente effettivo, voleva farsi un po’ di pubblicità su una sua connazionale che ha sfondato alla grandissima, e gliela passiamo.

 

Quel che invece ci interessa parecchio, in quanto davvero rivoluzionario, è lo stile della foto o, per meglio dire, della signora ritratta. No, non stiamo parlando del drappo rosa. Il set è abbastanza tremendo, e sarebbe sembrato ridondante perfino a Sarah Bernhardt (lo virassimo in seppia ci ricorderebbe appunto la foto della trisavola nel giorno del suo matrimonio); ma la vicepresidente in Converse e tailleurino pantaloni striminzito con quel suo sguardo brillante che sembra dirci “gente, sono passata di qui un attimo sulla via per il Capitol Hill prima che gli diano l’assalto un’altra volta” è quanto di meno “vogueing” e più autenticamente popolare quella rivista abbia mai fatto dal giorno del 1892 in cui Arthur Turnure disse che la sua nuova pubblicazione avrebbe dato lustro alla “celebratory side of life”.

   

Altro che Harry Styles in abito da sera femminile Gucci. La signora ritratta sulla rivista di moda più famosa del mondo in apparenza non si è neanche cambiata prima di posare (in realtà sappiamo che l’ha fatto perché, dopo il primo round di insulti, Vogue America ha diffuso una seconda cover dove la vicepresidente appare a mezzo busto in un tailleur azzurro polvere di Michael Kors). Comunque, non ha assunto una posa. She didn’t strike a pose. Si è solo, letteralmente, mangiata la rivista in un mezzo sorriso, come non hanno saputo fare negli ultimi anni né Michelle Obama né tanto meno Hillary Clinton nelle numerose copertine che le riuscì di ottenere (l’ultima, prima di perdere contro The Donald, che comunque in quattro anni di presidenza non è mai riuscito a piazzarvi Melania). Entrambe apparivano soggiogate dal potere del brand editoriale, visibilmente onorate di trovarsi su quelle pagine, truccate e pettinate come mai si sono presentate in pubblico, in posa perfetta, vestite di velluti, di sete, cariche di gioielli: modellate per adattarsi alla rivista, non il contrario come è accaduto questa volta.

   

Non sappiamo come uscirà Anna Wintour, da poco nominata chief content officer della Condé Nast da questa ennesima polemica: forse questa non sarà una fotografia all’immagine all’altezza del magazine, e forse questi continui cambi di direzione denunciano un momento di smarrimento (comunque vorrei vedere voi, parlare di eleganza e società a un paese scivolato a un passo dalla guerra civile, in un clima da caccia alle streghe che non accenna a diminuire da tre anni buoni). Di sicuro, però, Kamala Harris è talmente all’altezza del ruolo per cui è stata nominata da essersi concessa non solo calzini e scarpe da corsa, ma perfino un’aria divertita e sprezzantina nei confronti di chi ce l’ha messa. Nessuno, fino a oggi, aveva osato.

   

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