La scoperta della (mono)ruota

In strada con la tribù degli appassionati e folli del monowheel. Dalle ciclabili urbane ai viaggi sull'Etna. In città sarebbe fuorilegge, "ma siamo pochi e ligi. I vigili chiudono un occhio"

Maurizio Baruffaldi

Può raggiungere anche i 50 chilometri orari, ma 25 è la misura ideale. Fino a 150 chilometri di autonomia, per un costo che varia dai 550 ai 2.500 euro. "Sono mezzi straordinari, ma in fondo ancora prototipi”

Mi aveva colpito la sua immagine profilo: il cavernicolo protagonista delle strisce di B.C, del disegnatore statunitense Johnny Hart, dritto sulla sua pietra ruotante, con l’espressione beata e la barba a pioggia. Una madeleine, per i più stagionati. L’ho contattato e ho scoperto la tribù degli appassionati e folli del monoruota di terzo millennio. Quelli che vedi passare eretti, quasi immobili, silenziosi: assaggio di futuro che combacia un punto d’origine immaginario.

    

“Ci vediamo dove vuoi, tanto sono in ruota” mi dice al telefono Adalberto Manfroni, Manfro per tutti, specialista in data center, collaboratore del Politecnico, innamorato perso di quella che chiamerà sempre, e semplicemente, "ruota". Compagna e protesi. Ci diamo appuntamento davanti all’Anfiteatro Martesana di Milano, spazio aperto e libero, dove posso usufruire di una prima "lezione di guida", e a un passo dalla ciclabile che accompagna il fiume, dove stasera, giovedì, potrebbe passare il flusso della Critical mass, appuntamento nel quale la tribù dei monoruotisti milanesi si fonde con quelle dei ciclisti e pattinatori. “Ci conosciamo tutti: se vai in ruota scatta subito una fratellanza”. Una fratellanza che chatta furiosamente sul gruppo telegram EUC Milano, (Electric UniCycle).

    

“Io ho cominciato da autodidatta, e ci ho impiegato una settimana solo per stare in equilibrio precario” esordisce, mentre riempie lo spiazzo di rotazioni, dribbling, allunghi, con la naturalezza di chi pare nato con la ruota al posto delle gambe. “La monoruota è un mondo nuovo. Non viene naturale come una bicicletta. Devi sapere come approcciarlo.” Per questo sta per diventare istruttore della scuola, il cui socio fondatore e presidente Fabio Borgarelli l’autunno scorso ha pubblicato il libro che Manfro ha ben studiato: Il monoruota elettrico. Corso per istruttori.

      

Mi fa salire col piede dominante (“Se ti passano un pallone con quale piede lo calci?), e tenendomi il braccio, che ho teso in fuori, mi guida qualche metro, “una passeggiata, in cui non devi imparare, solo sensazione”. Non viene naturale. No. Anzi, sembra quasi impossibile. Venticinque chili di cavallo indomabile. Ma è normale, dice. E con un piede a terra e il polpaccio dell’altro incollato alla ruota, mi mostra i quattro esercizi base, ripetitivi e pazienti, che servono a far conoscere la ruota alla tibia. Per arrivare all’aderenza. L’appartenenza, quasi. Solo a quel punto si può tentare una brevissima cavalcata.

      

Un ragazzino ferma la sua bici, un anziano si siede sulla panchina davanti a noi. Manfro si piega sulla ruota, le tiene la mano sul ventre, e mi spiega quello che ha pensato il geniaccio inventore della ruota Shane Chen, nato a Pechino nel 1956 e cittadino americano. Dentro c’è un giroscopio, sfrutta i modelli matematici del pendolo inverso. Non ha equilibrio laterale, ma non puoi inclinarlo avanti e indietro. Tu dai un avanti di bacino, detto "pisellata", quasi impercettibile, e la ruota per reazione aumenta la velocità, perché vuole, deve tornare all’equilibro del suo karma elettrico. “Raggiungi la velocità che vuoi, e inizia veleggiare”. Veleggiare: bello anche da pronunciare. “Per frenare fai il movimento di sederti. Per curvare da una parte allenti il peso della gamba opposta.” Elementare, Manfro. E difficilissimo. “Quando vedi uno che sa andare sembra facile. La monoruota però devi guadagnartela. Meritarla. Poi diventa elementare e gioiosa. Quando vado in giro, certe volte mi dimentico che sono in ruota. Mentre so sempre che sto andando in bici".

   

Ci spostiamo in Cascina Martesana. La ruota diventa un trolley. Manfro se la mette di fianco alla sedia, bagaglio fedele. Due parmigiane e un bianco secco, per acclimatarsi. Si guarda intorno e apprezza le luci, discrete e calde. Mi dice che quelle delle sue stanze le gestisce con la domotica, per adeguarle al mood che sceglie. Umore e colore devono aderire, come ruota e polpaccio. E per dovere d’informazione diamo un po’ di numeri. Possono pesare dai 10 ai 35 chilogrammi, con autonomie relative da 30 a 150 chilometri. Le potenze del motore spaziano dai 500 a oltre 2000 Watt. Ruote robuste con diametri da 18-20 pollici, sono più stabili e veloci. Ruote smilze da 14-16 pollici, più agili, nervose. Può raggiungere anche i 50 chilometri orari, ma 25 è la misura limite, quella sana. I prezzi vanno dai 550 ai 2.500 euro. “Le aziende che le producono sono piccole realtà prevalentemente cinesi. Sono mezzi straordinari, ma in fondo ancora prototipi”. Non ultimo, la ruota suona. Ha una cassa in bluetooth. The Rolling Boxe.

    

Anche se sotto la cappella della sperimentazione, il monowheel in città sarebbe però fuorilegge. “Siamo in pochi, sanno che siamo ligi, e i vigili a Milano chiudono un occhio, anche due. In altre città, tipo a Genova, un amico ha preso 100 euro di multa. Per il semplice fatto di essere in strada. Io giro sempre in ciclabile, ma poi lo sai, spesso sono mozziconi, e devo uscire, per forza. E quando esco cerco sempre di sorridere e di dare la precedenza”. Gentilezza e senso di colpa, a braccetto. “Il problema è che le trasformazioni tecnologiche sono talmente veloci, che la legge fatica a starci dietro, a regolamentarle”.

 

Quali sono le reazioni della gente? “Negli adulti non vedo particolari reazioni. Più che altro fanno domande: sempre sbagliate. Ma non è pericoloso? Quanto va forte? Quanto costa? Mentre i bambini ne restano affascinati. Quando ho visto la prima volta un tizio sul monoruota, che adesso conosco, detto Mago Tittix, è stato un colpo di fulmine. Slalomava. Era bellissimo. Ho detto: Io quella cosa la devo fare.” Immagino sia capitato anche al nostro antenato di fronte al primo rotolare.

   

“Puoi avere un equilibrio statico, quello dove hai movimenti minimi che ti ho fatto vedere, poi c’è la dinamica, dove muovi tutto il corpo, un po’ come danzare. Ancora poi, ci sono gli acrobati. Tipo i Monoruota Masterclass di Daniele Contino, l’esempio più alto”. Con tutto il rispetto delle evoluzioni e del freestyle, a noi interessa soprattutto il mezzo di spostamento. E non c’è solo l’asfalto. Manfro mi mostra, con orgoglio, il video del suo gruppo in escursione sull’Etna. “La lava sgretolata somiglia alla sabbia di mare. Il mezzo scoda, hai la sensazione di surfare. Mentre sulla pista Altomontana, i punti di colata lavica sono sconnessi, pietrosi, e c’è chi la fa in trolley, e chi invece tenta, andando pianissimo, accovacciato, guardingo, di superarla. Un po’ funambolo”. 

  

In ruota sono possibili anche lunghi viaggi. Puntando su strade secondarie. Elisa e Luca si sono pappati la Francigena da Roma a Milano; entrambi studiano in Bicocca e per arrotondare fanno i rider, sulla ruota. Una bella storia. “È un mezzo veloce. Passa dappertutto. Non vuole parcheggio. Durante il lockdown sono stati usati a Genova per la consegna dei farmaci agli anziani”. Da ciclista rivendico l’azione atletica del pedalare, rispetto al flettere e veleggiare. “C’è sempre una tensione muscolare, ti assicuro che dopo un’ora, specialmente in fuoristrada, la fatica la senti. Non hai consumo di fiato, è vero. Non bruci e non ti asciughi granché. Ma migliora il tuo equilibrio. Io non ho mai sciato così bene, per esempio, prima di andare in ruota”. 

   

  

Un pezzo reggae, volume a palla, passa sulla Martesana e va. Pochi secondi ed è il turno dei Massive Attack. “È la Critical” esclama Manfro. “Andiamo!” E lui sulla ruota, io in bici, ci immergiamo in questa festa itinerante come pesci nella corrente. Una corrente di umanità urbana che si allunga, stringe, allarga, sfilaccia, si compatta, riparte. La musica scandisce, la strada si improvvisa. Per qualche ora la città ha un padrone, spavaldo e innocuo, senza scatola e motore rombante. Che si saluta a mezzanotte e mezza sotto la Madonnina. Dove Manfro ritrova la sua tribù.

 

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