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Il Foglio mobilità

Apple Car, storia troppo sexy per non essere ancora vera

Michele Masneri

E’ una telenovela che va avanti da anni e che ora torna d’attualità nella Valley. Ad alimentarla le voci di un accordo con Hyundai e le mosse di Foxconn. Perché l’auto con la Mela stravolgerebbe il settore come accaduto con gli smartphone

Arieccola. Quella della auto Apple è una telenovela che va avanti da anni, che nella vita della Silicon Valley è come per i cani, vanno moltiplicata per sette. Proprio quando si erano perse le speranze ecco che torna di attualità il tormentone che da anni circola nella Silicon Valley: la macchina con la Mela sopra. Nei giorni scorsi infatti sono uscite indiscrezioni secondo cui l’azienda di Cupertino potrebbe lanciare una sua propria macchina tra tre-sei anni al massimo. Un ennesimo colpo di scena in questa vicenda tra gossip non confermati, ipotesi, e terrore degli addetti ai lavori che intravedono, se mai dovesse arrivare, un terremoto in un’industria già con grosse gatte da pelare di suo tra sovrapproduzione, fusioni, disaffezione dei giovani che non ne vogliono sapere di accollarsi un manufatto costoso poi difficile da parcheggiare in città sempre più ostili. Certo l’Apple Car col suo portato di ecologismo e innovazione cambierebbe qualcosa, se non tutto, e l’aura riflessiva-lussuosa di questo veicolo lo renderebbe un sicuro oggetto del desiderio e porterebbe tutti immediatamente ad abbonarsi a Quattroruote: come quando arrivò l’iPhone a terremotare il settore dei telefoni, rendendo immediatamente necessario a tutti avere un telefono smart su cui guardare Internet e ascoltare la musica. Anche la saga di rumors, smentite, indiscrezioni, è identica. I più anziani ricorderanno che prima del 2007, anno di grazia del telefono Mac, non solo si viveva benissimo coi nostri Nokia, Sony-Ericsson, Blackberry (tutti marchi oggi più o meno falliti o marginali), ma si sogghignava all’idea di un apparecchio di provenienza Apple (poi, tanti produttori risero meno, e le nostre vite cambiarono completamente). 

 

Così adesso l’auto. La saga va avanti almeno dal 2014, quando Cupertino lanciò il suo “progetto Titan”, il segretissimo team che doveva lavorare a un’auto autonoma. Poi col tempo i piani sono cambiati e nel 2016 si disse che fossero stati definitivamente accantonati. Adesso sono tornati improvvisamente d’attualità, forse perché Apple non fa qualcosa di veramente nuovo da anni, forse perché l’auto elettrica, e quella autonoma, sono nuovamente di moda (anche Jeff Bezos, patron di Amazon, ci si è buttato). Forse perché con la nuova Casa Bianca democratica l’ecologia è tornata interessante.

 

Si sa che ora a sovrintendere al progetto è John Giannandrea, l’italoamericano già a capo della squadra dell’Intelligenza artificiale di Apple e che sovrintende anche a Siri, il sistema di ricerca vocale (e prima si occupava di materie simili a Google). Già, ma quale progetto? Non è mai stato chiaro se Apple intenda buttarsi proprio sulla manifattura, ipotesi affascinante ma costosissima e complicata, oppure dedicarsi solo al software, da vendere poi ad altri produttori.  Nel 2017 il ceo Tim Cook confermò infatti che l’azienda stava lavorando su “sistemi di guida autonoma, una tecnologia per noi molto importante. Per noi è la madre di tutti i progetti di intelligenza artificiale, e insieme il più complicato”. Poi però nel 2018 riassunsero un manager che era stato a capo dell’hardware, Doug Field, e che era passato a Tesla occupandosi in particolare della Model 3, la “media” che ha trasformato l’azienda di Elon Musk da produttore di fuoriserie a auto quasi-di massa. L’averlo ripreso in azienda segnalerebbe l’intenzione di volerci riprovare come industriali, anche perché Field è un puro “car guy”, avendo lavorato in passato anche alla Ford. 

 

A dicembre – ultimo colpo di scena – la Reuters ha rivelato che basta, la Apple arriverà veramente: nel 2024 (secondo altri, nel 2027). L’azienda starebbe valutando se affiancarsi a un partner industriale per la questione delle batterie, che è poi la più spinosa per chi si lancia oggi nel settore, e si parlerebbe della coreana Hyundai. E qui, altre indiscrezioni: la casa coreana prima le ha confermate, poi (dopo che le sue azioni sono salite quasi del 20 per cento), le ha timidamente smentite, parlando di generiche “richieste di collaborazione da parte di più compagnie per quanto riguarda lo sviluppo di elettriche autonome, ma nessuna decisione è stata ancora presa dal momento che i colloqui sono in una fase iniziale”. Il problema, con l’auto autonoma, è che da sempre è un tema troppo sexy, una storia troppo appetibile per tutti, per la “disruption” che causerebbe, per l’immaginario, per i denari bestiali che metterebbe in circolo: dunque tutti ne vogliono un pezzetto. Dunque i rumors non cessano, anzi si moltiplicano.  Foxconn, il gigante taiwanese che fornisce la manifattura a buona parte dei prodotti Mac (quello che fa il “manufactured in China”, lo sporco lavoro, insomma), ha fatto sapere che sta predisponendo il suo ingresso nel settore automobilistico, ampliando sue capacità e competenze per il settore auto. Dai telefoni all’auto, e chissà se sarà vero e se centrerà qualcosa con questa Apple car, ma intanto perché rovinare una storia così bella con la verità? Dunque via alle dichiarazioni: la stessa Foxconn poi sta unendo le forze con il produttore cinese Geely per realizzare servizi e manifattura ad aziende desiderose di buttarsi nel settore: una specie di prêt à porter su cui costruttori che non lo erano possono rivolgersi per gettarsi nell’arena dell’auto elettrica e/o autonoma. Così Apple o chi per lei potrebbe mettere solo il marchio e il design sopra manufatti completamente costruiti “fuori”. 

 

Perché disegnare e realizzare un’auto nuova da zero è ultracostoso ed è un rischio tale da affossare anche la compagnia più ricca del mondo come Apple, che vale oltre 2 trilioni di dollari. Così un’altra possibilità era che Apple semplicemente si comprasse un altro produttore: in passato molte volte si era parlato di una possibile fusione con Tesla, storia che faceva ulteriormente impazzire giornalisti e fan, perché avrebbe unito due leggende siliconvalliche, quella del libertario e fricchettone Elon Musk con quella del riflessivo e supercilioso Steve Jobs. Si disse che Apple si fosse lanciata nell’operazione, offrendo una cifra però troppo bassa, rifiutata con sdegno da Musk. Ultimamente però lui, che in questi pochi anni è passato dall’essere il parente povero a vero boss della Valle, si è tolto la soddisfazione di raccontare una sua versione (su Twitter, come sempre). E cioè che “durante gli anni più bui”, cioè un paio di anni fa, quando Tesla sperimentava grosse difficoltà produttive, si era deciso a contattare Tim Cook per vendergliela, e quello nemmeno lo volle ricevere (dettaglio: vendergliela a un decimo del valore attuale, che è quello, allucinante, di 800 miliardi di dollari, grazie alle azioni che come è noto sono salite otto volte nell’ultimo anno). 
Musk non è nuovo a queste spacconate, e chissà se sarà vero. E però forse sarà anche nervoso perché una Apple Car sarebbe l’unica concorrente in grado di insidiare l’immagine fantasmagorica della Tesla, che solo in parte è legata al prodotto e invece molto deve al suo fondatore e alla sua epopea da James Bond, i razzi, i treni elettromagnetici, i lanciafiamme che offre in vendita sul suo sito. Si può solo immaginare cosa potrebbero inventarsi alla Apple in termini di immagine, campagne pubblicitarie, creatività. Anche, sistemi di vendita: una delle categorie più avverse alla Tesla in America sono per esempio i concessionari, che (come nel resto del mondo) campano su un sistema di vendita vecchio di cent’anni: tu vai lì, provi la macchina, la ordini, non c’è nel colore che vuoi, aspetti dei mesi, lei arriva: un enorme dispendio di energia e di costi, mentre per la Tesla fai tutto col tuo smartphone. Ordini, scannerizzi documenti, scegli colori e finiture e poi la vai a ritirare. Pensiamo allora a cosa mai potrebbe inventarsi Apple, col suo talento a integrare tutto, dall’Apple Pay alla ginnastica alla tv. Alla carta di credito: pensiamo agli optional che già oggi, per un iPhone 12, tra interni in pelle, portafoglini, cover e calamite, costano (proprio come certe auto) praticamente più del telefono. Per non parlare del cavo di ricarica optional, da pagare a parte. Infatti, agli albori della leggenda dell’Apple Car, quando si cominciò a parlarne, si ricorda una antica vignetta: c’era una bellissima macchinona con la Mela sul cofano, ma appoggiata sui mattoni. Perché le ruote erano, ovviamente, a pagamento. 

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