Get S*#t Done

A Washington c’è una conferenza intitolata “Reboot Congress” risposta repubblicana

Alcuni anni fa uno studente della Georgetown University ha rilasciato una dichiarazione d’intonazione profetica alla radio Npr: “Questa è la generazione più libertaria che sia mai esistita. Penso che ci vorrà soltanto un po’ più di tempo perché la gente se ne renda conto, ma in dieci o vent’anni, una volta che inizieremo ad avere più influenza nella società, assisteremo a cambiamenti significativi”. Qualunque sondaggio d’opinione conferma l’attitudine libertaria dei millennial americani, generazione cresciuta quando il bipolarismo ideologico della Guerra fredda era decomposto e pure la terza via cominciava a mandare cattivi odori, e dunque s’è buttata politicamente sulle quarte o le quinte vie – qualunque cosa pur di sfuggire allo schema binario – fino ad arrivare alle spiagge della politica dell’identità individuale. Con conseguente disprezzo per le strutture esistenti, lo stato innanzitutto, ma senza fiaccole e forconi: questa rivoluzione si fa con la self-ownership, la riappropriazione di sé, e meno strutture ci sono fra l’io e la sua capacità di riappropriazione meglio è.

 

In questi giorni a Washington – la città dell’establishment bolso e disfunzionale, quanto di meno millennial esista al mondo – c’è una conferenza intitolata “Reboot Congress”, consesso fra tecnologia e politica che ha lo scopo di mettere sul tavolo nuove idee per raggiungere uno scopo preciso: “Get S*#t Done”. Che è un modo sintetico e colorito per dire più o meno: troviamo soluzioni originali e ideologicamente non allineate per risolvere i problemi che il vecchio sistema non è in grado di affrontare (anzi, lui stesso è parte del problema). “Reboot Congress” è la risposta repubblicana, tendenza libertaria, alle assemblee conservatrici con pantaloni troppo larghi, età media troppo alta, troppe citazioni di Reagan, e non è un caso che i tre fondatori di Lincoln Labs – l’associazione che organizza il convegno, nata in California tre anni fa – abbiano radunato un panel di livello: ci sono Rand Paul e Ted Cruz, c’è il senatore John Thune, ci sono Carly Fiorina e Kevin McCarthy, uno dei leader repubblicani del Congresso; ci sono anche i lobbisti di Facebook, Lyft e Uber, orde di startupper, futuristi e hacker, tifosi di Bitcoin e antagonisti della Nsa, gente che vuole traghettare l’immaginario politico di Washington in una dimensione a misura di millennial. Avevano già portato Rand Paul – rampollo  di una dinastia politica con i gemelli ai polsini, eletto nelle profondità repubblicane del Kentucky, non uno Zuckerberg della politica americana – nella Silicon Valley, con eccellente risposta della comunità tecnologica che è ultraliberista per una questione filosofica prima ancora che per i ragionamenti sul profitto (che pure contano, chiaro). “Alla fine quello che tutti gli americani vogliono dallo stato è ‘get shit done’” dice uno dei fondatori di “Reboot Congress”. “Il che non significa scendere a compromessi rispetto alle proprie convinzioni, ma adottare un approccio logico e razionale alla risoluzione dei problemi”. Si esprime così, anche a destra (cosa significa, poi?), la “generazione più libertaria che sia mai esistita”.

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