Due bambine all’Avana oggi. L’aspettativa di vita a Cuba è alta, bassi i tassi di natalità (foto LaPresse)

C'è amore a Cuba

Giulio Meotti

Ma pochi bambini. L’aborto sta distruggendo il paradiso castrista. I figli della Revolución divorati da una cultura della morte

uando Fidel Castro è morto, all’estero c’è stata una gara a lodare il despota. Ha vinto il primo ministro canadese Justin Trudeau, che ha elogiato Castro come un “leggendario oratore rivoluzionario” che ha fatto “notevoli miglioramenti” nel sistema sanitario del suo paese. A conferma che il mito di Cuba si basa su due bugie: che Castro si è preso cura dei malati e che è responsabile dell’alfabetizzazione universale. Nell’isola il comunismo non è di tipo sovietico, cinese o jugoslavo; è romantico, tropicale, dal volto umano. Così Cuba in occidente è diventata la patria esotica d’una rivoluzione di studenti e contadini, un misto di Rousseau e Cervantes, la guerriglia dell’uomo contro se stesso alla quale Castro ha incitato i cubani. Così sono scomparsi i soldati in panni verde oliva, le torture, l’oppressione, le esecuzioni, la fuga del venti per cento della popolazione. Michael Moore, il regista di sinistra più credulone del mondo, nel 2007 è andato a Cuba per mostrare agli americani quello che perdevano nel non avere un’assistenza sanitaria universale. Il ministro della Salute di Castro, José Ramón Balaguer, si è molto compiaciuto per il film di Moore, “Sicko”. “Non c’è dubbio che un documentario di Michael Moore aiuterà il mondo a vedere i principi profondamente umani della società cubana”, ha detto Balaguer. Gli americani non vorrebbero nemmeno far curare i loro animali domestici a Cuba, dove ci sono tre livelli di sanità: una per gli stranieri che possono pagare con moneta forte, una per le élite (funzionari di governo, celebrità, politici) e una per la gente comune, i poveri che Castro aveva tanto a cuore.

Ma c’è un aspetto poco noto e che illumina il disastro dell’esperimento castrista: l’aborto. Un anno fa il New York Times usò una formula perfetta e ironica: “A Cuba c’è tanto amore, ma pochi bambini”. Nonostante i festeggiamenti per le strade di Miami, la reazione più diffusa tra i cubani in patria e all’estero per la scomparsa di Castro sembra essere quella di sollievo. Uno dei più grandi satrapi narcisisti di tutti i tempi è tornato alla polvere. Ma l’eredità di Castro è di gran lunga peggiore della rovina materiale di una nazione. Come scrive il Wall Street Journal, “Castro ha strappato via la dignità umana della popolazione”. Castro ha prosperato in nome di una ambizione maniacale a possedere e dominare l’anima di Cuba e in nessun aspetto le conseguenze sono più visibili che nei tassi di aborto altissimi del paese. Come scrive su Cubanet il giornalista indipendente Eliseo Matos, che ha citato lo studio di due medici cubani, Luisa Álvarez Vasquez e Nelli Salomón Avich, “dal 1980 a oggi, un terzo di tutte le gravidanze cubane sono terminate con un aborto”. Cuba nel mondo è seconda solo alla Russia per numero di aborti. Nel paese della Revolución le interruzioni di gravidanza sono quattro volte di più di quelle negli Stati Uniti. E secondo uno studio condotto dal Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (Undp), vi fanno ricorso soprattutto adolescenti, vista la precocità dei rapporti sessuali nell’isola. “Una rivoluzione è una lotta all’ultimo sangue tra il futuro e il passato”, diceva Fidel Castro. E la sua rivoluzione ha effettivamente minato il futuro divorando i suoi figli.

 

Anche se l’ottanta per cento della popolazione usa i contraccettivi, Cuba ha uno dei più alti tassi di aborto nel mondo. Il suo tasso di natalità è in caduta libera dal 1970, ha la popolazione più anziana di tutta l’America Latina. Gli esperti prevedono che fra cinquant’anni la popolazione di Cuba diminuirà di un terzo. Oltre il quaranta per cento del paese avrà più di sessant’anni. Entro il 2025, la popolazione di Cuba dovrebbe diminuire di circa un milione di abitanti. Questo drammatico cambiamento demografico – da undici milioni a dieci milioni di abitanti – è stato spinto da bassissimi tassi di fertilità e di natalità e da alti livelli di emigrazioni. L’aspettativa di vita a Cuba è alta, mentre i tassi di natalità sono bassi. Queste caratteristiche demografiche sono normali “in paesi altamente sviluppati”. Ma le loro popolazioni non scendono perché ricevono immigrati. Cuba perde anche popolazione. Come in Unione Sovietica, l’aborto è stato propagandato dalla rivoluzione cubana per facilitare l’uguaglianza e la liberazione delle donne nel mondo del lavoro. Per dirla con la psicologa Mayra Rodriguez, vice direttrice del Centro Nazionale per l’Educazione Sessuale (Cenesex), l’aborto è “una conquista sociale. Dopo la rivoluzione, le donne sono state incorporate socialmente”. L’utero è diventato di proprietà dello stato.

L’aborto è stato anche essenziale per il successo del tanto decantato miracolo della sanità pubblica di Castro. Se le donne in gravidanza sviluppano complicazioni, sono portate nelle “Casas de Maternidad” per il monitoraggio. I medici sono sotto pressione dai loro superiori per raggiungere determinati obiettivi statistici. Se c’è un picco di mortalità infantile in un determinato distretto, i medici possono essere licenziati. C’è quindi una pressione a falsificare le statistiche. Inoltre, nelle statistiche sugli aborti non sono inclusi quelli alle prime settimane, derubricati come “regolazione mestruale”. L’aborto oggi a Cuba è usato come metodo di controllo primario delle nascite, tanto che molte donne dicono di preferire abortire un figlio indesiderato piuttosto che utilizzare un altro metodo di controllo delle nascite. La ricerca di Miriam Gran, finanziata dal fondo Onu per la popolazione (Unfpa), ha intervistato più di quattromila donne cubane in tutto il paese. Quel numero comprendeva 1.806 donne che avevano subito almeno un aborto e 2.442 che avevano portato le loro gravidanze a termine. Tra le donne che hanno avuto aborti, il 52,2 per cento ha dichiarato di aver “rinunciato” a ogni altro metodo di controllo delle nascite. Carmen Diaz, giovane e nota attrice e presentatrice della televisione (fra cui un popolare programma per bambini), ha ammesso senza problemi di aver fatto ricorso per cinque volte all’interruzione di gravidanze non desiderate quando Papa Giovanni Paolo II nel 1998 fece visita sull’isola. Secondo l’ultima Encuesta Nacional de Fecundidad, il ventuno per cento delle ragazze cubane ha già avuto almeno un aborto.

Le “regolazioni mestruali” sono il metodo più usato come controllo delle nascite. Funziona così: si esegue l’aspirazione per svuotare il grembo materno quando il periodo mestruale è in ritardo, spesso senza eseguire un test di gravidanza. L’ex prigioniero politico cubano Armando Valladares ha detto al Wall Street Journal che “i bambini imparano a conoscere la sessualità umana dai loro insegnanti comunisti, in termini puramente meccanici”. Lo ha spiegato anche Jose Pelaez, un esperto del Gruppo nazionale di ostetricia e ginecologia, accusando lo stato di aver sostituito la famiglia: “Questa politica promossa da Fidel Castro di dare borse di studio ai bambini e agli adolescenti lontano dai loro genitori è il seme germinale di molti fenomeni che vediamo ora, come la perdita di valori o la promiscuità sessuale”. Un motivo degli alti tassi di aborto fra gli adolescenti è, infatti, il fenomeno della prostituzione giovanile nelle strade dell’Avana. Dopo cinquant’anni la rivoluzione ha fatto sì che molti cubani siano fuggiti dal paese e quelli rimasti abbiano sacrificato milioni dei loro figli per un futuro che non è mai arrivato. Tra il 1968 e il 1996, gli anni più ideologici della rivoluzione castrista, si registrano 5,6 milioni di nati vivi e 2,3 milioni di aborti. Un dato sicuro, semmai approssimato per difetto, sono gli almeno centomila aborti annui che si compiono in quel paese, con solo undici milioni di abitanti (circa cinque volte il numero degli aborti in Italia, in proporzione). Ai numerosissimi aborti legali di Cuba, vanno poi aggiunti quelli forzati, a scopo di “ricerca” e di “cura”. Tra gli oppositori dei fratelli Castro spiccano le figure di Eduardo Díaz Fleitas, vicepresidente del movimento clandestino “5 agosto”, colpevole di aver protestato contro l’aborto forzato nel paese, e Padre Miguel Jorda, che ha osato distribuire letteratura pro life a Cuba. Fu espulso dall’isola nel 2000. Jorda ha rilasciato una dichiarazione pubblica dicendo: “I membri del Servizio sanitario nazionale vanno nelle scuole e incoraggiano le ragazze a subire aborti, senza ulteriori indugi”.

Ma c’è soprattutto la battaglia del medico Oscar Elías Biscet. Il “Gandhi del Caribe” iniziò la sua lunga resistenza al regime quando scoprì che a Cuba si praticava l’infanticidio e l’aborto tardivo. Dopo la denuncia di Biscet, Hilda Molina, scienziata di fama internazionale, già deputata all’Assemblea del potere popolare e insignita dal regime cubano di ben undici medaglie, ha restituito a Fidel Castro tutte le sue undici decorazioni. Biscet ha denunciato l’uso del farmaco abortivo Rivanol, sostenendo in più che, se non funzionava, era completato dal rifiuto di assistenza al bambino nato vivo. Ci ha scritto anche un libro, “Rivanol. A method to destroy life”. Dopo aver definito il sistema sanitario cubano “genocida” (o meglio “questo genocidio fatto legale”) in una lettera aperta a Fidel Castro, Biscet è stato definito “loco”, pazzo, dalle autorità. Per la sua battaglia “contra del aborto, eutanasia y el fusilamiento”, ovvero a favore della vita dei più piccoli, contro la pena di morte per i dissidenti e contro l’eutanasia, praticata su malati poveri, che si rivelano un peso economico, Biscet è stato torturato in carcere. Questa “cultura della morte” non è propria soltanto del gulag castrista, ma del comunismo.

Agli inizi della rivoluzione bolscevica, il 18 novembre 1920, l’Urss fu il primo paese al mondo a legalizzare l’aborto. Tra il 1966 e il 1970 a fronte di quattro milioni di nascite l’anno, gli aborti legali nel paradiso dell’ateismo sovietico schizzarono tra i sette e gli otto milioni. Un primato mondiale di cui ancora oggi risente la Russia di Vladimir Putin. La Cina da anni deve far fronte al collasso demografico causato dalla “politica del figlio unico” imposta anche a colpi di aborti forzati. Nella Germania dell’Est, l’aborto era completamente libero fino alla dodicesima settimana. Castro ha costretto i cubani a un futuro di miseria e povertà. Ma le donne cubane sono state davvero “liberate”: se restano incinte e non vogliono condannare i loro figli alla fame e all’oppressione, possono sempre abortire. Sono i bimbi perduti dell’isola che non c’è.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.