Frequentano bene, conoscono tutti, da Murdoch a Bloomberg: sono il volto presentabile del trumpismo. Ivanka Trump con il marito Jared Kushner (foto LaPresse)

Jared, il first genero

Michele Masneri

Chi è Kushner, marito di Ivanka Trump, l’uomo che ha fatto vincere The Donald. E che può tutto

Accusato di essere “old”, di voler “chiudere l’Internet”, di chiamare “il cyber” qualunque cosa non abbia un transistor, più passano i giorni e più si scopre che The Donald, il presidente-eletto, ha vinto grazie proprio alla tecnologia, imparata dai suoi cari, nello specifico i Kushner, la grossa grassa famiglia di “in-law” di Trump che meriterebbe certamente biopic immediati. E di questi parenti acquisiti il più celebre (ma forse non il più interessante) è Jared Kushner, il genero, sposato con la figlia Ivanka. Genero o generone: a Roma nacque questa espressione, secondo etimologie fantasiose, per indicare lo sposo di una figlia gentilizia, che normalmente esprime i new money tramite anche pinguedine (un grosso genero). Qui però non siamo a Roma e il generone è smilzo, ben rasato, in completi slim, come impone il nuovo capitalismo organic. E’ “un ebreo di buone maniere proveniente dall’establishment democratico”, secondo l’autorevole Vanity Fair americano. “Un succedaneo di Wasp”, avrebbe detto Mordecai Richler. Jared Kushner, guance morbide, fisico da modello J. Crew, gestisce gli immobili di famiglia – venticinquemila – dal suo proprio torrione al 666, civico forse diabolico di Fifth Avenue (ci si sposa tra proprietari di torri, comunque).

“Un ebreo di buone maniere proveniente dall’establishment democratico” (Vanity Fair). Ci si sposa tra proprietari di torri

“Quintessenza della lealtà trumpiana”, come ha scritto qui sul Foglio Mattia Ferraresi, “quieto ed enigmatico” secondo la rivista Forbes che gli dedica la prossima copertina, Kushner è colui che ha fatto vincere le elezioni a Trump. Si sa che gli ha scritto i discorsi, che lo consiglia, che può tutto; “ogni presidente ha un alleato naturale di cui si fida a priori, e potrebbe essere Jared”, ha detto Henry Kissinger, consigliere di Trump, non proprio uno sprovveduto.

Lui e Ivanka saranno i veri House of Cards dell’Amministrazione (però vestiti meglio). Frequentano bene, conoscono tutti, da Murdoch (con cui Jared va in barca e da cui prende lezioni di giornali) a Bloomberg. Sono il volto presentabile del trumpismo. La mamma Kushner non era entusiasta della relazione con Ivanka (mollata, dunque, poi convertitasi all’ebraismo e sposata). Lui è old e new insieme: appassionato di carta stampata, ha comprato il New York Observer, che faceva gola anche a Robert De Niro, da cui forse l’odio per Trump e la sua stirpe da parte dell’attore di “Taxi Driver” – ma lui è arrivato dal direttore con un assegno in mano.

Kushner però è soprattutto new economy: aveva pronto un piano B nel caso di fallimento del suocero, uno sbarco nei media ma non certo nella antica televisione, semmai Internet e social network. Un po’ meno si sa infatti che è colui che ha trascinato il suocero nel “cyber”; “ha gestito la campagna elettorale come una startup da Silicon Valley”, sempre Forbes. La leggenda (è già leggenda) vuole che di ritorno da un comizio a Springfield, Illinois, sul Trump Force One, Kushner ebbe l’incarico informale di social-media esperto del suocero aspirante presidenziale.

Kushner nonostante le origini nel nord-est e nel laterizio ha infatti un côté siliconvalligiano, ha lanciato qualche anno fa Cadre, una startup di annunci immobiliari di altissimo livello che si propone come “una piattaforma di investimento per connettere individui qualificati verso opportunità importanti di real estate”, insomma un Porta Portese di superlusso in cui hanno investito Jack Ma, patron del colosso cinese Alibaba, e soprattutto lui, Peter Thiel, il mammasantissima della Silicon Valley, fondatore di Paypal e endorsatore unico tra i nerd riflessivi del presidente-eletto. “Ho chiamato un po’ di amici in Silicon Valley” ha detto Josh a con understatement, “alcuni dei migliori protagonisti digitali del mondo, e ho chiesto loro una mano”.

In particolare è dopo la nomination presidenziale che il first genero ha messo su la vera war-room, in Texas, a San Antonio. Il nome in codice è “Project Alamo” ed è un progetto di “voter suppression” cioè azzeramento della volontà di andare a votare (Hillary) concentrato sulla disillusione di millennial, donne, afroamericani. In Texas una squadra di 100 persone si è concentrata su fundraising, messaggi, pubblicità mirata, il tutto “con un occhio di riguardo al risparmio”, “massimizzando l’investimento per ogni elettore” (spendendo poi la metà di Hillary). Utilizzando una strategia obamiana, il colmo, cioè studiando i target e i big data, utilizzando il meglio della tecnologia californiana per stanare gli elettori casa per casa come aveva fatto Obama nel 2008 e come Hillary non ha fatto (negli ultimi otto anni poi le tecnologie sono ulteriormente migliorate); così, dice Kushner, la sua task force segreta ha veicolato i tre “topics” della narrativa trumpiana (commercio, immigrazione, cambiamento) spalmandoli sui target di riferimento: inventandosi strumenti collegati a Google Maps per identificare 20 tipi di profili di elettori a livello geografico, dirigendo il futuro presidente come con un Joystick verso zone delle mappe cariche di indecisi.

Le tecniche, diaboliche: messaggi pubblicitari one-to-one su Facebook, che si annullano da soli se tu non metti like (hai visto quel barbone all’angolo? Sei convinto che il tuo quartiere sia diventato più povero?), viceversa si moltiplicano se riscuotono successo (è il machine-learning, il computer che da solo impara dai suoi sbagli).

E’ stato lui a trascinare il suocero nel “cyber”. “Ha gestito la campagna elettorale come una startup da Silicon Valley”

A gestire questa inquietante macchina da guerra è un curioso personaggio, il trentenne Brad Parscale, cervellone hipster barbuto e in completo sartoriale reclutato da Kushner: con una sua piccola società texana di marketing digitale, la Giles-Parscale, specializzata nel promuovere siti di alberghi, il Casaleggio texano decideva tutto: viaggi, tappe, fundraising, discorsi, prese di posizione del futuro presidente. “Ciò che ci faceva sorridere era che fuori tutti facevano caso ai singoli pezzi della nostra strategia, ma nessuno si rendeva conto del gioco di squadra che li orchestrava” dice Parscale oggi. Anche il sistema di fundraising passerà forse alla storia, perché mai tanti poveri hanno pagato la campagna di un presidente miliardario: micro-annunci pubblicitari individuali organizzati in base al machine-learning, oltre 250 milioni di dollari succhiati a tanti Cipputi consenzienti.

“Facebook è stato il nostro più grande incubatore di soldi” ha detto Parscale. E il social network di Mark Zuckerberg – che adesso si straccia le vesti – è stato sì determinante, ma non nel modo in cui si crede (cioè veicolando le post-verità, o post-stronzate). “Facebook ci ha fatto vincere portando i soldi per la campagna, Twitter per gli annunci del presidente”, ha detto Parscale. “I siti internet delle elezioni 2016 sono orribili eccetto quello di Trump”, scriveva qualche tempo fa il magazine non trumpista Slate. “Il suo sito vince dove gli altri perdono, promette qualunque cosa e non chiede niente – tranne il tuo voto”-

Adesso il genero startupparo e mandante dell’operazione Fort Alamo si gode la vittoria. “Ha portato i valori della Silicon Valley, chiusura e inclusività, in una campagna che prometteva barriere chiuse, protezionismo, esclusione religiosa”, scrive Forbes. “Non avevamo paura di cambiare in corso d’opera. Non avevamo paura di fallire” dice oggi Kushner. “Ci serviva una strategia veloce ed economica”. Il piccolo capitale iniziale di questa startup elettorale nata non nel solito garage della narrativa siliconvallica, ma tra il New Jersey e i torrioni di famiglia, era la banca dati del Partito repubblicano, “trattata” con gli ausilii di società di analisi dati come Cambridge Analytica e Deep Root (che decideva anche dove dirigere i pochi fondi destinati alla tv a seconda dei blocchi di elettori trumpisti: Ncis per i contrari alla sanità obamiana; Walking Dead per gli anti-immigrati, eccetera).

 


Si dice che la molla che spinge Jared sia il desiderio di riabilitare il padre (con lui nella foto)


 

Kushner si è poi occupato in proprio di un gps che individua gli indecisi su una mappa di Google Maps. “Sapevamo da giorni che stavamo vincendo”, oggi si bulla Parscale sul suo twitter, mentre Forbes sottolinea come la strategia microchirurgica sui social aiuti anche a capire come mai Hillary ha perso pur avendo circa due milioni di voti in più del rivale. “Se il sentimento generale era paura e rabbia, il fattore decisivo è stato dati e imprenditorialità”. Insomma, la Silicon Valley che non si è ancora riavuta dalla vittoria di Trump in realtà ha dato il suo contributo a sua insaputa.

Anche il sistema di fundraising passerà alla storia: mai tanti poveri hanno pagato la campagna di un presidente miliardario

Del resto la famiglia Kushner oltre a produrre slanciati esemplari di maschi imprenditoriali non risparmia paradossi: il fratello minore di Jared, Josh, trentunenne, è pure lui un hidalgo della nuova aristocrazia internettara. Stessa eleganza sobria, stesso fisico filiforme, è fidanzato con la modella di massimo successo Karlie Kloss. Ma soprattutto ha un suo fondo di venture capital (Thrive Capital, specializzato in startup tecnologiche e nel settore dei media con quote, tra gli altri, in Instagram e Spotify). Ed è il fondatore di Oscar.com, una Uber delle polizze sanitarie che in questi giorni tappezza di pubblicità la California, e si propone come alternativa “smart” ai vecchi carrozzoni della sanità privata, con tariffe su misura, auto-diagnosi, radiografie fatte con l’iPhone, e prezzi bassi. Curioso che questo business possa sopravvivere solo se resterà in piedi l’Obamacare, il mercato per le polizze per i poveri. La startup, valutata 2,7 miliardi di dollari, partecipata ancora una volta da Peter Thiel, in realtà non va benissimo, e se il parente acquisito Donald dovesse affondare l’Obamacare rischia di finire a gambe all’aria (anche se il pezzo di pane, in casa Kushner, non dovrebbe mancare mai).

Josh poi non ha mai fatto mistero di votare Hillary. E i Kushner sono una famiglia di grandi finanziatori, talvolta illeciti, del Partito democratico. E qui si apre un altro capitolo della saga di famiglia, che dalla Silicon Valley si trasferisce nel New Jersey, tra “Il Padrino” e Philip Roth (i Kushner sono di Elizabeth, New Jersey, cittadina da cui proviene la giovane sposa di “Pastorale americana”, romanzo sugli ebrei che si fingono wasp).

I giovani Kushner sono infatti figli di Charlie Kushner, mega palazzinaro e amico dei Clinton, di Al Gore e di tutto l’establishment democratico (soprannominato appunto “il padrino ebreo del New Jersey”). Charlie discende da una famiglia di “holocaust builders”, cioè ebrei arrivati dall’Europa devastata dal nazismo e ri-costruttori dell’America del Dopoguerra. Lui, studente medio carismatico, fa fortuna coi palazzi, mentre il fratello Murray vive all’ombra, non fa abbastanza soldi, addirittura sposa una gentile causando riprovazione fraterna e spaccatura nella famiglia (è un po’ Fredo Corleone). Charlie diventa un magnate, dona il suo nome a università e sinagoghe, sponsorizza tutto lo sponsorizzabile tra cui, anche in maniera sgangherata, le università che i figli frequenteranno (dona 2,5 milioni ad Harvard, 3 milioni a Nyu, a cui pure affitta un palazzo sottoprezzo). E’ amico di tutti quelli che contano a New York. Mantiene gli amanti del governatore del New Jersey (che poi si dimette contagiato dallo scandalo).

Il padre, mega palazzinaro e amico dei Clinton, “il padrino ebreo del New Jersey”, e lo scontro con lo zio che vive nell’ombra

Nel frattempo i rapporti tra i due fratelli si raffreddano; c’è una lite a una festa da ballo per un Bar mitzvah che è pura “Versione di Barney”, e finisce con Murray che fa causa al fratello. Qui arriva il bello: la causa insospettisce l’allora procuratore del New Jersey che apre un’inchiesta, che finirà col vecchio Charlie in galera, patteggiando 18 capi di imputazione tra cui evasione fiscale, corruzione di testimone, finanziamento illecito ai partiti. Sliding door: il procuratore in questione non è altri che Chris Christie, inner circle trumpiano oggi in declino, e la leggenda nera dice che dietro il declino ci sia proprio il giovane Jared Kushner, first genero, odiatore del persecutore Christie, adorante il padre, che andò a trovare ogni giorno in galera, che considera un innocente vessato dalla storia.

Si dice che la molla che lo fa andare avanti, il suo demone, sia proprio riabilitare questo padre, forse preparandosi addirittura a chiedere la grazia presidenziale. Invece Josh è il fratellino piccolo, timidissimo, “credo di essere l’unico venture capitalist introverso al mondo”, ha detto ad Arianna Huffington a una conferenza (e lei ha raccontato di averlo incontrato ventenne a un party e lui diceva “presto, dobbiamo andare via che domani è shabbat”, i Kushner sono molto religiosi). Lui è quello da proteggere, è quello che a vent’anni si è trovato il padre in galera. Jared è quello forte che ha tenuto insieme la famiglia, è Michael Corleone (ah, poi ci sono anche delle sorelle, ma in questi contesti non sono importanti). Da parte sua invece il vecchio Charlie, il Padrino ebreo, dev’essere un tipo simpatico. Tra i vari reati per cui è stato condannato, l’aver assoldato una mignotta per concupire il marito di una sua sorella, e poi averle mandato il video dell’amplesso. Il giudice ha sottolineato “l’orribile natura dei reati, inconciliabile con la generosità espressa da un simile benefattore”. Kushner ha ribattuto: “Non credo di essere così orribile. Ma neanche così santo come mi dipingono i miei avvocati”.

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