L'Angolo d'Abruzzo

Camillo Langone
Il contesto vorrebbe essere raffinato ma il testo gastronomico è pastorale. Notevoli le sagne al ragù di coniglio e zafferano di Navelli. Abruzzista la carta dei vini

    Esteticamente non è il non plus ultra, il soffitto basso ridicolizza la pompa delle tende voluminose, l'alberetto natalizio sul tavolo oltre che pagano è misero, i camerieri in camicia nera e cravatta rossa sembrano usciti da un video dei Kraftwerk o dei Franz Ferdinand, con effetto più militare che cordiale. Però si mangia molto bene in questo ristorante sulla piazzetta della stazionetta di Carsoli (accento sulla O), citata da Ennio Flaiano: “Dove gli sportelli del treno si spalancarono sotto l'impeto di una frotta di ‘corrieri', contadini che portavano a Roma formaggi, carni, polli, agnelli scuoiati e sacchi di legumi”. La frase non riusciamo a datarla né a localizzarla in un libro preciso ma sembra parlare di borsa nera e quindi di Seconda guerra mondiale. Sono passati tanti anni eppure qui in Abruzzo le materie prime continuano a essere l'anima della cucina e perciò si mangia bene quasi sempre e quasi dappertutto, anche nella città, con una percentuale di delusioni inferiore a quella di ogni altra regione italiana. All'Angolo d'Abruzzo il dispiacere si chiama cecamariti, invitantissimi per noi degustatori di nomi prima che di cibi, presenti in lista ma assenti in cucina. Che rabbia. Quando mai avremo l'occasione di mangiarli? Ci si consola con le sagne al ragù di coniglio e zafferano di Navelli, notevoli, mentre si resta perplessi sui ravioli di ricotta o meglio su come vengono serviti: quassù sulle montagne non era meglio grattarci sopra pecorino anziché parmigiano? Per fortuna gli esotismi si esauriscono col grana e arrivano in tavola: 1) squisite frittelle di ricotta di capra; 2) scamorza alla griglia (non il solito fettone ma un croccante rollé) servita coi porcini arrosto; 3) guancia accompagnata da cicoria che sembra alga fritta e la crema di zucca troppo buona per essere solo due sbaffi. All'Angolo d'Abruzzo hanno pure il coraggio della pecora. Non dell'agnello, dell'introvabile pecora. Nonostante il contesto ambientale raffinato (o che vorrebbe esserlo) il testo gastronomico è pastorale, al più alto livello. Saremo fortunati ma il fior di ricotta con la marmellata di amarene, servito come dessert, fa venire voglia di un bis. La piccola pasticceria è una biscotteria: davvero piccola, per fortuna, e davvero buona. Carta dei vini giustamente abruzzesista da cui abbiamo estratto il Montepulciano di Filomusi Guelfi. Diceva quell'ecclesiastico francese che non si possono mangiare sempre pernici, per la stessa ragione non si può bere sempre Cataldi Madonna o Valentini, ogni tanto bisogna aprirsi ad altre aziende. Come dice il nome questo ristorante per molti versi meritevole è situato in Abruzzo ma è più facile raggiungerlo da Roma che da Pescara: l'autostrada è una delle meno trafficate d'Italia e il casello è vicino. (recensione del 29 dicembre 2007)

    • Camillo Langone
    • Vive tra Parma e Trani. Scrive sui giornali e pubblica libri: l'ultimo è "La ragazza immortale" (La nave di Teseo).