Roberto Giachetti (foto LaPresse)

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Il funerale retorico dell'assemblea del Pd

Mario Sechi

Il momento politicamente più acuto di ieri è stata la sparata di Giachetti. Dall'estero: la Nato versa 390 milioni per l’esercito afgano

Sant’Anastasio I

 

L’assemblea del Pd. Due settimane dopo il 4 dicembre, Renzi continua a fare Renzi. Irride gli avversari come se fosse arrivato primo; propone sistemi elettorali senza aver esplorato prima un minimo consenso parlamentare; dice un’ovvietà (“ho perso”) e svolge un trattatello di sociologia della sconfitta preso dalla libreria delle sedute di autocoscienza del Pd; parla di periferie prendendo in giro quelli che lo facevano prima di lui; naturalmente si discute di sud con tono grave e pensoso; i ggiovani no, non ci hanno votato proprio; è tutta colpa del webbe ‘che l’abbiamo lasciato agli altri; dai che rifacciamo il Mattarellum, cribbio; ripete di fronte al pubblico le sciocchezze che i suoi collaboratori gli scrivono sull’America; si avvia al finale e dalla sala arriva un monito, un memento, un’intimazione, la cosa che se fai un’allegra riunione della sezione Rosa Luxemburg con l’iPhone 7 proletario non può essere taciuta: l’ambiente! urlano dalla sala e lui, nel pieno della fase 3x2, rassicura: parlo volentieri anche di quello. Una sana coscienza verde ci vuole. L’assemblea del Pd. Un funerale retorico che ha avuto un solo gigantesco acuto: Giachetti che ritrova per un attimo il fu Giachetti pannelliano e con una manovra di puro dadaismo radicale spara a vocali larghe un profondo “avete la faccia come il culo!” rivolto alla minoranza dem. E’ stato il momento politico più alto e significativo dell’assemblea del Pd. Il lutto c’è, l’elaborazione no, la sconfitta resta. Il futuro? E’ sempre domani. Buona giornata.

 

La destra. Cosa succede là in fondo, a destra? Si pensa al futuro, perbacco. Ecco un estratto della pagina Facebook di Matteo Salvini, il timoniere del cannolo:

 



 

Da non perdere. Cosa c’è di imperdibile sui quotidiani? In prima pagina quelli di via Solferino hanno rotativizzato il filosofo del conflitto, quello che si immagina infallibile spettrografo dei nostri tempi, quello che comincia il suo ennesimo definitivo articolo sul nostro tempo citando un poeta che egli sente vicino a se stesso (René Char, un combattente) e sulla mattanza di Aleppo lancia la sua vibrante protesta. Perché lui, il grande filosofo, questo separatore di ioni dello zeitgeist, si vergogna di tutto e tutti per noi, che altruismo. Non risparmia nessuno, l’indignato, neppure la scrittura che espone così brillantemente il suo pensiero. Bombardano Aleppo. Ecco un passaggio che testimonia l’originalità della sua prosa: “Effetto della «de-realtà»? Alla fine ci siamo assuefatti alla sofferenza degli altri? O ci troviamo forse ai giochi circensi? L’inconfessabile compiacimento nel veder agonizzare degli omuncoli laggiù, mentre noi, dalle tribune, ci dimentichiamo di alzare il pollice?”. Il compiacimento è tutto suo, in questo do di petto che sale dalla sofferenza dei caffé di Saint-Germain-des-Prés, Paris, e sfocia in un esito tragicomico quando dal testo e dalle immagini della città siriana si passa a uno sguardo totale dell’impaginato e si scopre che il vero messaggio sullo smarrimento dell’uomo contemporaneo non è nell’articolo dell’indignato a manovella, ma nell’assemblaggio degli elementi del Corriere della Sera. Osservate con attenzione, pagina 14:

 



 

La pubblicità a centro pagina. Ecco il tragico presente che si fa surrealismo. L’inchiostro corrosivo è questo, non quello di BHD. Aleppo & Chanel. Bombe e eau de parfum. Era tutto così semplice. Bastava passare in tipografia. Tanti saluti, Bernard-Henry Lévy.

 

La Nato versa 390 milioni per l’esercito afgano. L’occidente di BHD è altrove. Qualcuno ricorda Kabul? La missione militare in Afghanistan cominciò il 7 ottobre 2001, un mese dopo l’attacco alle Torri Gemelle. Sono trascorsi quindici anni e i paesi della coalizione hanno deciso il finanziamento di una serie di progetti per le forze armate afghane: 390 milioni di dollari. Quanto dura il nation building? Bella domanda. In Europa la ricostruzione dopo la Seconda guerra mondiale cominciò subito, il piano Marshall a prezzi attuali valeva 120 miliardi di dollari, le guerre in Afghanistan, Iraq, Pakistan e Siria secondo uno studio della Brown University pubblicato nel settembre scorso sono costate finora 4.79 trilioni di dollari. E il Medio Oriente continua a essere in guerra con se stesso. Tutta colpa dell’Occidente?

 

Monte dei Paschi. Tre giorni e poi la banca più antica del mondo, quella che fece nascere la borghesia mercantile in Europa, conoscerà il suo destino. Oggi parte la conversione volontaria delle obbligazioni subordinate, si chiude mercoledì alle 14. Su un secondo binario Mps prova a fare bookbuilding, cioè convincere all’investimento gli investitori privati, in testa il fondo del Qatar. Dopo il referendum, tutto si è (s)congelato. Gli investitori istituzionali aspetteranno i risultati della conversione dei bond prima di decidere. La maggioranza degli analisti pensa che si vada dritti alla nazionalizzazione. Too big to fail. Chi paga? Il contribuente.

 

Felix Roma. Titolo su Repubblica: “Corruzione per appalti scuole e strade in due municipi: arresti e perquisizioni a Roma”. Che fare? Niente, rileggere Flaiano: “Gli italiani sono irrimediabilmente fatti per la dittatura”.

 

Auto di lusso. Sul Corriere l’articolo interessante lo scrive Federico Fubini. Mettete in fila i redditi oltre i 120 euro e le auto di lusso, scoprirete il magico mondo dell’Italia in supercar: “Il ritratto di un Paese nel quale i modelli di auto in circolazione dal costo di almeno 100 mila euro risultano di un terzo più numerosi dei redditi Irpef di fascia alta: sono 349.453 mila contro 269.093 dichiarazioni dei redditi elevate. In alcune regioni, specie nel Mezzogiorno e a Nord-Est, il surplus di modelli di lusso rispetto ai redditi di livello più alto è addirittura fuori da ogni scala spiegabile in un sistema dove prevale l’applicazione della legge”.

 

19 dicembre. Nel 1878 inizia il terzo governo Depretis. L’epoca in cui comincia il trasformismo della politica italiana. Non è mai finito.

 


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