Parigi è un desiderio

Andrea Inglese
Ponte alle Grazie, 316 pp., 16 euro

    Parigi è un desiderio” è un romanzo scritto da un poeta e da un critico letterario, ma ha una matrice narrativa che elude quella prosa d’arte, melodica, di stampo tradizionale, che in Italia appare un modello superato. Queste pagine trasportano detriti esistenziali e al trasferimento da un luogo all’altro – che costituisce l’ossatura dei capitoli – si aggiunge una somma di considerazioni sparse, di brandelli di opinioni per lo più confessionali, che debordano dall’immaginazione appassionante, perfino allucinata, al modello del bohémien parigino che lascia Milano per approdare in un’altra dimensione, epica eppure dolorosa, come sarebbe l’esistenza di un giovane in formazione in qualunque parte del mondo. Inglese scrive di un sogno di fuga realizzato per scamparla da una situazione ostile, noiosa.
    Un sogno accumulato prende spunto da uno stato di veglia, semicosciente. La Francia è una deviazione decisiva per eliminare il “peregrinare anfetaminico” dove l’io narrante vagabondava con un’indolenza disincantata, ironica, irrisoria. Parigi viene illusoriamente addomesticata salendo sulla Torre Eiffel, ma da “celeste”, giorno dopo giorno, prende una forma sempre più terrena, anche se svolgendo qualunque lavoro “disidratante” si ha l’impressione di possedere un destino fuori del comune. Tutto ciò che accade è vago, compreso l’amore, unico e spiazzante: “Comunque Andromeda congiungeva due bellezze, quella francese di madre e quella africana di padre, con tutto il sopravvento subsahariano delle labbra carnose, della pelle marrone, delle dita lunghe e affilate, del sedere sporgente, dei polsi e della caviglie sottili, e un cespo di capelli che era un prodigio”. La permanenza a Parigi ha una durata, finisce lasciando una ferita aperta, e con essa il mito della libertà sostituito con il bisogno di una qualunque consolazione. Scema la felicità e nulla rimane facile da affrontare. L’amore precipita in un vortice, è una legge di gravità, una confusione dalla quale non si esce. Le donne fanno stare bene e fanno stare male, ma non tranquilli: sono un corollario energico e pericoloso. Parigi è un desiderio appare un metaracconto tormentato che offre una spiegazione onnicomprensiva, che procede di pari passo con l’esperienza, con un susseguirsi storico di microstorie, come se un secondo occhio vigile segua i gesti del protagonista, sdoppiato dentro di sé nel movimento spaziale e temporale, mezzo che permette la ponderazione, la congettura, il rimescolamento dei pensieri. Una voce in campo accompagna costantemente la prova del reale. Andrea Inglese terremota la scrittura rendendola debordante, impietosa. Lo svelamento dell’uomo avviene nel presentimento, così come nella constatazione che la propria condizione non è monocolore, ma avviluppata in complicazioni, interferenze, imprevisti. La maturità è contrassegnata dalle abitudini, dalle convenzioni, dalla diplomazia: sono questi gli anni dell’università, delle cattedre, dei corsi, dei dottorati alla Sorbona, e  infine della delusione.
    Inglese lo dice chiaramente: “Comunque non è mia intenzione sottovalutare l’importanza che, nel funzionamento armonioso e pacifico della società umana, ha il leccaggio di culo”. Ma il protagonista non ci sta a piegarsi e i suoi anni si manifestano a macchia di leopardo, alterni, umorali, dove i sentimenti e gli impegni vanno e vengono, tornano, dove nel disegno disarmonico delle relazioni anche la dolcezza e la gentilezza sembrano conquiste. Il linguaggio di Inglese è veloce, incessante, a volte più disteso, modulato, altre più corposo, scandito da un ticchettio ritmico.

     

    PARIGI E’ UN DESIDERIO
    Andrea Inglese
    Ponte alle Grazie, 316 pp., 16 euro