L'ultimo rigore di Faruk

Giovanni Battistuzzi

Gigi Riva

Sellerio, 192 pp., 15 euro

    Può un rigore salvare dal collasso un paese dilaniato da spinte nazionaliste e prossimo alla guerra civile? No, in teoria. La controprova però non c’è e non ci potrà mai essere. La domanda resta, la pongono il molti e così la mente torna in un modo o nell’altro a quel pallone calciato dagli undici metri. E’ il 1990. La serata a Firenze è appena iniziata in quel 30 giugno quando iniziano i dieci rigori che decreteranno chi tra Argentina e Jugoslavia sarebbe andata a sfidare al San Paolo di Napoli la vincente tra Italia e Irlanda. Sul dischetto, per l’ultimo rigore della partita, si presenta il difensore Faruk Hadzibegiç. E’ uomo di peso nello spogliatoio slavo: calciatore e uomo pragmatico, intelligente, carismatico eppure silenzioso. Uno “quadrato”, uno cui si possono affidare responsabilità. Da lui dipende molto, un gol e si continua, un errore e tutto finisce lì. Faruk prende la rincorsa, tira, la palla va, ma Sergio Goycochea, il portiere dell’Albiceleste, intuisce, si allunga nemmeno poi troppo, para. Gli slavi sono fuori dal torneo. Sarà la loro ultima gara in un torneo ufficiale per squadre nazionali. I moti indipendentisti di Slovenia e Croazia infatti avrebbero fatto il suo corso. Le due regioni della federazione messa insieme e tenuta compatta dal Maresciallo Tito riescono ad arrivare all’indipendenza, la Serbia animata di nazionalismo da Slobodan Milosevic si muoverà lungo un duplice crinale: quello di chi cerca di tenere in piedi quanto creato da Tito e di chi considera quella serba l’etnia eletta e legittimata per questo a governare su tutti. In mezzo a ciò, che è storia di una guerra etnica a lungo covata sotto le braci dei nazionalismi, vi sono ventidue uomini tra campo e panchina e tre guide che provano a respingere le forze disgreganti. C’è il racconto di un Mondiale, uomini che rincorrono un pallone con la maglia di una nazione che allora c’era, ma che sarebbe evaporata da lì a poco. E poi quella domanda che ritorna, alla quale non si sa come rispondere, alla quale forse rispondere non ha senso: ma se Faruk quel rigore l’avesse segnato? E’ una domanda che ne richiama altra: e se la Jugoslavia fosse poi arrivata in finale? E se avesse poi vinto? E’ un inseguirsi di se, di ipotesi improbabili quanto immaginare. A dominare, almeno sul piano sportivo, la domanda che in tanti si fecero, e cioè che cosa sarebbe stata negli anni a venire quella Nazionale che stava per prepararsi a osservare il più eccezionale accumularsi di talenti che il calcio slavo mai prima d’allora aveva visto. Giocatori che si sparpagliarono per repubbliche divise da confini che, per fortuna altrui, non poterono scendere in campo assieme, regalando così vittorie ad altre compagini.

     

    L'ULTIMO RIGORE DI FAROUK

    Gigi Riva

    Sellerio, 192 pp., 15 euro