Andare per treni e stazioni

Roberto Raja
Enrico Menduni
Il Mulino, 134 pp., 12 euro

    Con le forze dell’ordine e gli alpini a proteggere il cantiere, la contestatissima linea dell’alta velocità Torino-Lione qualcosa in comune con la sua storica antenata ce l’ha: nei primi tempi di esercizio, il traforo ferroviario del Frejus, che collega tuttora Torino con la Francia, aveva all’imbocco del versante italiano una fortificazione con cannoni e una guarnigione di un centinaio di uomini. Non per motivi di ordine pubblico, ma perché si pensava di fermare così un’eventuale invasione francese. Primo tunnel alpino, il Frejus venne aperto nel 1871, l’inizio dei lavori quattordici anni prima, quando l’Italia non era ancora unita ed entrambi gli ingressi alla galleria erano in territorio piemontese. Nei giorni in cui Hyperloop, il “treno” di Elon Musk, fa le prime prove e qualcuno si vede già proiettato da Milano a Roma in una trentina di minuti, fa quasi tenerezza ripercorrere le vicende della ferrovia in Italia, specie nella sua fase pionieristica. Quando appunto si costruivano i primi trafori ed era un’impresa, quasi, e un rischio certo l’attraversarli tra i fumi delle locomotive a vapore, tanto che, per ovviare al pericolo, si cominciò presto a pensare a un’alimentazione alternativa. Così, nel 1901, sulla linea della Valtellina entrò in servizio il primo treno a trazione elettrica: un primato mondiale per l’Italia. Che già aveva dato: il fervore d’opera, l’incalzare dell’apertura di nuove tratte accompagnano il paese che si forma: è del 1859 il collegamento di Bologna con Piacenza mentre nel 1861 entrano in esercizio la Bologna-Ancona e la Milano-Piacenza (che però è ancora considerata una linea secondaria, tanto che solo nel 1880 fu istituito un treno Milano-Roma) e nel ’63 la Bologna-Pistoia (la Porrettana, primo ardito attraversamento dell’Appennino: la Bologna-Firenze soppiantata oggi dall’alta velocità fu inaugurata solo nel 1934). Non è sempre andata così: un secolo dopo, per costruire la direttissima Firenze-Roma di 254 chilometri servirono ventitré anni, dal 1969 al ’92 (per gli 800 chilometri dell’Autosole, potenza del boom e del trasporto su gomma, ne erano bastati nove). Ritardi, costi lievitati, tragedie collaterali: Menduni non nasconde le ombre del sistema ferroviario ma sottolinea pure gli aspetti che ne fanno “un’eccellenza italiana”: da quelle prime prove alle grandi sfide della velocità negli anni del fascismo, con le “littorine” e i record dei primi elettrotreni (38 minuti da Bologna a Firenze), fino alla Tav odierna. Un bel viaggio, ricco di informazioni, anche ora che gli irritanti cronici disservizi sui binari dei pendolari e l’algida efficienza dell’alta velocità hanno appannato agli occhi dei bambini cresciuti il fascino del treno.

     

    ANDARE PER TRENI E STAZIONI
    Enrico Menduni
    Il Mulino, 134 pp., 12 euro