Tre giorni a Parigi

Gabriella Cantafio
Mario Fortunato
Bompiani, 104 pp., 11 euro

    Un viaggio nella città più romantica del mondo. Tre protagonisti: due uomini e una donna. Come i personaggi di “Le Repas”, la tela di Gauguin esposta al Louvre, dietro la quale si cela la trama aggrovigliata del nuovo romanzo di Mario Fortunato, già direttore dell’Istituto italiano di cultura a Londra nonché critico letterario per L’Espresso. Un racconto breve ma intenso come il week-end parigino vissuto da Mario e Davide, studente universitario dall’esistenza tormentata. Proprio dinanzi alla riproduzione del dipinto del pittore francese, a distanzi di anni, Mario vede scorrere sul nastro dei ricordi una valigia contenente quel “grumo di sentimenti che non si era mai sciolto”. Non resiste, la apre e annulla le stagioni passate. Ritrova così Parigi con il suo fascino artistico e  i suoi bistrot, e nella tasca più profonda il ricordo vivido di una passione “veloce come un taglio”. L’amore impetuoso con Davide, misterioso ventenne pasoliniano, un po’ più cresciuto dei “ragazzi di strada”, un po’ meno teppista, ma contraddistinto dalla stessa fragilità a cui tenta di volgere le spalle gettandosi tra le braccia di Lara. Con la quale, a distanza di anni, affronta lo stesso viaggio nella capitale francese. Convinto che ripercorrere gli stessi luoghi possa essere sì doloroso ma aiuti a esorcizzare il passato. I due tempi del racconto – il primo, in prima persona, condotto dalla malinconia di Mario, il secondo, in forma impersonale, dalle perplessità della giovane Lara – però si intrecciano quasi involontariamente. Si scontrano violentemente quando l’avvento di internet disvela inaspettatamente l’esistenza di quel terzo incomodo che ridesta i patimenti dell’anima. Nella foto sul pc di Mario appare Davide a Place de l’Etoile. Ma a cingere le sue spalle possenti non c’è lui bensì una donna dal volto delicato irradiato da due diamanti verdi. Quella stessa donna che davanti alla tela di Gauguin, anni dopo, scorge l’esitazione del suo uomo, come se dietro quel dipinto fosse celato il ricordo di un amore ingombrante. “Fortunato, pur partendo da uno stato d’animo poetico, riesce tuttavia a essere narratore”: così Alberto Moravia descriveva  lo scrittore di “Tre giorni a Parigi” che, con la delicatezza della sua penna novecentesca, conduce il lettore in un valzer tra passato e presente, sentimenti sussurrati e silenzi parlanti, ombre invadenti e quesiti irrisolti. Creando un’empatia tale da sezionare insieme le debolezze dell’animo umano. Per poi stringere la mano tremante ai protagonisti e scoprire che “una lacrima non è che un modo a disposizione del bersaglio per riconoscere il proiettile in arrivo, un mezzo necessario al futuro per liberarsi del passato”.

     

    TRE GIORNI A PARIGI
    Mario Fortunato
    Bompiani, 104 pp., 11 euro