
Eccentrici
Adelphi, 184 pp., 13 euro
L’undici dicembre 1861 Charles Baudelaire scrive una lettera ad Abel Villemain, segretario dell’Académie Française (“mummia”, “colta mediocrità”, lo ricorda Barbey d’Aurevilly), per candidarsi a farne parte. Sottopone d’acchito la domanda perché se avesse atteso il momento di esserne degno non l’avrebbe mai sollecitata. Possiamo solo immaginare l’espressione tra ilarità e sdegno dei membri della commissione. Eppure, il giorno in cui Baudelaire fa il suo ingresso per essere giudicato, lo stesso Sainte-Beuve si stupisce di non trovarsi di fronte un eccentrico e uno strambo, ma una persona gentile, rispettosa, dal linguaggio fine e dai modi classici.
Geminello Alvi non ha inserito Baudelaire nella parata di “eccentrici” che sfilano all’interno del suo ultimo libro, tutti vissuti tra l’Ottocento e il Novecento (alcuni di loro addirittura si incrociano: il ciclista Giovanni Gerbi e il podista Silla Del Sole; l’esploratore Saint-Yves d’Alveydre e il barone Von Ungern, generale dei cosacchi – ad esempio), eppure qualcosa fa rima: una certa audacia, magari incosciente, simile al gesto infantile di un moccioso. Compresa la testardaggine (l’infanzia come “stato” senza età, slegata dal principio anagrafico). Sia come sia, l’eccentrico è colui che si allontana dalle convenzioni della società dominante; si qualifica proprio a partire dal centro da cui si scosta, dalla norma da cui si smarca. Ma il libro? Chi già ha percorso il suo “Uomini del Novecento”, sa cosa attendersi: brevi ritratti dalla scrittura pirotecnica, prossimi alle “vite immaginarie” di Marcel Schwob, a cui si aggiunge però un sapiente quanto implacabile gusto fisiognomico (scienza incerta la fisiognomica, dice l’abate Mallet 1770; scienza immaginaria, insiste Jaucourt). Vediamo magistralmente sfilare i personaggi di una comica slapstick (Monsieur Willy, oltre a essere il diabolico marito di Colette, contabile che scrive “numeri, minuti come scheletri di insetti”, somiglia a Eric Campbell, l’uomo con la gotta bistrattato da Chaplin in “The Cure”). E il lottatore Giovanni Raicevich, nanerottolo “reso ancora più immenso dai braccioni brevilinei, dal culo basso, dagli stinchi ornati sotto il ginocchio dai reggicalze”, somiglia al cane Spike, wrestler disegnato da Tex Avery in “The Chump Champ”. Se di parata si tratta, sarà dunque composta da sonnambuli colti in uno sfarfallìo tra la vita e il sogno; magari il sogno di un’opera a venire, che li isola e ripara dalla banalità del “sociale”: Georg Trakl, poeta suicida, amministratore farmaceutico militare strafatto di ogni droga, assunto al ministero dei Lavori pubblici, da cui subito si licenzia, dopo due ore. Jean Julien Champagne, alchimista perso tra metalli considerati esseri senzienti, ossessionato dagli esperimenti per riottenere i colori blu e rosso delle antiche vetrate di Chartres. Dal libro, ciò che si fa strada è un mirabile senso di dismisura. Asceti, esoteristi, digiunatrici in odor di santità, inventori, scrittori, attori, pittori, trasvolatori: figure sproporzionate – impassibili come Buster Keaton (nella vita c’è ben poco da ridere), dall’orecchio assoluto come Ehrenfried Pfeiffer; “vastità cicciute” (Oliver Hardy), oppure filiformi e allampanate, come quelle del boxeur Tunney o del nasuto Hans Christian Andersen. Sono figure piene di grazia, che si giocano la vita accentuando fissazioni, tic, manie; appassionandosi a minuzie cui resteranno per sempre fedeli, lavorando in pura perdita, col tempo fuori dai cardini, architettando spesso progetti inutili, o folli, come scrivere in lingue sconosciute, inventando alfabeti. Una vera devozione per le cause perse.
ECCENTRICI
Geminello Alvi
Adelphi, 184 pp., 13 euro