Mover. Odissea contemporanea

Antonio Donno

Michele Silenzi
Mover. Odissea contemporanea
Liberlibri, 204 pp., 12 euro

    I giovani futuristi italiani amavano il movimento, anche fine a se stesso. Bastava muoversi, agire, e, così facendo, rompere con il passato immobilista. Negli Stati Uniti, già alla fine dell’Ottocento, il movimento significava crescita, sviluppo, invenzione, ma nella continuità di una tradizione di ricerca di vie nuove fin dal tempo dei Padri Fondatori, senza rinnegare il passato, ma usandolo come trampolino di lancio per scoprire nuove vie. Era la tradizione liberale che agiva come un fuoco nelle menti dei giovani americani del tempo. Michele Silenzi si iscrive decisamente in questo secondo movimento, ma, essendo italiano e conoscendo bene il proprio paese, va a sbattere contro le infinite incongruenze di una realtà che detesta. Mover. Odissea contemporanea (Macerata, Liberilibri, 2014) è un libro controcorrente che deve essere letto da tutti coloro che odiano lo Stato vorace, livellatore, meschino; e poi, il politicamente corretto, il multiculturalismo, l’umanitarismo piagnone, il pensiero unico, l’ambientalismo-primitivismo, la scuola dei mediocri, l’orgia dei diritti, il bla-bla televisivo, cioè, in sintesi, il conformismo di una società quasi decerebrata.

     

    La decerebrazione è il tratto distintivo della società occidentale odierna, dice Silenzi. Anche gli Stati Uniti? Purtroppo sì. Anzi, gli Stati Uniti sono stati la patria del politicamente corretto. Il dolore aumenta a dismisura. Essere poveri anche lì rischia di essere eroismo; il welfare dà un po’ di soldi e la tessera d’eroe. Ipocrisia allo stato puro. “Ognuno ha il diritto di cercarla [la felicità] – dice l’operaio al nostro autore – ma se non la trova non è che deve venire da me e obbligarmi a dargliene un pezzo della mia”. Il welfare non è un diritto, è un’espropriazione di ricchezza altrui e fa parte ormai di quell’orgia di diritti che ha obnubilato le menti e livellato ogni questione: “Siamo tutti gay, zoppi, mutilati, paraplegici, neri, bianchi, lesbiche, transgender, palestinesi”. Essere normali è un vizio inescusabile, persino esecrabile. Silenzi è tranchant: “Io non sono lo Stato in cui vivo”, lo Stato dei diritti ad ogni costo. Se non hai un diritto da invocare, ecco che lo Stato te ne inventa uno. Ma questa concessione non richiesta ha un prezzo: sei un suddito.

     


    Il libro di Silenzi è un’esagerazione, un’esasperazione ad ogni rigo. Ma è un’esagerazione voluta, un’esasperazione dettata dal disgusto del banale elevato a sistema di vita obbligatorio. Ogni concetto che esprimi deve rispettare le regole non scritte ma inviolabili del politicamente corretto; e se sbagli, anche inconsapevolmente, “le assordanti sirene moraliste si attivano”. E diventi omofobo, razzista, sessista, darwinista, e, aggiungo, sionista. Essere accusati di sionismo è il massimo della colpa; si diventa dei pariah della società, proprio come gli ebrei d’un tempo passato. Allora, sì, voglio essere un pariah, dice l’abietto recensore.

     

    Siamo un popolo di eroi, dice Silenzi: “Eleggiamo a eroe chi è umiliato, offeso, povero, affamato, mutilato, sporco, represso, depresso, nevrotico, frustrato. I nostri eroi sono le vittime”. Ma la verità è un’altra: i nostri presunti eroi detestano la loro condizione; vorrebbero uscirne, diventare normali. Ebbene no, devono restare eroi, perché così hanno deciso gli uomini dai buoni sentimenti. Qualche aiutino, nient’altro, affinché l’aiutino aumenti la loro frustrazione e il loro eroismo, perciò, s’ingigantisca.

     

    Dobbiamo ragionare non con la nostra testa, ma con quella degli altri. Il nostro giudizio non deve discendere dalla nostra osservazione e valutazione dei fatti, ma dalle opinioni che ci vengono propinate ad ogni ora del giorno: “E poi opinioni, pareri, visioni varie sopra le interpretazioni di tutto quello che è accaduto fino a che il fatto scompare del tutto”. Per favore, non voglio più essere informato di nulla! “La mia organizzazione è spontanea”, scrive Silenzi, evocando la spontaneità sociale di von Hayek. Occorre liberarsi dagli obblighi di fare questo o quello, perché così vuole lo Stato. Non è anarchia, è voglia di impegnarsi per raggiungere un obiettivo utile seguendo le proprie inclinazioni: “Inventare, rinnovare, creare”, anche a vantaggio degli altri; consumare, perché il consumo è rinnovamento e creazione: “Adoriamo consumare perché permette di creare. Dobbiamo disprezzare quei moralisti che si riempiono la bocca di quanto il consumismo sia orribile”.

     

    Come l’individuo si auto-organizza, così si auto-organizza l’economia, che in breve, fa dire Silenzi ad un altro personaggio del suo libro, spazzerà via ogni forma di organizzazione statale perché inutile. Dubito che questo possa avvenire, almeno nell’immediato futuro, perché lo Stato, con tutte le sue cinghie di trasmissione, ha avviluppato la società. Benché lo Stato sia “un troglodita, un cavernicolo”, o proprio perché lo è, è avvinghiato alla sua preda. Lo dice anche Silenzi: “[Lo Stato] mangia i suoi stessi figli pur di sopravvivere. Mentre lo fa ti dice che è per il tuo bene”. Vi è, comunque, un’unica soluzione: continuare a lavorare nel mercato e per il mercato, che è “l’autentica forza democratica” veramente funzionante perché crea profitto. Occorre non mollare la presa. “Sono il pioniere del futuro”, conclude Silenzi. Così si ragiona!