Foto Epa, via Ansa
Lettere al direttore
A differenza del 1938 oggi c'è l'Ue e i Chamberlain non toccano palla
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Commentando i 28 punti del piano Trump per l’Ucraina, Giuseppe Sarcina sul Corriere della Sera scrive che “al momento, il bilancio politico di Zelensky è negativo, ma non catastrofico come pure ci si poteva aspettare”. Non si comprende cosa ci potrebbe essere di meno catastrofico del tentativo di imporre la resa all’Ucraina con la certezza che Putin, se questo piano diventasse realtà, ne farebbe un sol boccone nel giro di qualche anno.
Luca Rocca
Finora possiamo dire che la grande differenza tra il 1938 e il 2025, tra la Monaco di ieri e la possibile Monaco di oggi, è che nel 1938 l’Unione europea non c’era, oggi sì, e per fortuna si vede, anche dalla scarsa capacità che hanno i Neville Chamberlain di toccare palla.
Al direttore - In qualità di ufficio stampa di PagoPA S.p.a. scriviamo in riferimento all’articolo “PagoPA e Invitalia, i veri vincitori del Bonus elettrodomestici”, apparso oggi sul vostro quotidiano. Al netto delle valutazioni sugli stanziamenti, direttamente in capo al Mimit, desideriamo fornire alcune precisazioni sugli aspetti che riguardano la nostra società. PagoPA è un’azienda di diritto privato a partecipazione pubblica, con oltre 400 dipendenti altamente specializzati, nata per realizzare e gestire infrastrutture digitali che semplificano l’accesso dei cittadini ai servizi pubblici e rendono più efficienti i processi amministrativi. Per questa ragione è stata individuata come responsabile della gestione tecnologica della misura, attraverso l’utilizzo – tra le altre soluzioni – della piattaforma Pari, pensata per snellire le iniziative di welfare e garantire ai cittadini un modello più equo, rapido e diretto. La piattaforma, adeguata per rispondere alle esigenze del Bonus elettrodomestici, dialoga con le principali infrastrutture nazionali (Anpr, Inps, Sogei, Invitalia) e consente controlli antifrode incrociati in tempo reale, assicurando che i fondi vengano assegnati solo a chi ne ha diritto. Il ruolo di PagoPA è infatti quello di mettere a disposizione dello stato strumenti che rendano semplice ciò che è complesso, garantendo trasparenza ed efficienza nell’erogazione delle risorse pubbliche. L’integrazione con l’app IO permette inoltre ai cittadini di inoltrare la richiesta in pochi passaggi, evitando pratiche onerose e riducendo i tempi di attesa: il sistema gestisce autonomamente la coda e notifica l’utente al termine delle verifiche. Quanto all’ipotesi di un “flop”, segnaliamo che l’infrastruttura ha gestito oltre 550.000 domande nel solo giorno di apertura, con brevi rallentamenti subito risolti. Infine, in merito alle commissioni, precisiamo che non sono applicate né incassate da PagoPA o dalla Pubblica amministrazione: si tratta di costi stabiliti dagli oltre 400 intermediari di pagamento per il servizio di trasferimento fondi. E’ quindi scorretto attribuire alla nostra società una commissione che non dipende in alcun modo da noi. Sulla questione commissioni, chiariamo che i costi citati non sono in alcun modo applicati o incassati dalla nostra società. Le commissioni sono il costo stabilito, in base alle proprie politiche commerciali, dai Prestatori di servizi di pagamento integrati alla piattaforma pagoPA e da loro addebitato per gestire la transazione dall’utente all’ente pubblico. E’ pertanto un errore associare a PagoPA la corresponsione di tali commissioni.
Ufficio Stampa PagoPA
Rispondono Sergio Boccadutri e Carlo Stagnaro. E’ tutto molto bello. Sarebbe ancora meglio se la gestione del bonus fosse stata aggiudicata tramite una gara, certificando la maggiore efficienza e i minori costi di PagoPA rispetto alle tante alternative private che 550 mila operazioni in un giorno (e anche più) le gestiscono ogni giorno. Quanto alle commissioni, nel mondo normale sono a carico del beneficiario ma per la Pa sono a carico dei pagatori. Un gioco di specchi che consente di fare ciò che ai commercianti è vietato.
Al direttore - L’Associazione magistrati tributari della Calabria, nella persona del Presidente p.t., Avv. Giuseppina D’Ingianna, richiede la pubblicazione della seguente rettifica in relazione all’articolo “Toghe onorarie bocciate al concorso. La figuraccia della giustizia tributaria” diffuso anche sulla pagina Facebook del Foglio in data 19 novembre 2025. L’articolo, già nel titolo, danneggia la reputazione dell’intera categoria dei giudici tributari, poiché formula un giudizio su 2.107 giudici basandosi sull’esito concorsuale di un numero molto ristretto di candidati (23). Nell’anno 2024 i giudici tributari hanno definito 207.225 ricorsi tra primo e secondo grado. Secondo i dati ufficiali del Mef – dipartimento della Giustizia tributaria, il tempo medio di deposito delle sentenze è stato di 32 giorni in primo grado e di 48 giorni in secondo grado, mentre la durata media del processo è risultata pari a 363 giorni in primo grado e 947 giorni in secondo grado: questi dati confermano l’operosità e la competenza dei giudici tributari. E’ fuorviante, inoltre, citare il 45,6 per cento di annullamenti in Cassazione delle sentenze delle corti tributarie regionali, poiché il dato non tiene conto della percentuale effettiva dei ricorsi presentati rispetto alle sentenze di secondo grado. Occorre specificare che, nel quadriennio 2021-2024, i ricorsi alla Suprema Corte hanno rappresentato una percentuale variabile tra il 12 e il 19 per cento delle sentenze di secondo grado (da relazioni annuali del dipartimento della Giustizia tributaria). Omettere questo dato significa ignorare che la stragrande maggioranza delle sentenze sopracitate diviene definitiva senza contestazioni, confermando la competenza dei giudici tributari, dando ai lettori una rappresentazione incompleta, inattendibile e fuorviante. Cordiali saluti.
Giuseppina D’Ingianna
Prendiamo atto della sua lettera, che non rettifica nulla di quanto da noi riportato.
Al direttore - Ti scrivo per sottoporre alla vostra attenzione un mondo – fantastico – al quale un giornale sapiente come il tuo spero possa dedicare spazio: l’animazione, in particolare l’animazione italiana. Si parla giustamente dei tagli inflitti al cinema e alle serie tv; nessuno però ricorda che sono a rischio anche i nostri dipendenti – migliaia di lavoratori degli studi di animazione che hanno dai 20 ai 35 anni al massimo, eccellenze del mondo intero che creano immagini e disegni per i nostri bambini. Siamo molto preoccupati per la drastica riduzione delle risorse destinate al cinema nella Finanziaria 2026: questi tagli mettono a rischio l’intera filiera, e questo nonostante l’animazione italiana sia un comparto virtuoso. Grazie agli incentivi della legge Cinema, infatti, abbiamo conosciuto una crescita esponenziale, registrando un aumento dell’occupazione del 400 per cento sul territorio nazionale, riportando in Italia lavorazioni che erano state delocalizzate in Asia. Quando si capirà che l’animazione, allegro soft power, è capace di portare al cinema famiglie intere, senza contare che ha salvato l’industria cinematografica di Hollywwod?
Maria Carolina Terzi, presidente Cartoon Italia
Al direttore - In data 18 novembre 2025 ho potuto apprezzare sul suo giornale la nitida analisi del sistema sanitario italiano. Mi complimento innanzitutto per la prospettiva voluta nell’affrontare l’argomento e per aver dichiarato l’ovvia realtà e i disagi di coloro che abitano di professione gli ospedali. Concordo nel dire che dare più soldi a un sistema geneticamente malato non concorre alla soluzione del problema. Il gene politico imposto dal 1998 ha indebolito il sistema e scaricato sui sanitari responsabilità che competono agli organi di governo regionali e nazionali. Il risultato è lì, sotto gli occhi: il sistema non tiene e soprattutto non risponde alla domanda e i sanitari scappano in cerca di maggiori gratificazioni. Forse riflettere sulla questione a parti invertite, ascoltando prima chi lavora sul campo potrebbe portare a risultati migliori.
dott. Giovanni Taveggia
Al direttore - Fiorisce da tempo il genere giornalistico-letterario del “Piano B”, ovvero il “mollo tutto e cambio”: storie petalose di supermanager e archistar che ormai stufi della loro grigia vita scappano dal tran tran per farsi skipper, tavernieri ai Caraibi, guardiani del faro o allevatori di farfalle (farebbe più notizia il percorso contrario, ma non l’ho mai letto). Adesso l’incoraggiante riproposizione dei suddetti esempi, che ho sempre ritenuto una subdola istigazione al disastro personale, si è plasticamente manifestata nella vicenda della famiglia nel bosco. Mi aspettavo un encomio, e invece giù mazzate ai genitori bucolici. Morale: quel che leggete è bello, ma non prendetelo sul serio.
Francesco Palmieri