Foto LaPresse
lettere al direttore
Schlein, più di Meloni, dovrebbe chiedere chiarimenti a Garofani
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Garofani: “Eravamo quattro amici al bar, che volevano cambiare il mondo. Son rimasto io da solo al bar”.
Roberto Alatri
Chiudete gli occhi un attimo e pensate se il consigliere pescato in un bar a parlare male di una coalizione fosse stato nella squadra di un presidente del Senato di destra. Pensateci un istante e pensate se le reazioni di destra e sinistra sarebbero state le stesse di oggi. Un ultimo appunto. Se davvero le parole di Garofani devono essere prese sul serio, più che la prova di un complotto al Quirinale (ridicolo) sono la prova della presenza di un consigliere quirinalizio che vede un’alternativa così debole da non avere alcuna speranza di poter battere politicamente chi oggi governa. A chiedere chiarimenti, forse, prima ancora di Meloni, dovrebbe essere Elly Schlein.
Al direttore - A proposito dell’emendamento alla manovra riguardante le riserve auree, va osservato che nessuno dubita che queste siano detenute e gestite dalla Banca d’Italia, nell’ambito dell’Eurosistema, nell’interesse dello stato. Ma è molto discutibile, e a mio parere infondato, che esse, iscritte nel bilancio della Banca e destinate a contribuire alla stabilità della moneta e all’esercizio della politica monetaria, siano proprietà dello stato o, come afferma l’emendamento, “appartengano” allo stato. D’altro canto, inserire nella legge di Bilancio una mera affermazione o è inutile o vuole lasciare intendere un utilizzo “pro futuro” per la funzione tipica del bilancio, cioè prevedere spese ed entrate. In entrambi i casi si dà un segnale distorto o grave e si alimenta la tesi di chi dice “post hoc, ergo propter hoc”, dopo l’audizione di Bankitalia sulla manovra, criticata ma non letta, perché diversamente non sarebbe stata criticata, ecco la risposta. Ma non vi è bisogno di sostenere questa meccanica causalità. Bastano e avanzano l’inesplicabilità dell’emendamento oppure la sicura ma preoccupante sua esplicabilità. Con i migliori saluti.
Angelo De Mattia
Al direttore - “Restare”, qualche volta, è più difficile che “arrivare”. Quando nell’aprile del 2019 Torino si aggiudicò l’organizzazione delle Atp Finals, battendo a sorpresa la concorrenza di capitali come Londra e Tokyo, in pochi credevano nel potenziale della nostra città. Per Torino le Atp Finals sono esattamente questo: una scommessa strategica per il futuro della città. Una scelta che oggi merita coraggio, visione e responsabilità. L’edizione appena conclusa consegna ancora una volta l’immagine di una Torino pienamente all’altezza di una manifestazione globale. Torino e il Piemonte hanno lavorato tanto e bene, specialmente nelle complesse edizioni segnate dalla pandemia, dimostrando efficienza organizzativa, qualità nell’accoglienza dei turisti e una straordinaria capacità di offrire al mondo un’immagine moderna, dinamica, europea. Parte del merito è delle istituzioni, che hanno saputo unire le migliori energie della città per un obiettivo che fa bene a tutti: quasi 230 mila presenze e un impatto economico record che sfiora i 600 milioni – 99 dei quali solo di indotto generato. Senza dimenticare le ricadute sportive: in città nel giro di una settimana si giocano partite che potrebbero essere tutte finalissime, attirando letteralmente gli occhi del mondo su Torino. Come certificato da Fitp, il risvolto sociale del torneo ha generato un impatto pari a 386 milioni e le ricadute più importanti sono sulla pratica sportiva. In Piemonte, dalla prima edizione, si è registrato un notevole aumento di circoli affiliati e scuole tennis. E’ un momento straordinario per tutto il movimento del tennis italiano. Nelle imprese di Sinner rivedo ciò che Alberto Tomba ha fatto con lo sci: tutto il paese si appassiona e si ferma a guardarlo. E sullo sfondo di questo entusiasmo c’è Torino. Dare continuità a questo percorso vincente è doveroso. Perché la continuità è un valore: garantisce stabilità, riduce i rischi e massimizza gli investimenti di questi anni. Spostare l’evento significherebbe interrompere un ciclo virtuoso ancora in piena crescita. Puntare su Torino significa consolidare la città come piattaforma europea capace di attrarre turismo qualificato, imprese, investimenti e grandi eventi. Ma significa anche scegliere una politica industriale, culturale e turistica capace davvero di guardare lontano; poiché fondata su un modello vincente di collaborazione tra pubblico e privato. Sarebbe un errore trasformare questa partita, che appartiene all’intero paese, in una questione di campanile. Torino ha dimostrato una sintonia naturale con il torneo, con questo sport e con i valori che rappresenta. Anche Sinner, Alcaraz e gli altri campioni lo hanno fatto capire chiaramente. Ora non resta che raccogliere i frutti di una semina paziente e lungimirante. Non perdiamo questa occasione.
Paolo Damilano
Dove si firma?